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SENEGAL tra PASSATO e PRESENTE - LA SUA CULTURA di Mbaye Pape Diaw. Con una scheda ed alcune liriche di Leopold Senghor.

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione post diploma, Formazione permanente
Tipologia: Materiale di studio

Abstract:

LEOPOLD SEDAR SENGHOR

Oltre il Senegal

 

Paese di utopie, di grandi aspettative deluse, ma anche di integrazione di elaborazione tra le varie etnie e comunità religiose, il Senegal racchiude a livello politico sociale e culturale tutte le speranze i timori i sogni e i fallimenti dell'Africa post-coloniale. L'unico dato in continua ascesa è quello della popolazione che cresce ai ritmi più alti del pianeta fra il 6% e il 10 % annuo, cioè il raddoppio circa ogni 10 anni, da qui la forte spinta all'emigrazione che ha inizio nelle regioni del nord, vicino al deserto della Mauritania, dove l'unico lavoro consiste nella coltivazione dell'arachide che permette di guadagnare 1,50€ al giorno per 3 mesi all'anno e dove interi villaggi, oramai, vivono esclusivamente su una economia basata sulle rimesse degli emigrati. Ma il primo passo di questo vero e proprio esodo è l'arrivo nella grande città, nell'immensa periferia di Dakar, dove vivono oltre 2 milioni di persone sui 10 milioni complessivi di abitanti che ha l'intero Senegal.

Tutti i giorni famiglie venute dall'interno del Senegal dalla Guinea o dal Mali depositano i loro bagagli e la loro vita in questo enorme agglomerato di casette basse costruite con materiali di recupero per lo più abusivamente, in mezzo alla sabbia e in riva al mare; un territorio vastissimo formato da tanti quartieri in un insieme di strade di sabbia intrigate fra loro nel disegno irripetibile di un'architettura spontanea.

A Dakar come in altre grandi città africane si può cogliere l'enorme disparità fra un ambiente urbano di tipo europeo, rappresentato dalla città coloniale e dalle nuove estensioni tecnologiche, ed un habitat più prossimo ai modelli culturali del villaggio africano. Non appena si superano i confini della grande città il cambiamento è immediato e radicale, sembra davvero un altro mondo, questa Africa marginale che non è l'Africa millenaria della campagna e non è città, questo mondo che vive vicino alla metropoli ma è escluso dalla grande società, possiede vitalità e dinamismo che gli permette di vivere o perlomeno sopravvivere con lavori marginali e con i traffici più inaspettati.

Ai confini del sistema di vita occidentale e nell'impossibilità di essere invitati alla festa consumistica, i senegalesi, come gran parte degli abitanti del terzo mondo, intelligentemente, utilizzano gli scarti di quel sistema dal quale sono irrimediabilmente esclusi. E il lavoro marginale è la grande risorsa dell'Africa, forse in questo momento, l'unica speranza oltre all'emigrazione per i 100.000 giovani senegalesi che ogni anno entrano nel mercato del lavoro con pochissime possibilità di trovare un vero impiego. Povero ma non miserabile, questo pianeta periferico conserva una grande dignità e una bellezza quasi pasoliniana, in un fermento continuo di cultura tradizionale e contaminazioni occidentali.

L'islamismo perpetua l'impostazione patriarcale della società senegalese, ma il ruolo della madre all'interno della famiglia è importantissimo ed è a lei che è assegnata la responsabilità delle relazioni di gruppo.

Intessuta di credenze animiste quella dei senegalesi è una fede semplice e forte nello stesso tempo, c'è un'adesione completa alla religione, un entusiasmo non filtrato attraverso i nostri ripensamenti critici, e la grande eredità della cultura umanista e del socialismo utopico di Senghor è l'estrema tolleranza culturale e religiosa, per cui i cattolici pur essendo una esigua minoranza godono uguali diritti dei musulmani e ogni etnia anche la più piccola ha uguale dignità sociale e conserva le proprie tradizioni. Del resto Sengor pur essendo cattolico ha governato per 20 anni un paese dove il 90% della popolazione è musulmana pur appartenendo all'etnia Serer che non è l'etnia maggioritaria del Senegal.

 
Chi lancerà il grido di gioia
per risvegliare i morti e orfani e l'aurora
chi restituirà la memoria della vita
all'uomo dalle speranze sventrate.

Ci dicono uomini del cotone, del caffè, dell'olio
ci dicono uomini della morte.
Noi siamo gli uomini della danza
i cui piedi rinvigoriscono colpendo il suolo duro.
 

