Di Alessandro Fanfoni - www.formazionepolitica.org
"Le popolazioni d'Asia e d'Africa" sono spaventate, "la vera minaccia per la loro identità non la vedono nella fede cristiana, ma nel disprezzo di Dio e nel cinismo che considera il dileggio del sacro un diritto della libertà ed eleva l'utilità a supremo criterio morale per i futuri successi della ricerca". Con queste parole pronunciate a Monaco di Baviera, Benedetto XVI ha eretto un ponte ecumenico tra le civiltà religiose, creando un pericoloso e involontario parallelismo tra la strenua resistenza che il cristianesimo ha ingaggiato con la iper-secolarizzazione e l'ateismo radicale delle società occidentali, e l’offensiva "anti-imperialista", mascherata di significati religiosi, che quella parte fondamentalista dell'Islam – sotto svariate forme – ha intrapreso nei confronti del modello culturale occidentale.
"Il mondo ha bisogno di Dio", questo il grido del Pontefice che, nel postulare una costante antropologica del sentimento religioso, ha individuato nell'abbandono del sacro la radice del male dei nostri tempi e persino la causa profonda della sfida che altre culture – meno secolarizzate della nostra, anzi decisamente teocentriche – portano a una società senza Dio. Ma le cose stanno veramente così? E' il fatto religioso la vera posta in gioco che infiamma il Medio Oriente o che distrugge il WTC? O non sono forse speculazioni finanziarie, flussi di petrolio, strategie di potere, equilibri geo-politici i nervi reali della maschera religiosa? Che la questione sia assai complessa non può nasconderselo nemmeno il Papa-teologo Joseph Ratzinger.
"Le ragioni di fondo del cosiddetto scontro di civiltà non sono le religioni, non lo sono mai" - come ha dichiarato Massimo Cacciari. E se il corollario del discorso di Monaco, sembrerebbe essere che un autentico dialogo tra le religioni, aperte a un compromesso in grado di sospendere la competizione tra verità assolute, potrebbe più del pluralismo liberale - che forse dell'ateismo ha solo le sembianze – tuttavia non possiamo non ricordare Spinoza, quando nel Tractatus scrive: "Ora, poiché ci è toccato il raro privilegio di vivere in una repubblica nella quale a ciascuno sono concesse completa libertà di giudizio e libera scelta del culto divino più conforme alle proprie inclinazioni; in una repubblica nella quale nulla è più prezioso e più dolce della libertà, io ho creduto di non fare cosa né sgradita né inutile dimostrando che non solo questa libertà, se concessa, non pregiudica il sentimento religioso e la pace civile, ma anzi, se soppressa, provoca con la propria rovina la rovina della pace civile e del sentimento religioso stesso".