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Fiaba di montagna
Mario Amato
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È storia antica o forse leggenda che i nostri due paesi si siano combattuti per secoli ed anche se oggi si vive in pace, rimane la rivalità, che per fortuna non si manifesta con atti violenti, ma con il gareggiare degli artigiani nella perfezione del loro lavoro, vantata da ognuno.
Tra queste catene montuose è giunta solo l’eco della modernità, ma unicamente attraverso i racconti di qualche emigrante di ritorno per un po’ di tempo, perché è costume che si espatri lontano e non ci trasferisca da una cittadina all’altra, sebbene ci sia stato qualche matrimonio tra un abitante del paese detto dei boscaioli e quello dei pastori.
In realtà sono stati in pochi ad abbandonare questi monti, perché essi entrano nell’anima. In realtà nei due paesi non sono tutti boscaioli o pastori, la denominazione deriva probabilmente da coloro che costruirono le prime capanne nei due luoghi ove ora sorgono belle casette.
Io stesso provai a vivere in città, ma non riuscii a resistere a lungo al richiamo delle alture, che si stagliano contro il cielo azzurro, verdi di boschi d’estate e candide di neve per la maggior parte dell’anno.
La contesa si appunta anche su quale dei due paesi sia più in alto; ma è difficile stabilirlo. Nelle belle giornate, quando il cielo è terso, privo di nuvole, in genere nei mesi di gennaio e di settembre, da una cittadina si può scorgere l’altra.
Non esiste una vera e propria strada di comunicazione tra i due paesi, ma c’è un sentiero o meglio un tratturo, che è sconsigliabile ai forestieri, poiché esso scende, da ambedue i lati, per molti chilometri, tra valli che allo straniero possono sembrare tutte uguali, ma non lo sono per i nostri occhi esperti, poi bisogna risalire per un costone accidentato e ancora scendere ed inerpicarsi di nuovo. Per andare da un paese all’altro è necessario prima scendere e poi risalire. C’è un solo breve tratto di pianura in questo sentiero, che noi chiamiamo la grotta, perché la natura lo ha coperto con arco di pietra.
A noi viene insegnata la via fin da quando siamo bambini, ma solo all’età di dieci anni ci lasciano andare soli, se però abbiamo già percorso molte volte il sentiero in compagnia dei genitori.
Ci sono anche altri tratturi che si inerpicano fino alle cime, ma essi sono noti solo a pochi pastori.
Naturalmente anche la conoscenza di ogni sasso lungo la pista è un fattore di concorrenza. Non servono carte, ma solo la memoria e l’abitudine al cammino.
È anche vero che qualcuno, sebbene conoscitore della zona, si sia smarrito e non sia stato mai ritrovato e questi episodi, rari, sono diventati con il tempo fonte di storie: i vecchi raccontano di aver sentito le loro voci provenire da qualche caverna o da qualche sprofondo, perché per molti chilometri la strada, se così vogliamo chiamarla, da una parte costeggia la roccia, dall’altra un alto precipizio.
Nelle giornate in cui il cielo è nitido si può vedere la pianura lontana.
Si racconta anche di ritrovamenti, di uno in particolare avvenuto molti anni or sono.
C’erano nei due paesi due falegnami, felicemente sposati; uno aveva una figlia, l’altro un ragazzo. L’abilità dei due artigiani era proverbiale ed essi mettevano in mostra le loro opere durante la festa che si tiene in memoria del giorno della riappacificazione. Che questo giorno sia storia o racconto tradizionale non ha molta importanza; rilevante è che la festa si celebri. Non possiamo certo dire che la fiera attiri molta gente, tuttavia, poiché avviene in primavera inoltrata, quando le vie sono libere, qualche curioso o qualche amante della montagna capita sempre. È così che abbiamo notizie del mondo, mentre in inverno ce ne stiamo nelle nostre case di legno, riscaldati dal fuoco del camino e dalle storie che le nonne hanno appreso dalle loro nonne.
