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SCHEDA RISORSA
Intercultura
Educazione linguistica Italiano
Educazione linguistica Italiano come lingua seconda
Dizionario degli Studi Culturali - traccia una cartografia – cioè l’immagine in evoluzione di un territorio a sua volta in continua evoluzione – delle tradizioni di studio che si fondano sull’idea di cultura.
Lingua:
Italiana
Destinatari:
Formazione post diploma, Alunni scuola media inferiore, Formazione permanente
Tipologia:
Utilità e strumenti
Recensione:
Non c’è un unico tempo: ci sono molti nastri
che paralleli slittano
spesso in senso contrario e
raramente s’intersecano
Eugenio
Montale |

Il Dizionario degli Studi
Culturali traccia una
cartografia – cioè l’immagine in evoluzione di un territorio a sua volta in
continua evoluzione – delle
tradizioni di studio che si fondano sull’idea di cultura. La sua originalità,
nel panorama ormai affollato dei dizionari, dei lessici e delle elencazioni di
concetti-chiave per gli studi culturali (tipicamente coniugati a quelli
letterari e massmediologici) sta nell’aver tentato, da un lato, un allargamento
del “canone” implicito degli studi culturali, superando l’egemonia dell’area
anglo-americana, dall’altro nel ricondurre ad unità, sia pure transnazionale e
transculturale, approcci e metodologie che sembravano ispirate da principî a
volte troppo differenti quando non antitetici. In questo dizionario si terrà
conto dunque delle tradizioni che si dipartono dai Cultural
studies anglosassoni, con
tutte le derivazioni americane e post-coloniali, delle tradizioni che si
richiamano alle Kulturwissenschaften (o, al singolare, alla
Kulturwissenschaft)
tedesche, ma anche di tutte gli sviluppi, europei ed extraeuropei, di tradizioni
interpretative, nate magari nell’ambito relativamente ristretto di discipline
specialistiche di carattere letterario, storico o psicologico, ma poi evolute in
modelli per l’analisi complessiva delle culture (dalla
Semiotica all’Analisi
del discorso, dalla
Psicoanalisi alla
Storia delle mentalità).
La complessità di questo panorama, per altro
in continua evoluzione perché nuovi soggetti e nuovi discorsi si presentano sul
palcoscenico della “storia universale” da latitudini sempre diverse, ci ha
costretto ad immaginare un modello di rappresentazione unitario per le varie
tradizioni che concorrono alla formazione del paradigma odierno degli studi
culturali che tenga conto delle evoluzioni, delle parentele e affinità, ma soprattutto delle sempre possibili e
feconde contaminazioni
tra le varie tradizioni, insomma un modello che fosse affatto statico e
definitivo. Si trattava dunque di rendere compatibile (e leggibile) la
“coerenza” che pure la teoria ha costantemente ricercato per le varie tradizioni
con l’aspetto metamorfotico (e, a volte, anamorfotico) che marca non solo i
metodi – sempre pronti a compromettersi con altri più o meno affini – ma anche i
territori che gli studi culturali intendono dissodare (e la metafora è
tutt’altro che casuale!).
Si tratta infatti di una “cartografia”
congenitamente provvisoria, se non altro per il fatto che il territorio degli
studi culturali non può essere mai completamente mappato, giacchè, con il
crescere dei fatti culturali, cresce anche il territorio da mappare. Del resto è
evidente che la storia degli studi culturali nel Novecento è la storia di una
conquista progressiva di spazi sempre più ampi (spesso con inequivocabili tratti
di colonizzazione violenta o di illusione superomistica). C’è di più, la
conquista di nuovi spazi culturali estende ipso facto anche i territori da conquistare, giacchè
creando nuovi metodi e scoprendo nuove terre s’instaurano nuovi discorsi e nuove
forme che a loro volta diventano oggetto specifico degli studi
culturali.
