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Storia
Religione


(20 marzo 2000) - La  visita in Terrasanta. Le esigenze della politica e le spinte della memoria



Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione post diploma, Formazione permanente
Tipologia: Documentazione

Abstract:

(20 marzo 2000)

Oggi il Papa comincia la sua visita in Terrasanta
Le esigenze della politica e le spinte della memoria


Il sogno di Wojtyla
una terra per due popoli



di MARCO POLITI

 

ROMA - Sarà il viaggio più emozionante, difficile, intrigante - e forse più rischioso - dei suoi vent'anni di pontificato. Karol Wojtyla parte oggi per la Terrasanta. Visiterà i luoghi, sacri e insanguinati, dove da millenni si scontrano Oriente e Occidente, dove cozzano due visioni del mondo, l'Islam e la Cristianità, dove si mescolano tra pace e guerra le tre grandi religioni di Mosè, Cristo e Maometto.

Nella nostra epoca così disincantata pochi sembrano capire che il suo sarà soprattutto un pellegrinaggio mistico, la summa del suo lungo servizio sul trono di Pietro. Da quando servì messa sotto le bombe naziste nella cattedrale del castello di Cracovia sino ai giorni odierni, in cui vive la sofferenza fisica quotidiana come silenziosa e dovuta partecipazione alla Passione, Wojtyla si è sempre considerato una cosa sola: seguace di Cristo nel senso più profondo della parola.

Tra poche ore, rivestito degli abiti di Pietro, calcherà il suolo dove nacque, predicò, morì il Signore di tutti i cristiani. Pregherà sul luogo dove Cristo fu annunciato alla Madre, vedrà il fiume del suo battesimo, celebrerà nella sala della Cena dove fu creata la prima messa, pregherà sul Sepolcro. Altro di così tremendo ed emozionante il Papa pellegrino non potrà mai più desiderare né sperimentare.

I potenti del mondo già sono pronti a scrutare ogni suo gesto, ogni sua parola per vedere quali carte Giovanni Paolo II giocherà nella lunga contesa, che oppone arabi e israeliani da quasi mezzo secolo. Sul bilancino le cancellerie peseranno ogni minima virgola suscettibile di influenzare in una direzione o nell'altra un processo di pace difficile e complicatissimo, nel quale coraggiose colombe sono circondate da subdoli falchi e le bombe troppo spesso hanno interrotto il filo dei negoziati.

Perché il viaggio di Wojtyla in terra d'Israele e Palestina sarà "anche" politico. Soprattutto politico, pensano i molti che hanno l'occhio fisso sugli equilibri geopolitici. Israeliani e palestinesi lo tireranno certamente per la veste, intenzionati gli uni e gli altri a trarre politicamente profitto della sua presenza. Gli diranno gli israeliani che Gerusalemme è la capitale una, indivisibile ed eterna della nazione ebraica. Gli ricorderanno i palestinesi che Al Qods (il nome arabo della città) è luogo santo dell'Islam da circa millequattrocento anni e che le armi non possono cancellare il diritto. Microfono alla mano, gli osservatori staranno all'erta per registrare con quali slalom Giovanni Paolo II si destreggerà fra le opposte strumentalizzazioni.

Certamente il Papa non è solo una guida spirituale, negli ultimi due decenni ha dimostrato di essere anche un leader politico. Eppure Karol Wojtyla arriva nella terra dell'incancrenito conflitto arabo- israeliano soprattutto con il cuore. È la memoria, che lo guida, non l'approccio geopolitico. La memoria è quella della nazione polacca, che per secoli è stata spogliata di uno Stato, privata di una patria riconosciuta libera e sovrana dal consesso delle nazioni. Come può un polacco non provare affetto e partecipazione per chi una patria ha lungamente e dolorosamente cercato o sta ancora cercando? Come può non sentire un sentimento di fraternità per chi, profugo, sogna un focolare?

C'è Mickiewicz nella bisaccia di Wojtyla pellegrino in Medio Oriente, ci sono i poeti risorgimentali e romantici della sua Polonia, poeti il cui cuore batteva forte per i popoli perseguitati e senza patria. Dove i politici tenderanno a vedere solamente parole ben formulate e calcolate, ci sono invece le radici polacche del Papa venuto da lontano. La memoria storica spinge Giovanni Paolo II ad avere un'intensa partecipazione per la sorte di israeliani e palestinesi, un duplice amore si potrebbe dire.

Con il popolo ebraico, che in Auschwitz a pochi chilometri da Cracovia ha il memoriale più tragico della Shoah, c'era un debito unico, eccezionale da pagare. La colpa dell'odio cristiano, che ha alimentato l'antisemitismo nei secoli ed è stato l'acquitrino su cui è potuta prosperare la barbarie nazista della "soluzione finale". Papa Wojtyla questo debito l'ha pagato. Pregando ad Auschwitz, varcando la soglia della sinagoga di Roma, battendosi il petto nel mea culpa, invitando gli studiosi a scavare nell' antigiudaismo degli uomini di Chiesa, esprimendosi senza ambiguità contro ogni forma di antisemitismo e razzismo vecchi e nuovi. Il riconoscimento vaticano dello Stato d'Israele, da lui personalmente e fortemente voluto, è stato il segno della sua condivisione della gioia del "popolo errante" per la casa ritrovata.

Ma c'è in Terrasanta anche un altro popolo errante, i cui figli dispersi cercano ancora un loro focolare, confinati spesso in tristi baraccopoli nell'attesa del "ritorno". È un popolo, quello palestinese, che ancora vive il suo esodo e da quarant'anni vaga nel deserto della rabbia, della sfiducia, esposto ai demoni del terrorismo e della disperazione. Un altro popolo in schiavitù, che attende la sua terra promessa. Quando Giovanni Paolo II dirà una parola in loro favore non sarà "contro" qualcuno e male farà chi lo interpretasse in questo modo. Sarà unicamente perché il Papa polacco sempre condivide il dramma dei popoli in cammino verso una casa sicura.

Per quest'anno giubilare papa Wojtyla nutriva un grande sogno, la visione di una preghiera sul monte Sinai, che accomunasse i figli di Abramo: ebrei, cristiani e musulmani. Finora i fratelli arabi ed ebrei non si sono mostrati entusiasti dell'idea, anzi non vogliono nemmeno sentirsi legati dalla comune discendenza. Ma il vecchio Papa non perde la speranza. Come Abramo si misura con l'impossibile. Per questo parlerà di riconciliazione e di condivisione fra i fratelli in contesa, riproponendo Gerusalemme come luogo tutto speciale dello spirito. Una Città di Dio, che non può essere ridotta nei confini di un solo stato o di una sola nazionalità, essendo destinata ad avere un ruolo universale.

(20 marzo 2000)


http://www.repubblica.it/online/mondo/vaticano/politi/politi.html



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