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La città che leggeva
Mario Amato
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Non so dire né quando né come entrai in quella città, ma so che posso tornarvi ogni volta che lo desidero. Ricordo che, trovandomi non lontano dalla città, sentii lievi fruscii, vocii flebili, bisbiglii deboli, che confusi per il sibilo del vento o per il mormorio di un fiume. Quei rumori, che entravano con discrezione nel mio animo, mi attrassero.
Non ho memoria del cammino che percorsi, non so se fu il vento a sospingermi o se costeggiai un fiume, ma so che mi trovai tra strade affollate, dove le persone camminavano tenendo libri aperti in mano. I sussurri giungevano da ogni dove, dalle finestre aperte, dai ristoranti eleganti e dalle taverne, dinanzi alle cui soglie stavano camerieri o osti unti di olio, anch’essi intenti alla lettura.
Mi guardai intorno e infine compresi che quella musica che mi aveva condotto in quelle vie non era suonata né dal vento né da un fiume, ma proveniva dalle pagine dei libri. Ancora diedi uno sguardo, cercando una libreria, ma non ve ne era alcuna, allora chiesi a un passante, che mi guardò alquanto sorpreso, sorrise e continuò diritto per la sua strada. Mentre quel signore se ne andava, uscirono spontanee dalla mia voce le scuse per averlo disturbato.
Entrai in un locale, nella speranza che qualcuno mi spiegasse dove mi trovassi: i tavoli erano tutti occupati e gli avventori, mentre consumavano il pasto, leggevano; solo pochi chiacchieravano tra di loro e dalle poche parole che riuscii a percepire, parlavano di libri. Un cameriere mi fece cenno d’accomodarmi a un tavolo dove c’era un solo posto libero, ma non aspettò che ordinassi, perché dopo essere scomparso in cucina, riapparve e depositò dinanzi a me un libro. In realtà, ero dapprima convinto che si trattasse del menù, invece era un romanzo o forse un libro di poesie o un antico poema. Quando tornò nuovamente il cameriere, chiesi stupidamente se fosse possibile avere una pianta topografica della città; egli sorrise, come anche tutti coloro che erano seduti al tavolo. Finalmente una fanciulla mi rispose, dicendomi che l’unico modo di conoscere la cittadina era vagabondare attraverso le strade senza alcuna meta. Perseverai, domandando ancora di qualche libreria, ma dovetti ben presto avvedermi della mia dabbenaggine, perché gli avventori che si alzavano per andarsene, lasciavano sul tavolo il loro libro, se avevano terminato di leggerlo.
Devo anche dire che il pasto fu ottimo ed era un bel miscuglio quello ottenuto dagli odori di cibi bevande e libri.
Restai nella locanda fin quando non ebbi finito di leggere il libro che mi era stato porto dal cameriere, poi lo lasciai sul tavolo, adeguandomi alle usanze del luogo. Era ormai sera, i lampioni erano accesi, ma i passanti continuavano a camminare leggendo. Mi avventurai in un giardino, tra alberi, fiori e siepi, ma solo dopo un po’ di tempo mi accorsi che le siepi erano tagliate a forma di libro o di pagina, i fiori nelle aiuole formavano lettere di poesie, sulle cortecce degli alberi erano incise parole e si potevano leggere interi romanzi. Molti sedevano sulle panchine, naturalmente intenti alla lettura, ma sulle panchine vuote giacevano libri in attesa del loro lettore. Uno di quei libri aspettava me! Sedetti e lessi. Quando terminai l’ultima pagina, mi alzai e stavo per infilare il volume nella tasca della giacca, ma vidi subito che c’era dinanzi a me un ragazzo che aspettava ed allora lasciai il libro sulla panchina.
Trascorsi l’intera notte vagando tra giardini, parchi, bettole, leggendo, come facevano tutti in quel luogo.
Con il trascorrere del tempo compresi le regole della città:
novembre 2010
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