Leopold Sedar Senghor nasce in un villaggio di pescatori vicino a Dakar nel 1906, di religione cattolica, compie i primi studi presso le scuole missionarie. Studia all'università della Sorbona. Combatte con la Francia durante la seconda guerra mondiale, trascorre un periodo in un campo di concentramento.
Nel 1945 viene eletto rappresentante del Senegal all'Assemblea Nazionale Francese. E' stato Presidente del Senegal dal 1960 al 1980; ritiratosi poi dalla vita politica vive gli ultimi suoi anni in Francia.
Senghor ha unito sempre la sua attività di poeta a quella di politico. Raffinato poeta è stato uno degli intellettuali più in vista della rinascita culturale e politica del continente africano.
Con altri scrittori neri sviluppa il concetto di "Negritudine", approntando un programma di liberazione pacifica attraverso la poesia e la politica per recuperare il patrimonio culturale della civiltà africana. "....... la negritudine è il patrimonio culturale i valori e soprattutto lo spirito della civiltà negro-africana.
La negritudine è una qualità del sentire che l'uomo nero porta con se costantemente, è la matrice della sua identità umana profonda non solo una forma di orgoglio razziale su cui costruire la rivolta alla oppressione bianca. Il nero ha i sensi aperti a tutti i contatti alle più lievi sollecitazioni, sente prima di vedere l'oggetto, reagisce alle onde che esso emette dall'invisibile.
Il bianco europeo tiene l'oggetto a distanza, lo guarda, lo analizza, lo distrugge o perlomeno lo soggioga per utilizzarlo. Il bianco procede alla conoscenza del mondo con la ragione discorsiva, la ragione dell'occhio della razionalità.
Il nero usa la ragione intuitiva che va al di là del visibile fino alla ragione nascosta dell'oggetto puro, va al di là del segno fino ad afferrarne il senso.
Per il bianco ogni cosa è vera o falsa, buona o cattiva. Il mondo dei bianchi è quello della dicotomia e dell'opposizione, il mondo dei blocchi.
Per il nero africano ogni cosa, ogni forza è di per se un nodo di forze elementari maschili e femminili, per esempio, la cui realizzazione personale può provenire soltanto dall'accordo di questi elementi. Questo spiega come il nero abbia un senso così sviluppato della solidarietà fra gli uomini; la società tradizionale africana diversamente dalla società europea, è una società comunitaria in quanto formata più da una comunione di anime che da un aggregato di individui; è una società solidaristica naturalmente socialista ......." (1965 intervista televisiva)

 
Popoli del Sud nei cantieri,
nei porti, nelle miniere,
nelle manifatture e la sera
segregati nei recinti della miseria,
le braccia appassite,
il ventre cavo occhi e labbra immensi
invocanti un Dio impossibile.
Potevo rimanere sordo
a tante sofferenze derise?
 

Come presidente per venti anni di un paese povero di risorse come il Senegal, Senghor si scontrerà con i problemi irrisolti dell'eredità francese, con la contestazione e la ribellione interna di generali e ministri e con il potere delle confraternite religiose musulmane. Il suo sarà un governo forte ma democratico, legato alla Francia, ma che investirà molto sulla cultura e sull'orgoglio africano. Basti ricordare la creazione dell'università di Dakar, la più importante dell'Africa Occidentale e il grande "Festival delle arti nere" del '66. Agli inizi degli anni ottanta Senghor è il primo capo di stato africano ad abbandonare volontariamente il potere dopo aver condotto il Senegal ad una vera democrazia parlamentare modellata sull'esempio francese.

 
Estate del Sud troppo
tardi arrivai in un settembre agonizzante.
In quale libro trovare l'ardore del tuo riverbero
sulle pagine di quale libro di quali impossibili labbra
il tuo amore delirante.
Mi sfianca questa impazienza
come il rumore della pioggia
sulle foglie monotone.
Suonami Duke
soltanto Solitude.
Voglio piangere fino ad addormentarmi
.
 

Dopo i grandi progetti di modernizzazione degli anni sessanta, il Senegal ha visto deteriorarsi rapidamente la sua situazione economica. Le ripetute siccità e la caduta sul mercato mondiale dei prezzi dell'arachide, hanno velocemente indebitato il Paese a livelli tali da sottostare a un durissimo piano di ristrutturazione economica imposto dal fondo monetario internazionale. Inoltre, il fallimento sostanziale dei progetti di cooperazione, il potere sempre più forte del Clan del presidente Abdou Diouf (in carica dal 1982) e gli scontri politici, pone il Senegal da paese guida dell'Africa Occidentale a paese tormentato da continue tensioni economiche e sociali.