Ogni casa ha un piccolo giardino, sufficiente però a produrre vegetali e tuberi, mentre per i frutti abbiamo il bosco dove raccogliere castagne, more, fragole, mirtilli a seconda della stagione. Le mamme e le nonne, oltre ad essere brave narratrici, sono ottime cuoche e sanno preparare marmellate ed infusi di erbe montane, che vanno ad arricchire le dispense e che vengono anche venduti alla fiera.
In questo giorno i bambini corrono liberi da una bancarella all’altra, mentre i ragazzi più grandi aiutano i genitori.
Durante uno di questi giorni di mercato Gabi e Goffredo, i figli dei due falegnami, si trovarono con i banchi l’uno di fronte all’altro. Il ragazzo salutò più volte la fanciulla, che infine rispose. Non si scambiarono molte parole, ma innumerevoli sguardi e sorrisi, come accade tra adolescenti che hanno appena superato l’infanzia, attenti a non farsi scoprire dai rispettivi genitori.
Goffredo si assentò per una mezz’ora: andò in un prato di sua conoscenza, un po’ più in alto del paese, e raccolse un bel mazzetto di fiori profumati, che posò sulla bancarella di Gabi, in un momento in cui i genitori della ragazza si erano assentati. La fanciulla prese l’omaggio e lo infilò nell’ampia tasca della gonna. Per tutto il giorno i sorrisi e gli sguardi tra i due ragazzi si incrociarono, poi venne l’imbrunire, ora di radunare gli oggetti e prepararsi al ritorno a casa. Prima di partire Gabi, con un pesante zaino a tracolla, rivolse un silenzioso cenno di saluto a Goffredo.
Uomini e donne si salutarono con la promessa di vedersi l’anno seguente nell’altro paese, perché la fiera viene onorata a turno, e un lungo corteo si avviò lungo il tratturo, mentre il sole scendeva velocemente. Si udiva lo scalpitio degli zoccoli dei muli e delle scarpe di uomini e donne; qualcuno si voltava e salutava con la mano, ma più spesso di tutti Gabi si volgeva indietro, mentre Goffredo rimase immobile a guardarla fin quando non fu che un puntino fra le rocce dei monti.
A casa Goffredo, nonostante non fosse mai stato nel paese di Gabi, si pose ritto dinanzi alla finestra della sua camera guardando le luci che là, nell’altra cittadina, si accendevano l’una dopo l’altra, immaginando che una di quelle fosse la casa della ragazza.
L’indomani Goffredo si alzò ben prima dell’alba e guardò ancora nella stessa direzione, fantasticando ancora, poi preparò i libri per la scuola.
Dall’altra parte Gabi faceva lo stesso, perché nei nostri paesi l’istruzione non manca.
Anche la fanciulla fantasticava e incamminandosi rivolgeva gli occhi verso la cittadina di fronte, ma pure pensava che la prossima fiera era lontana un anno ed il ragazzo l’avrebbe dimenticata.
Venne finalmente l’estate, il tempo delle vacanze, quando si può andare a far gite nel bosco, in compagnia, s’intende, degli adulti.
Goffredo si avventurava solo nelle selve, nella speranza di incontrare Gabi e quando sentiva delle voci il cuore gli batteva forte, ma non gli riuscì neanche di vederla da lontano.
A settembre ci fu la prima nevicata, che coprì del suo candido manto le vette, ma non ancora i tetti dei due paesi.
Era ormai un’abitudine quella dei due ragazzi di stare dinanzi alla finestra della propria camera intenti a guardare verso i rispettivi paesi, quasi che quegli sguardi si potessero incontrare a metà strada, come era accaduto durante la fiera. Gli occhi dei giovani si perdevano tra le cime, dove al tramonto il sole colorava di rosso i ghiacci. Goffredo immaginava di perdersi tra quelle rocce insieme a Gabi.
Ad ottobre la neve coprì i tetti delle case delle due cittadine, ma non era ancora la neve che perdura fino a primavera.
Molte volte il ragazzo aveva progettato di mettersi in cammino per recarsi dalla fanciulla, ma, immaginandosi nell’atto di bussare alla porta e di sentirsi chiedere cosa desiderasse, comprendeva che non avrebbe trovato le parole.
