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ANTIFASCISMI E RESISTENZE - Franco De Felice

Lingua: Francese
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione permanente
Tipologia: Materiale di studio

Abstract: Studi Storici 3, luglio-settembre 95 anno 36


ANTIFASCISMI E RESISTENZE*


Franco De Felice

1. La discussione su antifascismo e Resistenza, nodo centrale del passaggio dal fascismo al postfascismo, non è venuta mai meno nel corso degli ultimi cinquant'anni: si è via via riproposta, nei diversi momenti dell'Italia repubblicana, come laboratorio per una rilettura della storia italiana e dei suoi momenti di discontinuità; per una considerazione della Resistenza piú articolata e conflittuale; per la verifica di nuovi paradigmi storiografici. Era una discussione che, anche dentro una valutazione critica e talvolta severa della «politica della Resistenza», non ne metteva in discussione l'importanza e tanto meno il valore costituente e legittimante per la vicenda successiva. Sinteticamente mi sembra si possa dire che il nucleo centrale della discussione fosse relativo alle modalità del passaggio da un regime reazionario di massa ad un sistema democratico di massa.

In anni recenti, alla fine dell'ultimo decennio e soprattutto nei primi anni Novanta, questa discussione si è riproposta, ma con caratteri ed implicazioni diverse che nel passato. Profonde modificazioni internazionali ed interne hanno trasformato radicalmente il quadro che si era venuto definendo alla fine della guerra mondiale, inducendo disorientamento e disagio e sollecitando non solo una nuova riflessione, ma anche un ripensamento del nostro passato. La discussione attuale ripropone alcuni temi del dibattito precedente (il ruolo dei partiti come tratto caratterizzante della repubblica fin dall'inizio), entro una problematica piú ampia, che è quella della crisi della nazione italiana: l'uscita dal fascismo non avrebbe portato all'acquisizione, come dato comune, di un patriottismo civico, cioè di una risorsa immateriale non coinvolta nei conflitti e che, pertanto, ne impedisca, al di là della loro asprezza, un effetto disgregatore.

Dal modo in cui si analizzano le radici ed i caratteri della crisi dell'appartenenza nazionale, derivano non solo valutazioni fortemente differenziate dell'antifascismo e della Resistenza, ma soprattutto l'interrogativo radicale sulla idoneità dell'antifascismo ad essere fondamento legittimante e costituente della vicenda successiva, a sopravvivere alla esperienza storica ed agli obiettivi determinati contro i quali si è definito. È possibile individuare nella discussione due posizioni molto ben distinte, pur convergenti nell'obiettivo comune del recupero della cittadinanza: per la prima tale obiettivo si risolve in una revisione riduttiva dell'esperienza fascista, in un ridimensionamento drastico, fino alla svalorizzazione, della Resistenza e nella registrazione dell'esaurimento dell'antifascismo, che, portatore di una ambiguità e contraddizione non sciolta, avrebbe pesato sulla modernizzazione politica del paese1. Per la seconda, invece, il recupero della cittadinanza richiede e si accompagna ad una valutazione storica, critica sí, ma attenta ed articolata e senza semplificazioni; ribadendo con nettezza non solo l'importanza dell'antifascismo e della Resistenza ma la loro validità oggi, solleva il tema complesso della memoria storica e della sua costruzione, cioè della trasferibilità di quella esperienza2.

2. Il convegno della Fondazione Istituto Gramsci, Antifascismi e Resistenze, intende intervenire nella discussione attuale facendo una scelta: ribadendo la centralità del nodo antifascismo-Resistenza, sollecita, anzitutto nell'impostazione della riflessione, una diversa prospettiva spaziale e temporale.

Spaziale. Ridimensionare l'impianto italocentrico della riflessione significa recuperare la dimensione internazionale e specificamente europea in cui quelle due esperienze maturano e si svolgono: l'Italia è il primo paese fascista, ma non diventa un fattore politico attivo internazionalmente se non a ridosso ed in rapporto con il nazismo e nel quadro della crisi mondiale; in Italia si è accumulata una massa di riflessioni critiche sulla novità dell'esperienza fascista come anche di una politica antifascista, che ha teso a combinare culture e opzioni politiche diverse. I suoi risultati diretti sul fascismo sono stati scarsi e il loro svolgimento e recupero si ebbe nel maturare di un orientamento antifascista di dimensioni europee: la stessa Resistenza in Italia inizierà piú tardi che altrove e nel complesso durerà di meno.