Il supporto digitale dà qui una possibilità
sia sul piano grafico che su quello del contenuto. Abbiamo infatti voluto – in
coerenza con le forme di rappresentazione che gli studi culturali hanno
prediletto dal romanticismo in poi – immaginare una figura che permettesse di
enfatizzare quella che secondo noi – in questo eredi delle intuizioni di Deleuze
e Guattari – consideriamo la segnatura degli studi culturali, il destino cioè
d’essere un coacervo di metodologie (e di territori, e di soggetti) la cui
caratteristica è quella di “iniziare nel mezzo”.
Molteplici sono le figure che via via si sono
accumulate nel patrimonio genetico degli studi culturali tra Settecento e
Novecento. Un’analisi complessiva, cioè storico-culturale, di queste metaforiche
getterebbe una luce definitiva sul “senso” (significato e direzione) di queste
discipline. In questa sede possiamo limitarci solo ad una disordinata
enumerazione, che tuttavia ci consentirà di definire una tendenza.
L’esigenza di una rappresentazione del sapere
culturale che uscisse dalla logica subordinativa dell’albero delle scienze, e
per conseguenza dalla forma-trattato, è già presente nell’antropologia mistica
del Seicento. Si pensi, un esempio tra i tanti, al Philosophischer
Kugel di Böhme, forse
l’archetipo di tutti i “rizomi” della storia, una rappresentazione che sfugge
alle regole del piano cartesiano, inaugura inedite sinapsi – tra le cose
umane e quelle divine –, e sfida le leggi della linearità e della coerenza
linguistica. Suo immediato successore – ormai catturato nella testualità moderna
– è l’arabesco romantico,
un disegno illimitato e autogenerantesi, erede diretto dell’ars
combinatoria, in perenne
evoluzione e il cui intreccio consente “rotture asignificanti”
ante-litteram. Il suo principio generativo è infatti – ad esempio per
Friedrich Schlegel – la diascevase, quella forma di decostruzione e
ricostruzione del corpus
testuale (e dunque culturale) che si oppone alla dittatura del canone (non solo
letterario) e degli autori. Schlegel auspicava, ad esempio, una decostruzione
degli scritti di Platone, una riscrittura e ricomposizione dei dialoghi che
non tenesse conto della
coerenza formale del testo, così come veniva stabilito dalla tradizione. Del
resto la diascevase era
nella filologia omerica l’inesauribile e mai risolto tentativo di “ricomporre”
il testo epico.
La collezione è l’altra figura che accoglie queste
caratteristiche romantiche – in un periodo segnato dalla sequenza
Nietzsche-Freud-Warbug-Benjamin – e ne innesta la testualità su elementi
decisamente non-testuali, dai media alla merce, forme della distribuzione più o
meno virtuali. L’atlante,
nel senso indicato da Aby Warburg è, in quest’ottica, la forma di
rappresentazione che sottrae la collezione alla dittatura del verbale, proponendo uno
scambio simbolico tra immagini (Bilder) e tra Pathosformeln. Dalla collezione/atlante all’archivio nel senso foucaultiano e derridiano del
termine il passo è breve. Qui, nello spazio della collezione, fa capolino la forma istituzionale, il
“luogo”, che è il problema del decostruzionismo moderno.
