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L'irragionevole guerra dell'islam contro Benedetto XVI - di Sandro Magister

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione post diploma
Tipologia: Documentazione

Abstract: L'irragionevole guerra dell'islam contro Benedetto XVI
A Ratisbona, il papa aveva offerto come terreno di dialogo tra cristiani e musulmani l'”agire secondo ragione”. Ma il mondo islamico l'ha aggredito stravolgendo il suo pensiero: con ciò confermando che il rifiuto della ragione reca con sé intolleranza e violenza. Le incognite del viaggio in Turchia

di Sandro Magister

ROMA, 18 settembre 2006 – Appena ritornato dal suo viaggio in Baviera, come da programma, Benedetto XVI ha insediato il cardinale Tarcisio Bertone alla testa della segreteria di stato e ha promosso l'arcivescovo Dominique Mamberti a nuovo ministro degli esteri della Santa Sede.

Contemporaneamente si è trovato ad affrontare un'ondata di proteste senza precedenti da parte del mondo musulmano. Per le cose da lui dette all'Università di Ratisbona il 12 settembre.

I due fatti non sono tra loro slegati. Bertone non è un diplomatico di carriera ma un uomo di dottrina e un pastore d'anime. Più che segretario di stato – ha detto – vorrà essere segretario “di Chiesa”. Insediandolo, il papa ha confermato che dalla segreteria di stato e dalle rappresentanze pontificie nel mondo si aspetta collaborazione anzitutto nel compito che gli spetta come successore di Pietro: “confermare i fratelli nella fede”.

Anche in Baviera Benedetto XVI era andato a far questo, e non altro. Come ha sottolineato al termine del viaggio:

“Sono venuto in Germania, in Baviera, per riproporre le eterne verità del Vangelo come verità e forza attuali e confermare i credenti nell'adesione a Cristo, Figlio di Dio fattosi uomo per la nostra salvezza. Sono convinto nella fede che in Lui, nella sua parola, si trova la via non solo per raggiungere la felicità eterna, ma anche per costruire un futuro degno dell'uomo già su questa nostra terra”.

Meno diplomazia e più Vangelo: è questa la rotta che Joseph Ratzinger assegna al governo centrale della Chiesa. Anche nella scelta dell'arcivescovo Mamberti come ministro degli esteri il papa ha tenuto conto, più che della sua competenza diplomatica, della sua conoscenza diretta del mondo musulmano e delle connesse questioni di fede e di civiltà. Nato a Marrakesh, francese della Corsica, Mamberti è stato rappresentante pontificio, oltre che in Cile e alle Nazioni Unite, in Algeria, Libano, Kuwait, Arabia Saudita, e da ultimo in Sudan, Eritrea e Somalia.

Ed è ancora questo – meno diplomazia e più Vangelo – il criterio che ha portato il papa, nel corso del suo viaggio in Germania, a dire parole così politicamente scorrette. E potenzialmente così esplosive.

Qualsiasi esperto nelle arti diplomatiche e cultore del “realismo” nelle relazioni internazionali avrebbe sicuramente censurato, come inopportuni e pericolosi, numerosi passaggi delle omelie e dei discorsi tenuti da Benedetto XVI in Germania.

Ma questo non è un papa che si assoggetti a simili censure o autocensure, che egli giudica, esse sì, inopportune e pericolose quando toccano i capisaldi della sua predicazione. Nel suo viaggio in Germania si era prefisso di far risplendere davanti all'uomo moderno cristiano, agnostico o di altra fede, dell'Europa come dell'Africa o dell'Asia, quella verità semplice e suprema che è l'altra faccia dell'affermazione alla quale ha dedicato l'enciclica “Deus Caritas Est”. Dio è amore ma è anche ragione, è “Logos”. Per cui la ragione, se si separa da Dio, si chiude in se stessa. E viceversa la fede in un Dio “irragionevole”, arbitrio assoluto, può generare violenza. Ogni religione, cultura, civiltà è esposta a questo doppio errore. Non solo l'islam ma anche il cristianesimo, al quale il papa ha peraltro rivolto la quasi totalità della sua predicazione.

Due giorni prima della lezione all'Università di Ratisbona sulla quale si è avventata la protesta di governanti e opinion-maker musulmani, Benedetto XVI aveva esposto questa verità nell'omelia della messa di domenica 10 settembre a Monaco di Baviera, con accenti che l'avevano fatto passare, in qualche commento sui media, addirittura per filoislamista.

