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Religione
Giovanni Paolo II - Quel giorno che camminò lungo la "mia" Via Crucis. Un articolo di Mario Luzi

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore
Tipologia: Materiale di studio

Abstract: Quel giorno che camminò lungo la "mia" Via Crucis
di Mario Luzi, poeta


Su Giovanni Paolo II avevo già un'idea preliminare, un vago preconcetto quando, da poco eletto, emanò la sua prima enciclica. Aveva come tema il lavoro e rivelava una tale attenzione alla realtà fisica e psichica della fatica dell'uomo al presente e una tale conoscenza delle frustrazioni del lavoro moderno, da indurre a pensare che quelle riflessioni non nascessero tanto ex-cathedra, quanto fossero maturate dall'esperienza. C'era in esse una precisione e una concretezza sorprendenti insieme all'intuizione poi, si sentiva, a lungo meditata sulle trasformazioni e i mutamenti in corso nel sistema. Mi toccò in particolare ciò che in quelle pagine era detto del rapporto tra il lavoratore e le cose che produce, non richieste per lo più da bisogno primario e autentico ma dall'astratta necessità della produzione stessa: cose dunque estranee, spesso inutili. Una reificazione minacciosa. Quando qualche anno più tardi venne a Firenze, in una breve allocuzione di saluto che la città mi aveva benevolmente affidato, glielo ricordai e mi parve ne fosse contento. Ma nel frattempo si era, con una forte chiarezza, manifestato l'altro aspetto della sua missione pontificale: quello apostolico, che poi ha finito per prevalere. È infatti a tal punto visibile e glorioso, che nessuno, neppure di altra famiglia o opinione, lo discute. Suscita ammirazione e commozione vedere con quale ostinata volontà, quasi rispondesse a una sovrumana imposizione, egli adempie il compito, contro ogni avversità e impedimento del corpo e delle circostanze. Tuttavia questo impegno sacrificale e profetico non oscura nel mio giudizio la facies dell'intelligenza concreta delle cose, dell'esperienza. Quel suo scendere nel vivo del fenomeno e del problema mi pare ammirevole. Ne ebbi un'altra prova evidente nel suo messaggio agli artisti, nel quale la riflessione sulla teologia e la teleologia dell'arte partiva, era chiaro, da una cognizione effettiva di causa. Lo scrittore, l'artigiano e l'artista potevano ascoltare un discorso che non passava sopra la loro testa. Se quello poteva apparire il beneficio di una comprensione privilegiata, sono innumerevoli i casi di incontro vero e proprio, di consonanza con gli uomini del lavoro, dello studio, della ricerca - voglio dire con le loro angustie e pene, con la loro fatica e le loro difficoltà non meno che con le loro soddisfazioni. Questa umana inerenza nel mondo degli uomini, e finanche nello specifico della loro situazione particolare, persuade, rende attendibile la sua parola anche a coloro che si professano estranei al suo Magistero. Alcuni che invece lo accettano come principio e come dogma, serbano qualche dubbio sull'ardimento della sua speculazione. Preferisco non entrare in questo argomento per il quale non mi ritengo preparato; se mai mi permetto di avanzare il sospetto che anche quella critica non sia adeguata e cioè giudichi con strumenti e criteri impropri la teologia missionaria e profetica di questo pontificato, l'antico, il perenne, l'attuale che è in questa interpretazione del cristianesimo apostolico. Ho avuto l'opportunità di presentargli in omaggio una edizione di Giobbe che avevo commentato. Sebbene fosse vistosamente sofferente, il colloquio su Giobbe lo rianimò e mi stupii della puntualità delle sue osservazioni che sembravano nascere da una lettura appena fatta o da una frequentazione assidua di quel libro biblico. Quanto alla Via Crucis che venni prescelto a comporre per il suo pellegrinaggio al Colosseo nel Venerdì santo dell'anno pregiubilare, i motivi di meraviglia furono più di uno: intanto il primo, che proprio a me fosse proposto un tema così alto, tragico e sublime. Il secondo che, una volta eseguita, l'opera, pur insolita rispetto alla liturgia tradizionale, fosse accolta con tanta liberalità e non mi venisse mossa alcuna obiezione. Il terzo motivo di meraviglia fu la tenacia con la quale Giovanni Paolo II volle seguire il percorso portando per lunghi tratti la croce, sostando alle stazioni e ascoltando la lettura con enorme, visibile sofferenza. Incarnava allora, al più alto grado, la testimonianza cristiana. Ma l'uomo rimaneva affabile; così lo vidi quando alcune settimane dopo volle ricevermi. Si toccarono in quella mezz'ora o poco più numerosi spunti e motivi del nostro presente. Mi venne da pensare che l'unica coscienza all'altezza dei mutamenti e delle nuove situazioni planetarie era al momento la sua. Non ce n'erano altre nel mondo contemporaneo. Non aveva un carisma appariscente ma aveva una motivazione dall'alto, precisa, quella modesta persona di lavoratore polacco.


http://www.liberalfondazione.it/archivio/Fl/numero7/viacrucis.htm



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