Tanto più significativa è allora la reazione
tutta interna alla cultura francese segnata dal sentiero alternativo del
“rizoma” che con metafora organica – cui pure le
Kulturwissenschaften dopo
Herder ci avevano abituato – reintroduce la dimensione del corpo (cui non
mancano a questo punto innesti macchinici, protesi cibernetiche) troppo
trascurata nell’intellettualismo decostruzionista. Il “rizoma” è vivo e
vegeta, non cresce
secondo un’asse di simmetria e non si irrigidisce mai in “stanze della memoria”,
in “cartelle”, in “database”. L’enfasi anarchica di Deleuze e Guattari
reintroduce l’imprevedibilità dell’organico nella proliferazione dei discorsi e
degli archivi. I caratteri, o principî, del rizoma sono quelli che
contraddistinguono tutte le forme “romantiche” che abbiamo sin qui citato e, a
ben vedere, definiscono esattamente le funzioni di tutte le figure
citate:
• principio di connessione e di
etereogeneità, secondo il
quale «qualsiasi punto di un rizoma può essere connesso a qualsiasi altro e deve
esserlo» (Deleuze-Guattari);
• principio di
molteplicità secondo cui
nulla è singolare, e l'individuo è solo una forma di "resistenza" tra soggetti e
oggetti che si attraversano reciprocamente;
• principio di rottura
asignificante: qualunque
cesura non interrompe i significati che proliferano senza che i significanti
possono imbrigliarli. È ciò che rende queste figure sostanzialmente
“antigeneologiche”, prodotto complesso di sincronie e diacronie senza che l’una
prevalga sull’altra;
• principio di cartografia e
decalcomania: queste figure
non solo il calco di nulla che si dà in natura, né conscia né inconscia, non
riproducono nulla, piuttosto producono qualcosa: «la carta – scrivono Deleuze e
Guattari – si oppone al calco, è interamente rivolta verso una sperimentazione
in presa sul reale. La carta non riproduce un inconscio chiuso su se stesso, lo
costruisce. Concorre alla connessione dei campi, allo sblocco dei corpi senza
organi, alla loro massima apertura su un piano di consistenza … la carta è
aperta, è connettibile in tutte le dimensioni, smontabile, reversibile,
suscettibile di ricevere costantemente modificazioni. Può essere strappata,
rovesciata, adattarsi a montaggi di ogni natura, essere messa in cantiere da un
individuo, un gruppo, una formazione sociale. La si può disegnare sopra un muro,
concepirla come un’opera d’arte, costruirla come un’azione politica o come
meditazione».
Chi conosce i frammenti
dell’Athenäum o il
progetto del Passagenwerk
può comprendere la puntualità di questa descrizione.
Si tratta, come si vede, di figure che
giocano su un duplice piano: esse sono metafore della cultura, del suo reale
dispiegarsi nel mondo e, contemporaneamente, producono una fisiognomica del
Kulturwissenschaftler,
che via via assume la maschera del “collezionista” (Benjamin), dell’“archivista”
(Derrida), del “bricoleur” (Lévi-Strauss). Ancora una volta questo ci conferma
la consustanzialità di soggetto e oggetto nello studio della cultura.
Tutte queste figure hanno però in comune una
legge genetica: consentono di “iniziare nel mezzo”. Un’idea che viene formulata
in tutta la sua icasticità da Deleuze e Guattari lettori di Kafka. In un passo
dei Diari di Kafka
infatti si legge: «Le cose che mi vengono in mente non mi si presentano
attraverso la loro radice, ma per un punto qualunque situato verso il loro
mezzo: cercate allora di trattenerle, cercate allora di trattenere un filo
d’erba che comincia a crescere soltanto nel mezzo dello stelo, e di aggrapparvi
ad esso».
Ogni analisi culturale infatti inizia “nel
mezzo” di un tessuto – se si vuole rimanere nella metafora testuale – che altri
hanno cominciato a tessere ed altri continueranno a tessere dopo di noi. Per
questo ogni testo è sempre l’archivio – con un input ed un output costantemente in movimento – di una memoria
culturale che trascina con se ciò che, per così dire, è solubile
linguisticamente e ciò che non lo è. È un relais – per usare una bella immagine di Hartmut Böhme –
che crea degli scambi tra nastri trasportatori che entrano ed escono
dall’archivio di cui siamo gli archivisti più o meno consapevoli.
