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L'islam d'Europa esce dall'isolamento di Tariq Ramadan - Aprile 1998- Nell'Europa medievale l'islam aveva fortemente contribuito a formare il pensiero occidentale razionalista, laico e moderno. Ma la nuova presenza musulmana sul Vecchio Continente è recente, da sessanta a settant'anni, e dunque risente, sul piano storico, del breve periodo. Ci sono voluti secoli di dibattiti e di conflitti perché le altre minoranze religiose o nazionali (ebrei, cattolici, protestanti, ortodossi, polacchi, italiani o portoghesi a seconda dei paesi) trovassero il loro posto e acquisissero i loro diritti nel paese che le ospitava. Come si può pensare che nel caso dei musulmani la questione possa essere risolta nello spazio di due o tre generazioni?

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media inferiore, Formazione permanente
Tipologia: Materiale di studio

Abstract:
L'islam d'Europa esce dall'isolamento


Benvenuti quando l'economia ha bisogno di braccia, gli immigrati sono violentemente rifiutati quando compare una crisi. Allora diventano capri espiatori, che sia in Europa con l'ascesa del Fronte nazionale o nel Sud Est asiatico (cfr. a pagina 8 l'articolo di Solomon Kane e Laurent Passicousset). Presentata dai governi come un mezzo di controllo dei flussi migratori, le politiche di cooperazione spesso prive di fondi necessari, suscitano sospetti e diffidenze nel Sud del mondo (cfr. a pagina 8 l'articolo di Charles Condamines). Eppure un buon numero di indizi mostra che siamo già impegnati nell'integrazione reale dei musulmani che vivono nel Vecchio Continente. Ma perché i loro sforzi siano coronati dal successo bisognerà che i governi rinuncino a riprendere i temi dell'estrema destra e che le società si liberino dalle visioni semplificatorie dell'islam.
di Tariq Ramadan*
Nell'Europa medievale l'islam aveva fortemente contribuito a formare il pensiero occidentale razionalista, laico e moderno.
Ma la nuova presenza musulmana sul Vecchio Continente è recente da sessanta a settant'anni e dunque risente, sul piano storico, del breve periodo. Ci sono voluti secoli di dibattiti e di conflitti perché le altre minoranze religiose o nazionali (ebrei, cattolici, protestanti, ortodossi, polacchi, italiani o portoghesi a seconda dei paesi) trovassero il loro posto e acquisissero i loro diritti nel paese che le ospitava. Come si può pensare che nel caso dei musulmani la questione possa essere risolta nello spazio di due o tre generazioni?
Per di più le prime ondate di immigrati musulmani erano composte da operai nordafricani, turchi o indopakistani, di origine molto modesta, spinti dalla pressione economica, il loro livello di istruzione e la precarietà della loro condizione non hanno permesso per almeno una generazione di pensare alla realtà di un islam d'Europa. E' stato necessario arrivare a una seconda e a una terza generazione per modificare la percezione che i lavoratori avevano della loro presenza: il fatto è patente in Francia, mentre in Gran Bretagna i raggruppamenti comunitari hanno spesso riprodotto la strutturazione sociale del paese, o della regione d'origine.
Terzo fattore: l'impatto degli avvenimenti internazionali. Non si ripeterà mai abbastanza quanto questi ultimi, a partire dalla rivoluzione iraniana del 1979, abbiano influito sulle mentalità e la percezione negativa dell'islam, che si è ampiamente diffusa nelle società europee. Dal caso Salman Rushdie fino alle follie dei talebani, passando per gli attentati e le violenze in Medioriente e gli orrori quotidiani in Algeria, quegli avvenimenti hanno alimentato una tensione che si è andata ad aggiungere alla crisi sociale che ha investito l'Europa, col suo seguito di disoccupazione, esclusione e violenza urbana.