 
E' tempo di partire
ch'io non affondi ancor più le radici
di ficus in questa grassa e molle terra.
E' tempo di andare d'affrontare l'angoscia di stazioni,
il vento curvo che spazza le banchine
nelle stazioni, all'aperto di provincia
l'angoscia degli addii senza una mano calda nella mano.
 

" ....... La poesia è l'essenza dell'anima nera, e la poesia è finita soltanto se diventa canto: parola e musica nello stesso tempo e, per questa ragione, mi preoccupo di far procedere alcune mie poesie dalle indicazioni relative agli strumenti che debbono non accompagnarle ma esprimerle. L'atto poetico è una danza dell'animo e molte delle poesie africane si chiamano tam-tam: Il poeta ha fatto suo il tempo degli antenati e lo sente scorrere dentro con il suo ritmo, spera che gli echi del suo tam-tam vengano a risvegliare gli istinti immobili che sono in lui. Così come l'ode e il sonetto furono un genere della poesia europea, il tam-tam tende a diventare un genere della poesia nera. Per duecento anni l'arte è stata dominata dal modello greco-latino, dal canone classico, poi ecco l'irruzione dei neri africani "i barbari dell'arte". Picasso mi confidava dell'influenza esercitata dall'arte africana su di lui e su tutta l'arte moderna, che non è più fondata sulla rappresentazione della natura, ma vuole rappresentare la forza vitale e rappresentarla attraverso il ritmo dei vari elementi. Nell'arte europea contemporanea, il ritmo è diventato l'elemento dominante ......." (1965 intervista televisiva)

Si è molto rimproverato e si continua a rimproverare a Senghor di aver contratto con la Francia un matrimonio d'amore che farebbe di lui un meticcio culturale e al limite un bianco.

Senghor non ha mai interrotto il contatto con la terra ancestrale ha cercato sempre di fondere interiormente le sue radici sia culturali che native, nella sua poesia "sintesi mirabile fra due civiltà" e nell'impegno intellettuale, Senghor esprimerà soprattutto la sua aspirazione a una civiltà dell'universale, fondata sull'apporto di tutte le culture e di tutte le religioni e che prevalga sui conflitti e sulle prevaricazioni fra i popoli.

Contestato dalle nuove generazioni e dagli intellettuali africani di lingua inglese che non si riconoscono nella "negritudine" e nella sua concezione ecumenica dell'uomo, Senghor, sembra in realtà che non abbia voluto rompere il cordone obelicale con l'occidente ma anzi abbia voluto rafforzare i numerosi legami con la Francia e con la cultura cattolica.

"....... L'Africa soffre della malattia infantile dell'indipendenza provocata dai colonizzatori in 150 anni di colonizzazione. Quì in Senegal, la Francia ci ha condannato alla monocultura dell'arachide, ci ha fatto soldati, funzionari, coltivatori, ed è chiaro che dopo l'indipendenza la mancanza di alternative alla nostra economia è un grosso handicap; senza contare che anche noi abbiamo i nostri difetti come la mancanza del senso della storia, del senso del tempo, del risparmio e, sempre dagli intellettuali francesi, abbiamo ereditato una tendenza alla critica. Il cammino della democrazia e dello sviluppo economico è lungo, io penso che si debba arrivare gradatamente ad una coscienza democratica, del resto, la civiltà europea è il risultato di duemila anni di evoluzione.

Il grande problema dell'Africa come dell'Europa è il nazionalismo, in nome degli interessi nazionali si commettono crimini atroci. La vera cultura è mettere radici e sradicarsi, mettere radici nel più profondo della terra natia, nella sua eredità spirituale, ma anche sradicarsi e cioè aprirsi alla pioggia e al sole, ai fecondi apporti delle civiltà straniere.