Tutte queste figure hanno inoltre alcune
caratteristiche formali che le rendono compatibili con la complessità del
moderno:
• hanno carattere reticolare e di ragnatela
(Geertz: «l’uomo sta in una ragnatela di significati da lui stesso tessuta»; o
Burke: «La raison d’être
di uno storico della cultura è infatti far emergere i collegamenti fra attività
diverse»);
• sono resistenti agli strappi: ammettono le
fratture, i tagli, i buchi, non sono né integre né totalizzanti, possono avere
sacche e pieghe che lasciano spazio ai nascondimenti, alle sovversioni, alle
contro-culture (De Certeau);
• sono “porose”, nel senso dato a questo
termine da Ernst Bloch e Walter Benjamin, affascinati dai “flussi” sociali e
culturali consentiti dalle architetture napoletane: «L’architettura è porosa
quanto questa pietra. – Costruzione e azione si compenetrano in cortili, arcate
e scale. Ovunque viene mantenuto dello spazio idoneo a diventare teatro di nuove
impreviste circostanze. Si evita ciò che è definitivo, formato … Nulla viene
finito o concluso … I cantieri vengono usati come teatro popolare. Tutti si
dividono in un’infinità di ribalte animate simultaneamente. Balcone, ingresso,
finestra, passo carraio, scala e tetto fanno contemporaneamente da palco e da
scena … La porosità è la legge che questa vita inesauribilmente fa riscoprire …
La vita privata è frammentaria, porosa e discontinua … La strada penetra
all’interno delle case … Compenetrazione di giorno e notte, rumori e silenzio,
luce esterna e oscurità interna, di casa e strada» (Benjamin).
Quale migliore definizione della cultura, che
tenga insieme, per altro, topologia e performance, topos e pathos.

Abbiamo perciò immaginato una “cartografia”
mobile, perennemente in divenire, una “mappa geografica” che non fosse “calco”
dell’esistente, ma consentisse di segnalare sempre nuove combinazioni. Questa
cartografia, come ogni mappa geografica,
è segnata da alcuni colori che definiscono mari, monti, pianure ed altri
che nel contempo, segnano gli stati, le regioni, le città:
natura e
cultura, insomma,
indissolubilmente legate.
I colori di questa cartografia possiamo
immaginarceli infatti come definiti da due sistemi di
rappresentazione, come
nelle mappe geografiche, quello fisico-morfologico che attiene alla natura, appunto mari,
monti, pianure e quello politico, città, stati, istituzioni, ciò che attiene
dunque al fare dell’uomo. Quello che conta però è la “terra di nessuno” –
graficamente rappresentata da un “territorio di mezzo” – in cui è possibile
immaginare le incursioni e le relative contaminazioni tra tradizioni
disciplinari diverse.
“Iniziare dal mezzo” significa nel contempo
sentirsi parte mobile
all’interno dei diversi discorsi e cercarsi in un possibile nuovo territorio. È quello
che il sistema dinamico, progettato grazie al supporto digitale, consente
lasciando cogliere contemporaneamente la familiarità tra i discorsi organizzati
in dominanti, a loro volta frutto di un’ottica già duplice ed ambigua”, e la
“proiezione”, la “direzione” – per dirla con Lawrence Grossberg – che questi
discorsi producono nella loro prassi interpretativa, creando nuove “famiglie”, e
dunque, in fin dei conti, nuovi discorsi e nuovi soggetti.
Al lettore non sarà difficile cogliere la
coerenza delle dominanti, l’“aria di famiglia”, contraddistinta da un colore e
da una sezione ben definita nella cartografia, e vedere poi – cliccando sulle
singole voci – le intersezioni/contaminazioni che queste inaugurano nella “terra
di nessuno”, nel “neutro” della cultura còlta nel suo farsi. Il “territorio di
mezzo” è ciò che consente alle interpretazioni di non irrigidirsi in discipline
(più o meno accademiche) e di
tenere conto di un aspetto decisivo della cultura: che essa non è solo “testo”,
né solo “prassi”, né solo “mezzo”, né sola “distribuzione”: ma il qui ed
ora della messa in
performance di tutte
queste componenti.

Nella nostra mappa virtuale abbiamo così
pensato i colori dell’universalmente umano, o più esattamente una
rappresentazione delle filigrane colorate che traspaiono da combinazioni
dell’universalmente umano, organizzandole secondo “dominanti”. Intendiamo con
“dominanti”, per altro come si vedrà “bine” sul nascere, quei «componenti di
un’opera d’arte – secondo la ben nota definizione di Roman Jakobson che
pensiamo di poter estendere alla cultura e alle sue interpretazioni – cui si
orientano tutti gli altri, essa (dominante) regge, determina e trasforma tutte
le altre componenti. La dominante garantisce l’integrità della struttura».