Ce n'è abbastanza per rendere difficile, o addirittura impossibile, il dibattito sulla presenza musulmana, spesso confusa, frettolosamente, col problema dell'immigrazione. Si può perfino parlare di una sorta di"islamofobia", dal titolo del prezioso studio commissionato in Gran Bretagna dal Runnymede Trust nel 1997 (1). Demonizzata, l'immagine dei musulmani impedisce una valutazione seria delle dinamiche che attraversano le loro comunità in Europa.
Le seconde e terze generazioni hanno dunque svolto un ruolo determinante nell'evoluzione delle mentalità all'interno delle diverse comunità musulmane in Europa, per due ragioni, apparentemente contraddittorie. Da una parte la percentuale di giovani che praticano quotidianamente la religione musulmana è bassa, anche se per molti di loro l'integrazione nella società del paese ospitante è stata di fatto un'assimilazione (2).
Questo fenomeno ha costretto i responsabili delle moschee e i quadri associativi musulmani della prima generazione a ripensare forme e modalità di azione. Diretti da governi o militanti musulmani in esilio, essi hanno dovuto adattarsi alla situazione della gioventù, parlarne la lingua, riorientare la formazione religiosa e ridefinire le modalità delle attività sociali e culturali. Viceversa la ripresa della pratica religiosa tra una minoranza di giovani ha prodotto un moltiplicarsi di associazioni: in quindici anni il loro numero è raddoppiato se non triplicato.
Sono ormai i giovani musulmani sempre più attivi trentenni, nati in Europa, spesso studenti o laureati presso le università europee, a dinamizzare il tessuto associativo. Il loro impegno ha imposto profondi cambiamenti nelle mentalità, perché questi giovani ormai si sentono a casa loro in Europa e vogliono far valere i loro diritti. Di qui una frattura tra le generazioni perché, contrariamente ai primi emigranti, questi giovani cercano di occupare apertamente il terreno intellettuale e sociale.
Il peso della seconda generazione Il loro dinamismo e la loro cultura europea hanno spinto i fratelli maggiori, vecchi membri dei movimenti islamici in Nordafrica, in Medioriente o in Asia, a riconsiderare da capo il loro approccio e la loro posizione intellettuale nei confronti del continente europeo. Questo fenomeno ha innescato importanti dibattiti all'interno delle comunità musulmane e in particolare tra i saggi musulmani (ulema): consultati sulle questioni di giurisprudenza islamica (fiqh), perfino costoro sono stati indotti a rivedere la loro posizione con nuove norme giuridiche (fatwas) adattate alle realtà della vita occidentale.
Associazioni come quella dei Giovani musulmani (Ym), della Società islamica britannica (Isb) in Gran Bretagna o ancora dei Giovani musulmani di Francia (Jmf e Emf), o l'Unione dei giovani musulmani (Ujm), l'Associazione degli studenti islamici di Francia (Aeif) e tante altre in Europa hanno portato avanti un lavoro che ha rimesso in discussione temi profondi, costringendo gli ulema a elaborare un quadro di riferimento teologico-giuridico più chiaro all'interno del contesto europeo.
Così negli anni 80 e 90 è emersa la necessità di un rinnovamento del pensiero islamico in Occidente. Ormai europei, i giovani musulmani pongono, direttamente o indirettamente, questioni che richiedono risposte esplicite. L'Europa dev'essere considerata, secondo la terminologia e le considerazioni geopolitiche degli ulema del IX secolo, come dar al-harb (lo spazio della guerra) in contrasto con dar al-islam (lo spazio dove i musulmani, maggioritari, vivono sicuri e secondo la loro legge)? In altri termini, è possibile vivere in Europa? Se sì, quale dev'essere il rapporto tra musulmani e legislazioni nazionali? Un giovane musulmano può prendere la cittadinanza di una nazione europea e vivere pienamente il suo ruolo di cittadino? Tutte domande alle quali i saggi musulmani non avevano mai risposto in modo coerente, completo e circostanziato.