Non restava che aspettare il giorno della fiera, un giorno che col passare del tempo, invece di avvicinarsi, sembrava sempre più lontano.
I giorni precedenti alla festa del Santo Natale recarono una grande nevicata. I vecchi raccontavano che solo molti anni prima ce n’era stata una simile. La neve non cessava di cadere a grandi fiocchi, per la gioia dei bambini, che gareggiavano nel costruire pupazzi con tanto di cappello, scopa sotto il braccio e pipa in bocca, ma che rattristava Goffredo che vedeva il tratturo impossibile da percorrere.
Gabi, dall’altra parte, aveva fatto seccare alcuni dei fiori donati dal figlio del falegname e li usava come segnalibro in un volume di fiabe, ma anch’ella, guardando verso il ghiacciaio, sognava di essere prigioniera in un castello lassù e di venir liberata da Goffredo. Con la grande nevicata però era impossibile ai due ragazzi vedere le luci dei paesi e restava solo la loro fantasia e la tristezza di un Natale che avevano immaginato diverso.
È davvero una bella festa Natale: già al mattino del ventiquattro dicembre le donne si danno da fare per preparare la cena della sera ed i bambini sono ben felici di essere scacciati dalla casa e di essere mandati a giocare e ad ammirare l’albero addobbato nella piazza, ma ancor più essi aspettano la mezzanotte, quando vengono destati dai genitori e condotti dinanzi ai regali che Babbo Natale ha portato nelle loro case.
Anche Goffredo era stato mandato via, perché le donne non vogliono maschi nelle cucine, mentre Gabi aiutava la madre, la nonna e la zia, ma quel giorno ella era distratta e sbagliava ogni cosa, sì che zia Anna le disse che continuando così non avrebbe trovato marito. Zia Anna non poteva immaginare che questo motto di spirito avrebbe suscitato dolore in Gabi, alla quale prima si colorarono le gote di rosse, poi prese il paletot e la sciarpa e fuggì via.
Nello stesso momento Goffredo, girovagando per le vie, avvolto nel suo cappotto, si trovò dinanzi al sentiero che conduceva al paese di Gabi. Era pomeriggio e la neve, che di mattina era caduta abbondanza, dava ora una tregua, anzi era comparso un pallido sole. Questo però non è un vantaggio, poiché il tenue calore solare non basta a sciogliere la neve, ma fa sì che esso diventi ghiaccio.
Mentre Gabi, vagando senza meta, con le guance solcate da lacrime provocate da un sentimento fino ad allora sconosciuto, senza avvedersene si era incamminata per il sentiero, Goffredo stava immobile pensando al da farsi, finché decise di recarsi dalla fanciulla per farle gli auguri di Natale, calcolando che, essendo un buon camminatore, sarebbe stato di ritorno per l’ora di cena. Essendo un buon montanaro, come si dice, tornò a casa e prese una sacca, mettendovi dentro qualche cibo e una bottiglietta contenente un succo di frutti fatto dalla madre.
Gabi scendeva senza voltarsi, a passi veloci, come capita a chi è in preda a forti emozioni. Inoltre, alle sue spalle si era levato un forte vento, che la sospingeva. Intanto il sole era di nuovo scomparso dietro qualche vetta e la neve ricominciava a cadere fitta. Solo quando la fanciulla fu sul ciglione che si affaccia sul precipizio si accorse di essere sul sentiero, ma ebbe paura che il vento la facesse precipitare e si accostò alla roccia, fermandosi a riflettere.
Cercò di tornare indietro, ma il vento era troppo forte, allora vide un tratturo al lato di una grande roccia nera e ricordò che i pastori costruivano rifugi lungo il loro cammino. Cominciò a salire: la neve era soffice ma alta ed i piedi, vestiti di caldi ma pesanti scarponi, affondavano.
