LA NARRAZIONE COME STRUMENTO DI FORMAZIONE -Di Lucia Guzzardi
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I° CONVEGNO NAZIONALE A.I.CO." La relazione d’aiuto tra tradizione e innovazione Gestalt e Counselling "


Roma, 26-27-28 novembre 1999


LA NARRAZIONE COME STRUMENTO DI FORMAZIONE


Comunicazione di Lucia Guzzardi


 


 I contenuti qui presentati vogliono costituire uno stimolo a riflettere sugli aspetti epistemologici che sono alla radice di quegli strumenti di lavoro con i quali trattiamo nel campo delle relazioni e della comunicazione.


Lo stile è quello di fondare la ricerca sulla produzione di domande alle quali cercare delle risposte che sono, a loro volta, domande nuove e così via.


Come agisce la narrazione sugli esseri umani?


Facciamo un passo indietro: "Perché il linguaggio?" Sappiamo quanto fa bene sul piano consolatorio che qualcuno, oltre ad esserci vicino fisicamente, ci parli e con la sua voce possa raggiungere in qualche modo il nostro cuore. Attraverso le parole riceviamo un perdono o una condanna, diamo o togliamo la nostra approvazione, regaliamo odio o amore. Insomma, noi esseri umani non possiamo prescindere dall’uso di uno strumento ormai pluricollaudato come il linguaggio verbale.


Sappiamo però anche quanto è limitante e fattore di impoverimento per la crescita, quando non è addirittura patologico, un "cattivo" uso del linguaggio e in particolare della significatività della relazione mediata dalle parole.


Ma cosa contengono di tanto vitale le parole e il loro ordine linguistico?


Fondamentalmente le parole sono già di per sé dei sistemi dotati di senso, e hanno delle caratteristiche: sono simboliche, metaforiche e icastiche. Inoltre nel loro modo di connettersi possono assumere sapori diversi , funzioni diverse che fan sì che le diciture assumano o meno aspetti lirici o prosaici, più o meno comprensibili.


Dunque la lingua è fondamento e sviluppo della mente umana e delle sue interazioni.


A questo proposito è utile riferire le ipotesi elaborate da Piaget fondate sulle ricerche dell’epistemologia genetica che affermano : il riconoscimento di un’interrelazione e coevoluzione di soggetto e oggetto nei processi cognitivi; la considerazione delle polarità ( soggetto e oggetto) come stratificate e decentrate su molteplici livelli ; la considerazione di entrambe quali espressione di molteplici dinamiche sistemiche, dal punto di vista sincronico e di molteplici processi genetici, dal punto di vista diacronico.


Prendendo avvio dagli studi piagetiani, si è sviluppata un’epistemologia costruttivista che afferma la complessità dinamica e strutturale dei sistemi organici , il principio di auto-organizzazione ed insieme a questo l’idea che "la vita è un immenso processo di computo di sé". L’auto-organizzazione ha un carattere euristico : essa presuppone l’esistenza e il dialogo fra due punti di vista ( uno, interno, vincolato al sistema e l’altro che osserva il sistema dall’esterno ) .


Come comportarsi, dunque, muovendosi, oggi, tra ricerca e azione?


Potrebbe, come del resto ha sempre fatto, la narrazione svolgere quella funzione di tramite, di connessione, di ponte, tra soggetto e oggetto, anche in campo formativo?


La narrazione è portatrice di valori euristici: mette in moto un processo di ricerca che tende alla stima, all’evidenziazione e al miglioramento della cosa. La considerazione di ciò ci consente di riaffermare il concetto di deutero apprendimento : apprendimento ad apprendere , la capacità di inserire il proprio contesto iniziale in un insieme di contesti che riorientano le proprie scelte.


Tali elaborazioni teoriche rimandano ad un altro contributo, di natura semiologica, di Nelson Goodman, 1978, che afferma l’importanza della pluralità dei linguaggi, della varietà di versioni e visioni, dei processi che riguardano la costruzione di un mondo a partire da altri mondi . "Ci sono alcuni processi che riguardano da vicino il fabbricare mondi": il comporre e lo scomporre, il dare o meno rilevanza, il costruire ordinamenti ad esempio di natura gerarchica, sopprimere materiali vecchi e immetterne di nuovi, creare nuove forme , deformare.


Rispetto a tutto questo, dove ci conduce la narrazione?


Se pensiamo che fin da piccolo l’essere umano , di qualsiasi provenienza culturale, è in grado di apprezzare le storie e che è sotto la forma della storia che egli gioca ed esprime il suo mondo, si capisce che la narrazione svolge una funzione pedagogica essenziale e, a giudicare dalla sua tenuta nei secoli, fa bene alla mente rispettando il suo naturale processo di funzionamento.