Abbiamo così pensato di segnare nella nostra cartografia otto dominanti,
anch’esse soggiacenti al dettato dell’“iniziare nel mezzo”, essendo il
trattino che le definisce
anche il marcatore di uno spazio interno da definire processualmente:
– dominante
storico-concettuale: quella
che considera la cultura come l’intersezione tra il piano delle idee, cioè delle
rappresentazioni collettive e individuali, e quello della loro storicità, tra il
piano dello “spirito” (Geist) e quello dell’avverarsi storico del
linguaggio. È la tradizione che discende dal post-storicismo della History of
Ideas di A. O. Lovejoy e
giunge sino alla semantica storica di R. Konersmann;
– dominante
mass-mediologica: è la
tradizione che prende le mosse da una teoria critica della società (dal marxismo
alla Scuola di Francoforte) e mette al centro l’intreccio tra studio
dell’ideologia e delle mentalità, impegno politico militante e indagine
sociologica sui mezzi di produzione e distribuzione della cultura. È la
tradizione che dà il nome agli studi culturali, i “cultural studies” di
Birmingham (R. Williams, R. Hoggart, S. Hall), e che adesso, oltre oceano, ha
fatto proprie le istanze più vivaci dei “communication studies” (popular
culture,
media-/film-/visual-/music-studies) (J. Fiske, L. Grossberg, M. Morris),
innestandole sull’analisi critica delle società multietniche.
– dominante
mitico-psichica: è quella
che radica, senza riduzionismi, le forme culturali e collettive, e in special
modo la produzione mitologica, nelle strutture elementari della psiche, o
considera la psiche il luogo di una grammatica (universale?) che organizza i
significati e i simboli e di conseguenza anche i comportamenti, i rituali, le
rappresentazioni immaginali, le memorie e le forme del linguaggio. È la
tradizione che discende dalla Völkerpsychologie, con tutti i suoi abusi novecenteschi, e si
riattiva nella psicologia archetipica, da C. G. Jung fino a Hillmann e nella
critica del mito e della memoria culturale da E. Cassirer a J.
Assman.
– dominante
politico-antropologica: è
l’approccio che mette al centro della discussione l’intersezione e l’interazione
tra substrato biologico – considerato però esso stesso come modificabile
culturalmente – e politica, nonchè la conseguente creazione di stereotipi,
etnie, razze, nazioni etc. È la tradizione che parte dall’ottocentesca
imagologia e giunge alla critica post-coloniale (F. Fanon e E. Said), e che
tematizza gli aspetti diasporici e multiculturali delle identità moderne (I.
Chambers);
– dominante
politico-sessuale: si tratta
di approcci in cui prevale l’interesse per il genere e per il sesso, sia in
senso biologico che culturale, sia sul fronte delle definizioni antropologiche
che su quello delle identità politiche. È
la strada che conduce dalle scritture di genere alle politiche dei
subalterni (P. Gilroy, G. Ch. Spivak), dalle ecologie della cultura al
superamento dell’umano nel tecnologico (J. Baudrillard, M. Perniola, D.
Haraway);
– dominante
storico-sociale: è
interessata al rapporto tra mentalità/rappresentazioni collettive e istituzioni,
flussi e trasformazioni sociali. È la tradizione classica che va dalla
Histoire des mentalités
delle Annales alla
micrologia (C. Ginsburg) e, su un altro versante, alla Nuova storia
culturale (P. Burke);
– dominante
semiotico-sociale: tutti gli
approcci allo studio della cultura che pongono in primo piano la questione del
segno in rapporto al significato e alla sua comunicazione all’interno di un
sociosistema. È la tradizione che va dalla semiologia di R. Barthes agli
sviluppi della tipologia della cultura di J. M Lotman e della semiotica di A. J.