Aveva detto il papa:

“Le popolazioni dell'Africa e dell'Asia ammirano, sì, le prestazioni tecniche dell’Occidente e la nostra scienza, ma si spaventano di fronte ad un tipo di ragione che esclude totalmente Dio dalla visione dell'uomo, ritenendo questa la forma più sublime della ragione, da insegnare anche alle loro culture. La vera minaccia per la loro identità non la vedono nella fede cristiana, ma invece nel disprezzo di Dio e nel cinismo che considera il dileggio del sacro un diritto della libertà ed eleva l'utilità a supremo criterio per i futuri successi della ricerca. Cari amici, questo cinismo non è il tipo di tolleranza e di apertura culturale che i popoli aspettano e che tutti noi desideriamo! La tolleranza di cui abbiamo urgente bisogno comprende il timor di Dio – il rispetto di ciò che per l’altro è cosa sacra. Ma questo rispetto per ciò che gli altri ritengono sacro presuppone che noi stessi impariamo nuovamente il timor di Dio. Questo senso di rispetto può essere rigenerato nel mondo occidentale soltanto se cresce di nuovo la fede in Dio, se Dio sarà di nuovo presente per noi ed in noi. La nostra fede non la imponiamo a nessuno...”.

Ma poi è arrivata la lezione di Ratisbona, e la lettura che ne hanno dato i leader del mondo musulmano – mufti, predicatori, opinionisti, uomini di governo, con un propagarsi e un ingigantirsi dell'offensiva simili a quelli di qualche mese fa contro le vignette blasfeme – è stata diametralmente opposta. Le accuse muovevano da un clamoroso capovolgimento delle tesi esposte da Benedetto XVI ed esulavano proprio da quell'esercizio della ragione invocato dal papa come il terreno proprio di un vero dialogo tra le religioni e le civiltà.

Bene ha fatto, pertanto, il nuovo ministro degli esteri vaticano, Mamberti, a replicare non annunciando impensabili ritrattazioni da parte del papa, ma rinviando semplicemente a una lettura “diretta” e completa della lezione da lui tenuta a Ratisbona.

Il 16 settembre, il neosegretario di stato Bertone ha emesso una nota ufficiale riaffermando le posizioni “inequivocabili” del papa, il suo rincrescimento per interpretazioni del suo pensiero impropriamente ritenute offensive, e l'augurio che “coloro che professano l’islam siano aiutati a comprendere nel loro giusto senso le sue parole”.

E all'Angelus di domenica 17, lo stesso Benedetto XVI ha così puntualizzato:

“Sono vivamente rammaricato per le reazioni suscitate da un breve passo del mio discorso nell’Università di Ratisbona, ritenuto offensivo per la sensibilità dei credenti musulmani, mentre si trattava di una citazione di un testo medioevale che non esprime in nessun modo il mio pensiero personale. Ieri il signor cardinale segretario di stato ha reso pubblica, a questo proposito, una dichiarazione in cui ha spiegato l’autentico senso delle mie parole. Spero che questo valga a placare gli animi e a chiarire il vero significato del mio discorso, il quale nella sua totalità era ed è un invito al dialogo franco e sincero, con grande rispetto reciproco”.

* * *

Ciò non toglie che la lezione di Benedetto XVI a Ratisbona – integralmente rilanciata da www.chiesa, in italiano e in inglese, un'ora dopo che era stata pronunciata – è stata davvero audacemente impolitica.

Il papa ha preso spunto da un dialogo intercorso nel 1391 tra l'allora imperatore di Costantinopoli, Manuele II Paleologo, e un dotto musulmano della Persia circa l'irragionevolezza della diffusione della fede mediante la violenza.

Quel dialogo non era un esercizio accademico. Quel poco che restava dell'Impero Romano d'Oriente era sotto l'attacco finale delle armate ottomane. Una sessantina d'anni dopo, nel 1453, Costantinopoli sarebbe caduta sotto il dominio musulmano e la basilica di Santa Sofia sarebbe stata trasformata in moschea.

Ebbene, il prossimo viaggio che Benedetto XVI ha in programma, alla fine di novembre, è proprio a Istanbul, nome corrente di Costantinopoli, con arrivo ad Ankara, capitale della Turchia, e tappa ad Efeso, in quella che tradizionalmente è chiamata la “Casa della Madonna”.

A invitare il papa, alla metà del 2005, era stato il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I. Benedetto XVI aveva accolto immediatamente l'invito, senza aspettare che fosse confermato da un pari invito da parte delle autorità turche. E già questo era bastato a irritare il governo di Ankara, che non riconosce a Bartolomeo I il ruolo di patriarca ma lo tratta da semplice cittadino. Nella Turchia di oggi i cristiani sono poche decine di migliaia, per lo più appartenenti alla Chiesa armena. I fedeli del patriarcato di Costantinopoli sono 3-4 mila. E poche migliaia sono anche i cattolici.

