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Religione
9 aprile 2004 - Iraq - Sciiti e sunniti marciano insieme

Lingua: Italiana
Destinatari: Formazione post diploma, Alunni scuola media superiore
Tipologia: Materiale di studio

Abstract:

Soldati Usa bloccano un convoglio di aiuti per la città stremata Centinaia di corpi delle vittime restano insepolti nelle strade

Sciiti e sunniti marciano insieme

DAL nostro inviato FABRIZIO RAVELLI

ABOU GHARIB - Sono ragazzi, in jeans e camiciola. La testa e il viso fasciati dalla kefiah biancorossa. In mano hanno kalashnikov, c'è anche uno col lanciarazzi Rpg in spalla. Corrono, quasi danzano sui bordi dell'autostrada deserta dove bruciano i rottami di un'autocolonna assaltata due ore fa. Due autocisterne e due mezzi blindati dell'esercito americano che facevano da scorta. Qui ad Abou Gharib, venti chilometri da Bagdad, sta per arrivare la colonna di civili iracheni, diverse migliaia, che vogliono portare aiuti a Falluja assediata, trenta chilometri più avanti. A Falluja, assediata dall'esercito Usa che impedisce il passaggio anche ai convogli umanitari, si combatte da quattro giorni una battaglia furiosa.

Ci sono 280-300 morti a Falluja, secondo fonti dell'ospedale. La guerriglia è nelle strade, dove giacciono cadaveri abbandonati. Nel corteo sventolano bandiere della mezzaluna rossa, e innalzano ritratti dello sceicco Yassin. Gridano: "Né sciiti, né sunniti, sì all'unità islamica. Siamo fratelli, non venderemo il nostro Paese". E questo, dalla viva voce di iracheni che piangono lacrime furibonde, è il dato politico della situazione. Le divisioni secolari fra sciiti e sunniti, e quelle più recenti che datano agli anni della dittatura di Saddam Hussein, sono cadute.

La rivolta armata contro le truppe americane appare sempre più, agli occhi della popolazione, come una resistenza in nome della quale vanno accantonati i dissidi. Questo vale per i combattenti armati, così come per la gente che li sostiene e li aiuta. Ieri sera da due quartieri di Bagdad sono partiti molti autobus stipati di giovani sciiti che andavano a combattere la battaglia di Falluja, città al centro del triangolo sunnita.

Le moschee hanno chiamato la popolazione a donare sangue, viveri, medicinali. Lo sceicco Ahmad Abdel Ghafur al-Samarai, imam della moschea di Um Al-Qora, spiega: "Gli abitanti di Bagdad hanno deciso una prima spedizione di novanta automezzi con viveri e medicinali alle famiglie di Falluja. La Mezzaluna irachena, dopo un giorno e una notte di trattative, ha avuto l'autorizzazione dall'autorità della coalizione". E mentre musiche patriottiche si levavano dagli altoparlanti dei minareti di Bagdad, uomini e donne si impegnavano a donare sangue e soldi. Gli autisti dei camion si sono tutti offerti volontariamente: "Ieri non trovavamo neanche un'automobile per trasportare un po' di sangue, oggi abbiamo centinaia di camion", dice Abdel Jabbar.

Ed eccoli, i tremila della spedizione di solidarietà verso Falluja assediata, e verso i paesi della zona dai quali la gente non può fuggire. C'è gente a piedi, ci sono camion e furgoni scoperti carichi di farina, medicinali, coperte, materassi. L'aiuto ai feriti e quello ai combattenti è una cosa sola: "Facciamo di tutto per aiutare i mujaheddin", dice Ahmed Abdel Karem, 21 anni, la cui famiglia è a Falluja. Non ne ha notizie da giorni. Due blindati americani si mettono di traverso sull'autostrada, puntano le mitragliatrici. Il corteo non si ferma. Partono sassi e slogan: "Bush, Bush, faremo di Falluja la tua tomba". I due blindati ricevono l'ordine di allontanarsi, e d'altra parte niente esclude che gli stessi che hanno assaltato l'autocolonna ci riprovino coi loro lanciarazzi. Le notizie che arrivano da Falluja sono pesanti. In città lavora una troupe della tv Al Jazeera. Manda immagini angosciose di bambini feriti e sanguinanti, buttati su barelle nell'ospedale: uno ha il piede destro tranciato di netto. Si combatte casa per casa. I mujaheddin colpiscono a piccoli gruppi, i militari americani faticano a guadagnare terreno.

Il solo altro giornalista presente è un inviato della France Press. Racconta che i marines sono presi di mira dai cecchini, dalle finestre, e dagli angoli delle case sbucano a 4-5 per volta guerriglieri armati di lanciarazzi e mortai. Falluja viene bombardata dagli F16 e dagli elicotteri Apache, le incursioni durano per tutta la giornata. Ci sono cadaveri nelle strade. Un'avanzata, quella dei marines, di soli due chilometri in due giorni. Una resistenza più intensa di quella che oppose la guardia repubblicana di Saddam Hussein un anno fa, in piena guerra, secondo la stima di un medico militare Usa. "È come a Hue, in Vietnam", dice il tenente colonnello Brennan Byrne, un veterano della guerra in Indocina, che prese parte ai feroci combattimenti casa per casa nell'antica capitale imperiale. "L'anno scorso, nel pieno della guerra - dice il medico militare Percy Davila, di 29 anni - si identificava l'obiettivo, lo si colpiva e poi si andava a dormire. Ma qui... qui è più come una guerra vera". Il giornalista dell'Afp nota il cadavere di un iracheno, sulla quarantina: giace sul marciapiede con la testa squarciata da un colpo. I militari dicono di avergli sparato dopo che aveva lanciato loro contro un razzo anticarro. Sotto un cavalcavia alcuni medici cercano di rianimare un marines il cui sangue forma un lungo rivolo sull'asfalto. Muore, i compagni gli si fanno intorno cercando un po' di raccoglimento in mezzo al frastuono e pregano, uno di loro in lacrime. Poco lontano un proiettile di mortaio piomba sul tetto di una casa. Dentro, si viene a sapere, muore una bambina.

A Falluja è emergenza sanitaria. "Sono almeno 280, forse 300, i morti nei combattimenti dall'inizio della settimana, 105 soltanto le persone rimaste uccise da martedì sera", riferisce il direttore dell'ospedale Rafi Hayat. I feriti sono come minimo quattrocento. A metà mattina un piccolo convoglio delle ong "Un ponte per..." e "Intersos", composto da personale iracheno, è riuscito ad aggirare i blocchi americani: "Abbiamo consegnato medicinali, bende, soluzione fisiologica - dice Fabio Alberti di "Un ponte per..." - manca sangue, e in tutta Bagdad da giorni non ci sono più sacche per la raccolta". L'assedio sanguinoso di Falluja continua. In serata i tank americani hanno sparato nelle strade di Dora, a soli 15 chilometri da Bagdad.

(9 aprile 2004)



http://www.repubblica.it/2004/d/sezioni/esteri/iraq18/marciainsieme/marciainsieme.html



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