Greimas;
– dominante
linguistico-istituzionale:
come quella storico-concettuale è interessata all’intreccio tra
idee/concetti/lessici e modificazione degli stessi, enfatizzando però da un lato
la loro potenza discorsiva che segue leggi e sistemi individuati dalle scienze
del linguaggio e le raccorda alle istituzioni, alle forme ed energie sociali e
in generale corregge la deriva idealistica della storia delle idee. È la
tradizione che fa riferimento a Foucault e che si è rinnovata
nell’interpretazione della rappresentazioni su una solida base antropologica e
sociale (intersoggettività) del neostoricismo di S. Greenblatt e della
metaforologia di H. Blumenberg.

Il navigatore propone le otto dominanti
contrassegnate da otto colori differenti.
Ogni dominante contiene un numero variabile
di lemmi che definiscono le tradizioni degli studi culturali che, ovviamente,
sono caratterizzati da affinità metodologiche.
Tutti i lemmi che hanno avuto già ampia
circolazione nella cultura italiana sono stati riportati in italiano. Nel
contempo si è cercato di offrire una traduzione quando di un lemma era possibile
prevedere o scorgere l’adozione nel dibattito culturale italiano. In un’apposita
pagina (elenco dei lemmi) sono elencati tutti i lemmi presenti nel dizionario, i
lemmi affini e tutte le dizioni nelle rispettive lingue d’origine.
Cliccando su un lemma questo si sposterà al
centro del navigatore in uno spazio “neutro”, quello che abbiamo definito “territorio di mezzo”, su cui
appariranno le ulteriori possibili combinazioni tra la tradizione prescelta e quelle provenienti da dominani diverse.
Si è ovviamente limitato il numero delle
combinazioni, segnalando quelle che specificatamente, per motivi storici o per
relazioni contingenti, rappresentano un’intersezione documentata dalla
letteratura. Il caso di lemmi che non ne evocano altri e rimangono singoli
lascia appunto lo spazio aperto a combinazioni del futuro. Va da sé che anche le
intersezioni esistenti – per altro concepite come possibili e mai definitive
costellazioni – potrebbero
cessare di esistere o di essere rilevanti
per gli studi culturali.
I singoli lemmi del dizionario, una volta
trasferiti nel “territorio di mezzo”, risulteranno cliccabili e daranno accesso
ai testi descrittivi. Il lettore potrà comunque, se vuole, spostarsi sulle
tradizioni affini segnalate nel “territorio di mezzo”, direttamente cliccando
sui lemmi.
Ogni singolo lemma, marcato da un colore che
lo riconduce alla dominante, è composto:
• da un testo in cui se ne dà una
definizione e se ne indicano le principali valenze semantiche, storiche e la
ricezione;
• da una sintetica lista del lessico
sviluppato dalla tradizione di studi in questione;
• da una serie di link a risorse
pubblicate sul web (normalmente i siti di riferimento dei centri di ricerca da
cui è possibile risalire ad altre risorse);
• da una breve bibliografia di riferimento.
Da ogni singolo lemma è possibile accedere ad
una breve bio-bibliografia dell’autore e ad una versione stampabile, in formato
.pdf (scarica qui il programma acrobat reader necessario alla lettura di questo formato).

Il Dizionario degli Studi
Culturali – che nella sua
forma digitale va considerato come un work in progress – è il prodotto di una collaborazione nata
nell’ambito di un progetto di ricerca accademico (Ministero dell’Università e
della Ricerca Scientifica, Ricerche di interesse nazionale 2000, “Cultural
Studies. Nuove metodologie e strumenti di studio per l’età di Goethe”),
coordinato dal prof. Michele Cometa e che si è avvalso della collaborazione dei
dr. Roberta Coglitore e Federica Mazzara, curatori dei singoli lemmi delle
bibliografie e dei rimandi ipertestuali, e, per la parte informatica e
comunicativa, del dr. Dario Mangano. Il modello rappresentativo e la cura
editoriale dei testi è comune. Del sistema delle dominanti e delle ulteriori
intersezioni è responsabile il prof. Michele Cometa.
Tutti i materiali pubblicati sono di
proprietà degli autori e non sono riproducibili altrove
http://www.culturalstudies.it/dizionario/dizionario.html
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