Il governo turco ha invitato formalmente il papa lo scorso febbraio. Ma poco prima, il 5 di quel mese, c'era stata l'uccisione in una chiesa di Trebisonda, sul Mar Nero, di un sacerdote italiano, don Andrea Santoro. Successivamente altri preti sono stati presi di mira da minacce e attentati. Da alcuni mesi vari esponenti della Chiesa cattolica in Turchia vivono protetti da ufficiali di polizia in borghese e senz'armi. Le loro telefonate sono controllate e la loro posta è spesso consegnata aperta. Più che protetti, hanno la sensazione di essere controllati.

Lo scorso giugno è stato in visita in Turchia un altro importante capo di Chiesa, il “Catholicos” degli armeni Karekin II. Un riferimento che egli ha fatto allo sterminio di armeni compiuto dall'Impero Ottomano nella sua fase finale gli è valso una procedura penale per offese alla Turchia avviata dalla magistratura di Istanbul.

La libertà religiosa è largamente carente, in Turchia: anche per i musulmani non sunniti, gli aleviti. Il presidente dell'ufficio che controlla l'islam turco per conto del governo, Ali Bardakoglu, è inflessibile nel respingere la richiesta degli aleviti di essere riconosciuti come comunità musulmana distinta. I loro luoghi di culto continuano a essere declassati a “centri culturali”.

Ed è stato proprio Ali Bardakoglu, tra le autorità turche, il primo a reagire alla lezione di Benedetto XVI a Ratisbona. Così:

“Il suo è un discorso molto provocatorio, ostile e pregiudiziale. Spero che non rifletta un'ostilità albergata nel mondo interiore del papa che rivela un atteggiamento presuntuoso, viziato ed arrogante, di chi sa di avere dietro di sé il potere economico dell'Occidente. Se un uomo di religione o uno scienziato critica la storia di una religione o i membri di quella religione, possiamo discuterne. Ma quando si mette bocca sulle cose sacre, sul Libro sacro e sul suo Profeta è segno di arroganza, di ostilità e dà luogo a una maldicenza che attizza la lotta di religione. Il mondo musulmano deve guardare con preoccupazione al prossimo viaggio di Benedetto XVI in Turchia. Aspettiamo che ritiri le sue parole e chieda scusa al mondo dell'islam”.

Se questo è il benvenuto a Benedetto XVI da parte di chi sovrintende all'islam in Turchia, le prospettive non sono incoraggianti.

Va notato che ad occuparsi del viaggio del papa – come anche degli affari delle minoranze religiose cristiane, considerate come straniere agli effetti civili – è in Turchia il ministero degli esteri, di tendenza più laicista, controllato dal “governo invisibile” erede della rivoluzione anti-islamista di Kemal Atatürk. Ma questa corrente è oggi più debole che in passato.

In regresso sembrano anche le correnti favorevoli a un'entrata della Turchia nell'Unione Europea. I negoziati preliminari con la UE segnano il passo su due questioni insolute. Il riconoscimento da parte della Turchia dello stato di Cipro con capitale Nicosia e, appunto, la libertà religiosa.

Viceversa, è in crescendo nei media turchi l'ostilità a tutto ciò che è occidentale, europeo e cristiano. L'opinione laica è soverchiata da quella d'impronta islamista, sempre più battagliera. Un mediocrissimo libro di fantapolitica scritto da un giornalista specializzato in intrighi, Yücel Kaya, pubblicato a fine agosto in Turchia, ha avuto uno spettacolare successo di vendite. Il titolo dice tutto: “Attentato al papa. Chi ucciderà Benedetto XVI a Istanbul?”.

Il capitolo Turchia è il primo sul quale il nuovo ministro degli esteri vaticano, Mamberti, dovrà misurarsi.

Quanto a Benedetto XVI, sa di non aver agevolato il suo viaggio in Turchia. Ma è convinzione fermissima del papa che una visita preparata e compiuta sotto lo scudo di reticenze, silenzi, dialoghi puramente cerimoniali, sottomissioni avrebbe fatto più male che bene. Alla Chiesa come anche al mondo musulmano.

Se invece tutti prendessero in mano seriamente, e leggessero da capo a fondo, l'inno alla ragione che egli ha elevato a Ratisbona... Perché in fondo, a giudizio di Benedetto XVI, il cuore della questione è sempre il medesimo che discussero nel 1391 l'imperatore di Costantinopoli e il suo dotto contraddittore persiano: “Non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio”.

http://www.chiesa.espressonline.it/dettaglio.jsp?id=84185



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