Dunque la narrazione è uno strumento conosciutissimo a livello popolare ed elevato ad arte in tutte le culture. Disponiamo, allora, anche di una modalità di relazione portatrice di identità e cambiamento?


Di fatto colui che racconta è allo stesso tempo anche il suo prodotto: una storia è fatta delle parole e dei significati che ci trasmette il narratore.


Adriana Cavarero ci ricorda che la narrazione ci regala una figura, un disegno qualcosa di significativo legato al desiderio di chi ascolta ed alla capacità di donare di chi racconta. "C’è un nesso fra sé narrabile, desiderio di conoscere la propria storia e senso d’identità ( il sé della propria memoria narrante)…L’inizio del sé narrabile e l’inizio della propria storia, l’infanzia, sono da sempre un racconto fatto da altri." "Secondo Karen Blixen la domanda chi sono io ? sgorga prima o poi dal moto di ogni cuore. La sua risposta, come sanno tutti i narratori, sta nella regola classica di raccontare una storia."


Si assiste oggi ad un pericoloso fenomeno di inquinamento linguistico, ad un impoverimento delle comunicazioni, ad uno scadere delle immagini principalmente dovuti ai processi di massificazione e di globalizzazione, è quindi fondamentale che venga riconosciuta alla pratica della narrazione una sorta di cittadinanza onoraria.


Nelle "Lezioni Americane", Italo Calvino propone che alla letteratura venga riconosciuta una funzione esistenziale che spazi nell’antropologia, nell’etnologia e nella mitologia. Una letteratura che con i suoi valori o qualità o aspetti specifici possa creare degli anticorpi che contrastino l’espandersi della peste del linguaggio.


Vale la pena dare fiato ad una proposta simile perché si muove nella stessa direzione della connessione fra narrazione e formazione, anche se Calvino arriva a privilegiare la parola scritta che garantisce una maggior trasmettibilità e, per un altro verso quando si dice narrazione ciò che si vuole evidenziare è anche "quanto" accade nell’atto del narrare.


Calvino suggella con cinque parole i valori da trasmettere attraverso la letteratura, nel prossimo millennio: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità.


La ricerca della leggerezza è proposta come reazione al peso di vivere. Si riscontra sia nell’alleggerimento del linguaggio, sia nel suggerire immagini figurali di leggerezza, sia nella narrazione di ragionamenti e processi in cui compaiono elementi psicologici sottili e impercettibili o un alto grado di astrazione. Ne sono esempi nelle fiabe i voli in un altro mondo o i salti e i voli di giganti e stregoni. Un altro bellissimo esempio sono le parole delle quali si servono i poeti per comporre ineffabili versi.


La rapidità si riscontra nelle saghe nordiche e nei poemi cavallereschi pieni di effetti magici, di avvenimenti che si rispondono come rime in una poesia, dove un oggetto compare nella narrazione carico di una forza speciale e "diventa come il polo di un campo magnetico, un nodo di una rete di rapporti invisibili". Alla base di una tale struttura c’è un’operazione sulla durata: il narratore opera sul tempo contraendolo e dilatandolo, ma anche il contenuto degli avvenimenti risente di impedimenti, ostacoli, facilitazioni e riprese. A sostegno delle proprie riflessioni Calvino cita un passo dello Zibaldone di G. Leopardi :" La rapidità e la concisione dello stile piace perché presenta all’anima una folla di idee simultanee, così rapidamente succedentisi che paiono simultanee, e fanno ondeggiare l’anima in una tale abbondanza di pensieri o di immagini e sensazioni spirituali, ch’ella o non è capace di abbracciarle tutte, e pienamente ciascuna, o non ha il tempo di restare in ozio e priva di sensazioni." E una frase di G. Galilei che riferendosi al proprio stile usava la metafora del cavallo affermando: "il discorrere è come il correre". Dice Calvino: "la rapidità, l’agilità del ragionamento, l’economia degli argomenti, ma anche la fantasia degli esempi sono per Galileo qualità decisive del pensar bene."


Un altro frutto dell’elaborazione del pensiero che si muove fra velocità e digressione è la concisione in grado di trasmettere un messaggio d’immediatezza ottenuto a forza di aggiustamenti pazienti e meticolosi.


Il gusto della composizione nella funzione narrativa è esplicitato nella ricerca dell’esattezza espressa fondamentalmente in "un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato; evocazione d’immagini visuali nitide, incisive, memorabili, un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione." "Un linguaggio delle cose, che parte dalle cose e torna a noi carico di tutto l’umano che abbiamo investito nelle cose. La parola collega la traccia visibile alla cosa invisibile, alla cosa assente, alla cosa desiderata o temuta, come un fragile ponte di fortuna gettato sul vuoto."