A partire dagli anni 90, gli incontri di natura teologica e giuridica si moltiplicano: gli ulema del mondo musulmano, ma anche un numero sempre maggiore di imam e di intellettuali che vivono nei paesi europei prendono parte a questi dibattiti di fondo (3). Producendo, sul piano della giurisprudenza musulmana, acquisizioni di primaria importanza. Sono cinque i principi attorno ai quali esiste un consenso quasi unanime tra i saggi e le comunità musulmane europee (4): un musulmano, residente o cittadino, deve considerarsi legato da un contratto morale e sociale al paese dove vive e deve rispettarne le leggi; le legislazioni europee (e di fatto i contesti laici) permettono ai musulmani di praticare l'essenziale della loro religione; la vecchia definizione dar al-harb che non viene dal Corano e non appartiene alla tradizione profetica è considerata caduca.
Altri concetti sono stati proposti per tradurre positivamente la presenza dei musulmani in Europa; i musulmani devono considerarsi cittadini a pieno titolo e partecipare, nel rispetto dei loro valori, alla vita sociale, associativa, economica e politica del paese nel quale risiedono; all'interno del campo delle legislazioni europee, niente impedisce ai musulmani o a qualunque altro cittadino, di fare le scelte che rispondono alle esigenze della sua fede (5).
Mentre lentamente si elabora questo quadro teorico, ritorna con forza il bisogno di affermare l'identità musulmana. Malgrado le pressioni, i giovani sono più attenti a che le legislazioni nazionali garantiscano il rispetto della loro identità. Le discriminazioni dipendono più che altro da interpretazioni parziali o tendenziose della legge, a volte di natura xenofoba, come dimostra il rapporto già citato del Runnymede Trust.
Adesso molte associazioni musulmane si concentrano più sull'educazione civica e la partecipazione nazionale, percepite come tappa necessaria verso l'acquisizione dei diritti legittimi.
A livello locale sono state organizzate sessioni di sensibilizzazione, spesso d'intesa con le istituzioni specializzate.
Altro indizio della volontà di uscire dall'isolamento è la promozione della lingua nazionale nelle conferenze e nei sermoni del venerdì. In Gran Bretagna di fronte a movimenti tradizionalisti influenti (come i Barelwi o i Deobandi) i giovani di associazioni come il Fosis (associazione studentesca), l'Isb o il Ym lottano contro le tendenze comunitariste. Se riconoscono che il sistema multiculturale anglosassone ha permesso, in larga misura, di proteggere l'identità culturale delle popolazioni indopakistane, i loro responsabili combattono le discriminazioni suscitate dalla ghettizzazione.
L'islam d'Europa sembra anche trovare la strada della sua indipendenza politica e finanziaria. Se le grandi moschee e istituzioni restano legate ai governi, le associazioni tendono a sfuggire a ogni dipendenza, mentre ormai i luoghi di culto vengono edificati in gran parte con i fondi raccolti in seno alle comunità. Le attività dei giovani si autofinanziano o beneficiano di sovvenzioni offerte dalle amministrazioni (6).
Preziosa indipendenza...
Progressivamente il tessuto associativo musulmano si allontana in Europa dalle"guerre dei notabili" per la rappresentanza ufficiale delle comunità nazionali. Questa dinamica permette di sperare in una vera rappresentanza proveniente dalla base, scelta dalla base, politicamente e finanziariamente indipendente.
Tanto più che la realtà del pluralismo all'interno delle comunità è ormai gestita con minori reticenze. Ne sono prova, anche se le resistenze continuano a essere forti, la composizione del Consiglio islamico di Spagna, del Consiglio superiore del Belgio o del recentissimo Consiglio dei musulmani di Gran Bretagna, creato nel novembre 1997.
Ultimo indizio della profonda mutazione in corso sono le nuove produzioni culturali e artistiche musulmane. In Gran Bretagna, in Spagna o in Francia numerosi gruppi stanno dando vita a una vera cultura islamica europea. Se alcuni di loro si accontentano di imitare i generi noti (rap, varietà, teatro popolare) altri danno prova di una reale capacità di adattamento. Staccandosi poco a poco dalla cultura araba, turca o indopakistana, quelle espressioni artistiche cercano di rispettare i valori islamici tenendo conto dei costumi e dei gusti nazionali. Appariranno ben presto produzioni ancora più originali, espressione di una identità musulmana europea ormai accettata.