Mentre Gabi saliva sul monte, senza rendersene conto, Goffredo scendeva per il sentiero coperto di neve. Aveva iniziato la strada di buon passo, ma ora i suoi stivali sprofondavano fin quasi alle ginocchia. Egli però continuava con tenacia e gli pareva che se fosse riuscito a raggiungere la casa della ragazza, questa avrebbe apprezzato la sua grande impresa. Nonostante questa convinzione, nel suo animo albergava, così come nel cuore di Gabi, il pentimento per aver lasciato proprio nella notte di Natale la famiglia, i cui componenti ora erano di sicuro in pensiero.
La nevicata ora si era trasformata in un vera tempesta: i grandi fiocchi turbinavano nel nero della notte dinanzi agli occhi del ragazzo. Gabi intanto aveva trovato una roccia e si era rannicchiata in una sua cavità, ma il bianco intorno a lei le faceva dolere gli occhi. Li chiuse, ma quando stava per prender sonno ricordò l’ammonimento tante volte udito di non addormentarsi nella neve, allora si alzò e decise di scendere, nella speranza di ritrovare il sentiero conosciuto. Qui non c’erano rocce né alberi, ma solo neve; pensò alla sua calda cameretta e rammentò che a volte aveva udito l’ululato dei lupi. Tremò a questo pensiero, ma pensò che a Natale anche i lupi sono più buoni. La discesa non era meno faticosa della salita.
Goffredo, nonostante la neve avesse completamente nascosto il sentiero, non aveva deviato dalla via, ma ora sotto i piedi c’era ghiaccio che scricchiolava ed egli doveva sorreggersi con una mano alla roccia gelata del monte. D’improvviso non sentì più la neve sulla testa e sentì invece il terreno asciutto sotto i piedi. Guardò in alto: c’era un soffitto da cui pendevano oggetti con puntini scintillanti, come stelle. Goffredo si rese conto di essere nella grotta; sopra di lui erano sospese stalattiti, quelle magnifiche sculture che il deposito di acque calcaree modella con secolare pazienza. Tese l’orecchio: un silenzio infinito circondava il mondo.
Gabi continuava a scendere, quando scivolò e finì sul tetto, se così si può chiamare, della grotta, smuovendo la neve e facendola cadere dinanzi ad una delle due entrate. Goffredo pensò dapprima che la caduta della neve fosse dovuta al vento, che in realtà non soffiava più, poi sentì che qualcosa lassù si muoveva, ma era troppa la paura per uscire a vedere di che cosa si trattasse. Gabi, che fino ad allora aveva trattenuto le lacrime, iniziò a disperare e finalmente a piangere. Il ragazzo uscì e chiese chi ci fosse. Si arrampicò su un lato della roccia e tese la mano a Gabi. Pian piano ella discese ed ambedue entrarono nella grotta.
«È meglio aspettare l’alba, quando potremo vedere dove mettiamo i piedi» disse Goffredo «Sì» rispose Gabi. Si accovacciarono in un angolo, vicini l’uno all’altro. Goffredo prese dalla sua sacca delle fette di pane ed il succo di frutta.
Fu il loro indimenticabile cenone di Natale.
Per riscaldarsi ognuno toglieva all’altra la neve sui vestiti. Guardavano ora a destra ora a sinistra verso le due aperture della galleria e vedevano cadere ancora i grandi fiocchi di neve, ma finalmente tra questi apparve una fiammella, che essi scambiarono per la luce di una stella, ma la luce si avvicinava. Sentirono dall’altra parte delle voci e videro altre luci.
Erano gli abitanti dei due paesi che finalmente li avevano trovati. Gabi si alzò e corse ad abbracciare il padre, il quale fu tanto felice di averla ritrovata che dimenticò la punizione che aveva progettato di infliggerle. Altrettanto avvenne per Goffredo.
Quando mamma Gabi racconta la sua avventura ai figli che ha avuto da Goffredo la arricchisce con la presenza di qualche pericoloso lupo, affinché essi non siano sconsiderati come fu lei.
Il racconto di quella notte è ormai parte della storia dei due paesi ed i giovani innamorati scelgono di celebrare il matrimonio nella grotta.
aprile 2010
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