Un altro valore che Calvino ci raccomanda è la capacità di mantenere viva l’immaginazione, quella qualità della mente in grado di dare visibilità a immagini, visioni, fantasie, suggestioni visive.


" Immaginazione come repertorio del potenziale, dell’ipotetico, di ciò che non è, né è stato, né forse sarà , ma che avrebbe potuto essere." Calvino mette in guardia dal pericolo di perdere una facoltà umana fondamentale: "il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi, di far scaturire colori e forme dall’allineamento dei caratteri alfabetici neri sulla pagina bianca, di pensare per immagini."


"Penso a una possibile pedagogia dell’immaginazione che abitui a controllare la propria visione interiore senza soffocarla e senza d’altra parte lasciarla cadere in un confuso labile fantasticare, ma permettendo che le immagini si cristallizzino in una forma ben definita, memorabile autosufficiente icastica."


La categoria della molteplicità citata da Calvino ricalca la questione della complessità che è alla base del pensiero scientifico, oggi. Il romanzo è inteso come metodo di conoscenza, come possibile rete di connessione fra fatti in un mondo che è come un garbuglio, un gomitolo inestricabile.


"La grande sfida della letteratura è il saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo." Propone "l’idea di un’enciclopedia aperta: oggi non è più pensabile una totalità che non sia potenziale, congetturale, plurima."


Calvino così conclude la sua riflessione: " Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario di oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili."


Proprio queste ultime parole ricordano i suggerimenti contenuti nell’opera di un maestro della terapia gestaltica, E. Polster: "Ogni vita merita un romanzo" dove è proposto un legame possibile fra terapia e narrazione, così dettagliatamente presentato, nel mettere magistralmente insieme due sistemi di comprensione della vita : la letteratura e la psicoterapia.


Ritroviamo anche qui l’idea di variare il ritmo e la campitura del racconto per esaltarne il significato, il saltare dei passi o la digressione, l’operazione di stringere e allentare le sequenzialità, l’opportunità nella narrazione di entrare in contatto con una molteplicità di parti diverse per stabilire un dialogo che migliori la qualità del contatto, l’enfasi dato alla visibilità nel porre l’esperienza " sotto i riflettori" , il valore che assume per la salute mentale la fascinazione.


In Italia tra la fine degli anni ’80 e gli anni ’90, si assiste ad un fiorire di tecniche che mirano a considerare gli aspetti evolventi della narrazione, una di queste è la narrazione come cura di sé che è andata affermandosi soprattutto attraverso il metodo dell’autobiografia nell’ambito delle pratiche educative per l’età adulta. (Demetrio, 1991 e 1995).


Un’altra esperienza sono stati i LEO (laboratori di epistemologia operativa) che si basavano su di una metodologia di carattere cognitivo, cioè le persone imparano a ripercorrere le tracce dei loro apprendimenti e delle scoperte fatte (Fabbri – Munari, 1990), in questo modo si evidenziano degli eventi, più o meno dotati di senso, che hanno anche un loro ritmo e che fra loro creano dei contesti significativi, oggetto a loro volta di nuovi aggiustamenti.


Con i laboratori di epistemologia operativa gli autori si propongono di "fare formazione creando contesti che potessero fornire pretesti alla nascita di eventi, contesti dove possono emergere nuove forme di organizzazione concettuale".


La caratteristica peculiare dello strumento della narrazione in campo formativo, sembra essere la possibilità di risonanza che essa è in grado di offrire rispetto al fenomeno dello "stato nascente", o dell’emergere della sensatezza, o dell’insight creativo, all’interno di una relazione fortemente carica a livello empatico.


Nel suo saggio "Narrare il conoscere" Donata Fabbri traccia il suo contributo all’epistemologia della formazione, che consiste in una proposta operativa, dove azioni, comportamenti ed emozioni, saperi e riflessioni sui saperi sono legittimati secondo un ‘etica della pratica, secondo l’ottica di apprendere dall’esperienza.


"La narrazione è stata per noi terreno di regolamento di conti delle prime ansie e delle prime paure, ha permesso identificazioni e disidentificazioni, ha aperto spazi di svago e di avventura." "La formazione, come la narrazione, valorizza il ruolo della parola e del linguaggio credendo che esso restituisca qualcosa di autentico per chi lo utilizza o per chi lo raccoglie."


Formazione è sinonimo di avventura, dove si presuppone il possibile, si valuta il necessario, ci si consente un miglioramento del proprio stato e ci si propone di conquistare qualcosa.