Ma la realtà delle discriminazioni quotidiane, della diffidenza e del rifiuto rimane e i musulmani vivono ancora molto male la loro presenza in Europa. Il cammino della coesistenza è disseminato di ostacoli dovuti, più che a un fatto legislativo, al pregiudizio sempre più radicato per cui la natura dell'islam e dei musulmani sarebbe assolutamente"non integrabile".
Questo indica l'urgenza di uno sforzo importante di formazione e di informazione. Perché le percezioni semplicistiche dell'islam impediscono al largo pubblico di venire a conoscenza dei progressi realizzati in materia di integrazione. Le iniziative di dialogo che si moltiplicano, lo sforzo dei musulmani stessi per farsi conoscere meglio (incontri interreligiosi, giornate"porte aperte", dibattiti universitari, ecc.) e la volontà di alcuni intellettuali e giornalisti di non cedere alla caricatura aprono la porta, sia pure solo uno spiraglio, a un avvenire di rispetto reciproco.
Bisognerà allora smetterla di pensare a un'integrazione musulmana passiva e timorosa, ma cominciare a contare sul contributo dei musulmani alla costruzione dell'Europa. La loro presenza rappresenta un arricchimento: contribuisce alla riflessione sullo spazio della spiritualità nelle società secolarizzate come sulla giusta gestione del pluralismo religioso e culturale. Più in generale i musulmani dovrebbero associarsi naturalmente a tutti coloro che interrogano la loro società sulla questione del senso, dell'etica e della giustizia sociale.
note:
* Professore di filosofia e di islamologia al collège de Genève e all'università di Friburgo (Svizzera). Autore di To be a European Muslim, Islamic Foundation, Leicester 1998.
(1) Commissione sui musulmani britannici presieduta dal professor Gordon Conway, Islamophobia: Fact not Fiction, Runnymede Trust, ottobre 1997.
(2) Tra il 60% e il 70% dice di rispettare il digiuno del ramadan, ma solo una percentuale tra il 12% e il 18% prega quotidianamente; il 75%-80% non parla più la lingua d'origine o la parla molto male. Cfr. To be a European Muslim, Islamic Foundation, Leicester, aprile 1988.
(3) Una decina di ulema del mondo musulmano si sono riuniti nel luglio 1992, poi nel luglio 1994 all'Istituto europeo delle scienze umane di Chëteau-Chinon per esaminare dal punto di vista giuridico islamico la presenza musulmana in Europa. In Gran Bretagna la Islamic Foundation ha moltiplicato le iniziative in tale direzione a partire dal 1990. Ma Londra ha anche visto la creazione nel marzo 1997 del Consiglio europeo per l'elaborazione dei pareri giuridici e delle ricerche. Cfr. il bollettino Sawt Uruba ("La Voix de l'Europe"). Federazione delle associazioni islamiche d'Europa, Milano, maggio 1997 (in arabo).
(4) Gruppuscoli come At-Tahrir, Al-Muwahhiddun o Al-Muhajirun, chiamano con violenza a un'applicazione riduttiva della charia in Europa, ma sono molto isolati anche se i media ne gonfiano l'importanza.
(5) Quanto agli obblighi di legge che potrebbero essere in contraddizione con un principio islamico (situazione oggi assai rara), impone uno studio per identificare le priorità e/o le prospettive di adattabilità.
(6) Nel 1997 alcune associazioni musulmane in Gran Bretagna o in Francia hanno presentato domande (accolte) al programma della Commissione europea"Un'anima per l'Europa", si veda il bilancio annuale della commissione, Rapporto annuale 1997, Segretariato generale della Commissione europea, Bruxelles.
(Traduzione di M. B.)


http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Aprile-1998/pagina.php?cosa=9804lm07.01.html



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