Temporale. Significa sottolineare ed approfondire la distinzione tra antifascismo e Resistenza, nel senso di non risolvere il primo nella «politica della Resistenza». Anni fa, in un saggio importante che ha avuto poi sviluppo e sistemazione in piú ampi lavori, Guido Quazza formulava un giudizio molto preciso sul rapporto tra antifascismo e Resistenza. Ponendosi la domanda sul peso e ruolo avuto dai partiti e movimenti politici «del vecchio antifascismo nato nel 1919-25» sulla genesi della Resistenza armata del 1943, dava una risposta negativa: «l'antifascismo del ventennio non crea la ribellione; essa nasce [...] da un soprassalto della coscienza [...] e non dalla lezione dei politici»; l'antifascismo che conta politicamente è quello che riesce ad inserirsi nella novità della situazione italiana determinata dalla crisi del fascismo: «L'8 settembre è la vera data di nascita dell'antifascismo come "forza" decisiva, e questa forza è direttamente collegata con lo sfacelo dell'Italia monarchica erede dell'Italia fascista»3. Valutazione analoga forniva Amendola, anche se ne traeva conseguenze diverse sulla Resistenza4. Il giudizio di Quazza si collegava ad una proposta analitica della Resistenza, come esperienza e movimento che nasce dal basso, aspetto della disgregazione di un regime, i cui protagonisti fondamentali erano settori della giovane generazione che alle spalle aveva un processo formativo avvenuto tutto dentro i quadri di riferimento e le organizzazioni del regime di massa (l'itinerario descritto da Nuto Revelli è esemplare)5: la Resistenza è caratterizzata dall'incontro tra questo movimento dal basso e i quadri, l'esperienza ed elaborazione dell'antifascismo storico6. In questo impianto analitico il rapporto antifascismo-Resistenza tende a risolversi in quello tra politicizzazione e spontaneità, nella tensione tra la radicalità che sottende la scelta della lotta armata e la difficoltà, per questo, ad essere ricompresa in una dimensione, quale quella fornita dai partiti, segnata da un'altra logica. L'antifascismo si risolve nella «politica della Resistenza», in cui confluiscono e sono presenti tutti gli altri elementi del quadro in cui si svolge la crisi italiana (pluralità di protagonisti sia italiani che internazionali).

Su questa lettura c'è una discussione di antica data, che non intendo richiamare neanche nelle sue linee generali. Il riferimento al giudizio di Quazza esprime un consenso ma al tempo stesso intende sollevare una questione che costituisce il fondamento del presente convegno. Il consenso è al forte ribadimento del valore creativo ed innovativo che hanno i movimenti di Resistenza in Italia ed Europa rispetto alle esperienze antifasciste precedenti. La riserva riguarda la riduzione di prospettiva in cui questo stesso elemento di novità viene inserito (risolvere l'antifascismo nella «politica della Resistenza»): tende a evidenziare la generalità del contrasto tra spontaneità e direzione, tra realismo e spinta «utopica» o, piú determinatamente, la discussione critica delle scelte politiche che sono state compiute. La novità creativa di quell'incontro può essere ridefinita ed evidenziata se si recuperano le specificità delle esperienze e dei fenomeni che in quell'incontro confluiscono. La Resistenza - cioè la lotta armata di formazioni civili o comunque non militari in senso classico - è uno dei tratti distintivi dello svolgersi della seconda guerra mondiale e ne accentua il carattere «rivoluzionario», nel senso che alla sua conclusione nulla è piú come prima (e non solo nei paesi sconfitti). Non è separabile dall'esperienza dell'occupazione nazifascista e dalla radicalità della situazione che essa determina: impone la ridefinizione del rapporto di lealtà con i vecchi gruppi dirigenti su nuove basi o ne crea di nuovi, interviene sulla continuità degli Stati. Si hanno pluralità di Resistenze in rapporto al modo in cui si combinano ed operano i rapporti tra i diversi attori dando vita, su scala europea, ad una pluralità di modelli, ma anche ad una potenziale differenziazione all'interno di una stessa esperienza (le tre Resistenze, di cui scrive Pavone, non riguardano solo le opzioni differenziate riconducibili alla diversità dei protagonisti e delle proposte culturali e politiche in cui si riconoscono)7.