Mai come attraverso la narrazione è possibile esplicitare la dimensione dell’avventura," operando un certo grado di distacco da persone, luoghi, parti di sé, l’avventura rivela noi a noi stessi come un personaggio inedito che era latente. Ci consente, allo stesso tempo, trovandosi nella necessità di affrontare prove e imprevisti, di costruire e ricostruire nessi logici nuovi pur fondandosi su uso di strumenti e strategie inadeguati perché appartenenti ad un ordine precedente".


Un discorso a carattere epistemologico intorno alla narratività della dimensione formativa è portato avanti anche da Giuseppe Scaratti che propone di "marcare la formazione come processo di costruzione di senso, un senso che chiede di essere messo in parola, riconosciuto e narrato. Si tratta di un’operazione di centratura sulla ricerca e la costruzione di senso….. una marcatura ermeneutica, proprio perché chiede un lavoro di interpretazione a fronte della molteplicità dei significati disponibili che la complessità, l’imprevedibilità e la densità delle situazioni restituiscono e che chiede di volta in volta una particolare attribuzione di senso/significato, impegnativa, rischiosa e incerta."


A questo fine Scaratti prefigura : "una costruzione della conoscenza come costante processo interattivo, situato in un contesto storico-culturale dato in cui mediante la comunicazione conversazionale, si impara a negoziare i significati delle situazioni e i compiti incontrati nel rapporto con gli altri."


In questo contesto di "pensare per storie" si presuppone una vita fatta di domande e di ricerca incessante, un dignitoso rispetto per le diverse ottiche personali, una pluralità di prospettive.


"La narratività della dimensione formativa risiede proprio nel doversi confrontare all’interno dei set formativi con storie e racconti profondamente segnati dalla indeterminatezza delle varie testualità, dagli impliciti e dai non detti che le attraversano, dalle dimensioni soggettive e dalla pluralità, a volte contrastante e di difficile composizione, dei punti di vista, delle rappresentazioni, dei modi di vedere e pensare presenti. Dire di un ermeneutica formativa significa generare valenza narrativa, creare occasioni conversazionali che valorizzino i processi di disambiguazione (assunzione dell’ambiguità di senso per tradurla in significato possibile), per identificare chiavi di comprensione e vie di uscita alle situazioni critiche affrontate, promuovere una possibile regolazione e sintonia dei registri affettivi, per consentire spazi di ascolto reciproco e confronto, sviluppare processi di negozialità, in funzione di approssimazioni più convergenti e condivise, mai definitive o ultimative."


Sulla scia di queste riflessioni teoriche sono state sviscerate una vasta gamma di tecniche che assumono la narrazione come punto di vista in grado di dare forma a seconda delle più disparate esigenze contestuali , dai gruppi di formazione preesistenti all'interno delle organizzazioni, assistenziali, scolastiche, aziendali, ai gruppi di formatori.


Come operatori della relazione d’aiuto, ci troviamo in mano uno strumento che oltre ad essere convalidato da millenni di cultura umana si dimostra considerevolmente duttile e plasmabile, perciò a tutt’oggi spendibile nei nostri contesti lavorativi.


 


 


 


BIBLIOGRAFIA


 


Roland Barthes, Saggi critici, Einaudi Torino 1972


Karen Blixen, Ultimi racconti, Adelphi Milano 1995


Matilde Callari Galli, Lo spazio dell’incontro, Meltemi Roma 1996


Italo Calvino , Opera completa, Meridiani Mondadori Milano 1991


Adriana Cavarero, Tu che mi guardi , tu che mi racconti, Feltrinelli, Milano1997


Mauro Ceruti, Il vincolo e la possibilità, Feltrinelli Milano1986


Mauro Ceruti, La danza che crea, Feltrinelli, Milano1989


Duccio Demetrio, Raccontarsi, l’autobiografia come cura di sé, Raffaello Cortina Editore, Milano1996


Donata Fabbri, La memoria della regina, Guerini e Associati Milano 1990


Donata Fabbri, A. Munari, I laboratori di Epistemologia operativa, in Apprendere nelle organizzazioni, NIS Roma1994.


H.R. Maturana e F. Varela, Autopoiesi e cognizione, Marsilio, Venezia 1985


Nelson Goodman, Vedere e costruire il mondo, Laterza, Bari 1988


A cura di C. Kaneklin, G. Scaratti, Formazione e narrazione, Raffaello Cortina Editore, Milano 1998


Paolo Perticari, Attesi Imprevisti, Bollati Boringhieri , Torino1996


Erving Polster, Ogni vita merita un romanzo, Astrolabio, 1988



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