L'antifascismo già con la guerra, quindi ancora prima della Resistenza, viene sanzionato come forza politica, fornendo al conflitto motivazioni e finalità: se è vero che, nei paesi occupati o, in forme specifiche, in Italia, avviare ed alimentare la Resistenza assicura all'antifascismo un radicamento di massa ed un potenziale di novità non registrabili in precedenza, pure l'antifascismo non si risolve nella Resistenza e può essere recuperato nel suo spessore e significato solo misurandolo con processi di piú lungo periodo. Senza adottare questa prospettiva piú ampia riesce per lo meno problematico evidenziare la qualità dello scontro che segna il periodo tra le due guerre mondiali ed entro cui l'antifascismo matura diventandone un elemento essenziale. La caratterizzazione della guerra come «antifascista» è il risultato di un processo lungo, complesso, non lineare, che coinvolge la vicenda di paesi europei e no ed interessa una pluralità di piani: riorganizzazione sociale, forme e forze politiche, economia, mercato, Stato. Insomma, detto in breve: la Resistenza e la politica ad essa collegata è un aspetto della guerra mondiale e dentro questa realtà definisce l'ambito delle opzioni possibili, l'antifascismo - che pure sostiene la politica della Resistenza - è il punto d'arrivo di un'esperienza che contribuisce a definire il secolo.

La riproblematizzazione che viene proposta del rapporto tra antifascismi e Resistenze - l'adozione del plurale indica il recupero e la valorizzazione della molteplicità di filoni, esperienze, motivazioni che in questi grandi fenomeni confluiscono, recuperando cosí anche i risultati acquisiti nelle ricerche - individua nell'antifascismo il dato forte che copre un arco di tempo lungo ed opera, in maniera differenziata e con diverso grado di incidenza, in fasi storicamente diverse (periodo tra le due guerre, guerra mondiale, dopoguerra), costituendone un elemento di collegamento. Tale proposta sostiene la tematizzazione del convegno, la sua articolazione in sessioni e - al di là di motivazioni strettamente pratiche ed operative (difficoltà di coprire all'interno della stessa iniziativa un arco di tempo cosí ampio) - la rilevanza data al nesso antifascismo/anni Trenta, guerra mondiale/Resistenza. La stessa domanda radicale che è presente nel dibattito in corso - esaurimento o attualità dell'antifascismo - deve misurarsi con questa dimensione del fenomeno e non solo con la «politica della Resistenza» (indicazioni precise in questo senso, ma appena accennate, nel richiamo di Scoppola al «di piú» presente nella Resistenza e nell'accordo tra i partiti che sta alla base della Costituzione)8.


Franco De Felice, Antifascismi e resistenze


* Introduzione al convegno internazionale Antifascismi e Resistenze, organizzato a Roma dalla Fondazione Istituto Gramsci, 5-6 ottobre 1995.

1 E. Galli Della Loggia, La morte della patria. La crisi dell'idea di nazione dopo la seconda guerra mondiale, in G. Spadolini, a cura di, Nazione e nazionalità in Italia, Roma-Bari, Laterza, 1994; R. De Felice, interviste al «Corriere della sera», 27 dicembre 1987, 8 gennaio 1988, 10 agosto 1993, e a «La Stampa», 1° settembre 1993; Id., dibattito con N. Bobbio, in «La Stampa», 12 settembre 1993; Id., Introduzione a E. Aga Rossi, L'inganno reciproco. L'armistizio tra l'Italia e gli angloamericani del settembre 1943, Roma, 1993; Id., Rosso e nero, a cura di P. Chessa, Milano, Baldini e Castoldi, 1995.

2 G.E. Rusconi, Se cessiamo di essere una nazione, Bologna, Il Mulino, 1993; Id., Resistenza e postfascismo, Bologna, Il Mulino, 1995; P. Scoppola, La Repubblica dei partiti. Profilo storico della democrazia in Italia (1945-90), Bologna, Il Mulino, 1991; Id., 25 aprile. La Liberazione, Torino, Einaudi, 1995; Passato e presente della Resistenza. 50° anniversario della Resistenza e della guerra di liberazione, Convegno svoltosi a Roma nei giorni 1-2 ottobre 1993, Roma, s.d.

3 G. Quazza, La politica della Resistenza italiana, in J. Stuart Woolf, a cura di, Italia 1943-50. La ricostruzione, Roma-Bari, Laterza, 1974, pp. 13, 31, 28.

4 G. Amendola, Intervista sull'antifascismo, a cura di P. Melograni, Roma-Bari, Laterza, 1976.

5 N. Revelli, La guerra dei poveri, Torino, Einaudi, 1962.

6 Quazza, La politica della Resistenza italiana, cit., p. 32

7 C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati-Boringhieri, 1991.

8 Scoppola, 25 aprile, cit., pp. 53-54, 57 sgg.; S. Cotta, L'etica della Resistenza, in Passato e presente della Resistenza, cit., pp. 40-43.



http://web.tiscali.it/studistorici/1995/n3/1995301a.htm



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