Nella difficile Africa del XX secolo abbiamo bisogno del meglio dello spirito europeo, del meglio della francitè. Il nero può apportare alla civiltà bianca quella sensualità con cui egli sa esprimere la più profonda spiritualità, nella convinzione che il mondo è fondato sulla forza vitale dalla quale dipende ogni essere e nella quale si uniscono la carne, lo spirito, la pietra e Dio e i neri sono come il lievito serve alla farina; se no chi insegnerà il ritmo al mondo defunto delle macchine e dei cannoni?......." (1965 intervista televisiva)

".......Noi siamo socialisti non escludiamo dalle nostre fonti Marx ed Engels in quanto che il socialismo è piuttosto un metodo, il metodo della dialettica applicato non solo ai pensieri ma alla materia, alla storia, ma partiamo dalle opere marxiste allo stesso modo che da quelle dei socialisti utopisti e vi aggiungiamo le opere dei loro discepoli e commentatori non esclusi i pensatori cattolici.

La lotta di classe si è rivelata molto più complessa di quanto Marx pensasse e, inoltre, Marx si è sbagliato completamente sul colonialismo, in realtà il livello di vita del proletario europeo, non solo delle classi capitaliste, si è potuto elevare a deprimento delle classi del terzo mondo.

L'Africa Occidentale è un paese sottosviluppato, dove tradizionalmente non vi sono classi di salariati, dove il gruppo non opprime l'individuo, dove il denaro non è la cosa più importante. La situazione dell'Africa Occidentale non è quella del dominio di una classe sull'altra ma quella di un popolo, di una etnia che domina l'altro.

Il nostro umanesimo deve avere come oggetto l'uomo dell'Africa Occidentale, ma non deve fermarsi all'Africa Occidentale, nè alla sola Africa, non si può parlare di nazionalismo o di pan-negrismo ma di pan-umanesimo che abbraccerà tutti gli uomini e tutto l'uomo, spirito e materia, priorità della materia ma primato dello spirito.

Ai nostri compagni di colore che a Parigi negli anni trenta, nel pieno del dibattito sulla negritudine, avevano abbracciato il marxismo, noi contrapponevamo la cultura innanzitutto, la riscoperta della vera cultura africana e dicevamo: "quando avrete finito la rivoluzione economica e sociale, quando sarete riusciti ad elevare il tenore di vita, non farete che imitare gli europei o i comunisti sovietici e sarete nella migliore delle ipotesi consumatori di cultura, non riuscirete a diventare produttori di cultura".

Ci sentivamo solidali con il lavoratori, con gli oppressi europei ma solo per un tratto di strada". (1978 intervista televisiva)

La via africana al socialismo ricercata da Senghor in venti anni di presidente del Senegal e inserita in un'idea evangelica di civiltà dell'universale, può sembrare oramai un progetto datato e astratto.

Il mito della negritudine del ritorno al regno degli antenati è del resto aspramente criticato, negli ultimi anni, da molti intellettuali africani soprattutto di estrazione marxista e anglofona che contestano a Senghor una visione idilliaca e romantica dell'Africa tradizionale.

Altri poeti africani, forse più arrabbiati, hanno gridato più forte il profondo dramma dell'Africa, ma nessuno l'ha espresso con la tragica bellezza e la limpidezza di Senghor. La lezione più alta dell'opera di Senghor proprio dove lui attinge ai miti della sua terra mussulmana, il suo tam-tam perduto nella notte di Dakar è purtroppo anche il lamento funebre a un mondo che scompare, l'ode ad un popolo liberato ma nuovamente depredato della sua innocenza.

".......Per capire la storia dell'Africa bisogna andare a Gorèe, un'isola di fronte a Dakar. Nell'isola di Gorèe venivano concentrati gli schiavi provenienti da tutta l'Africa e da lì partivano in convogli per l'America e per l'Antille. Venti milioni di Africani sono arrivati nelle americhe, ma soltanto uno schiavo su dieci arrivava vivo a destinazione, gli altri nove morivano durante la razzia la prigione di Gorèe o durante il viaggio.

La tratta degli schiavi è costata all'Africa duecento milioni di figli.

L'arretratezza dell'Africa non è dovuta alla povertà del suo suolo o all'incompetenza dei suoi contadini ma è dovuta alla tratta degli schiavi, ecco! in quella che è stata Gorèe per decenni e decenni c'è la risposta a molti dei problemi africani di oggi".
(1965 intervista televisiva)

 
Dimentico le mani bianche
che premendo il grilletto fecero cadere gli imperi
le mani che fustigarono schiavi
e che li flagellarono
le vecchie mani vi schiaffeggiarono
le mani laccate e incipriate
che mi hanno schiaffeggiato
le mani sicure
che mi spinsero alla solitudine e all'odio
le mani bianche che abbatterono
la foresta di palme che dominava l'Africa
Spianarono le foreste d'Africa per civilizzarci
visto che scarseggiava il materiale umano
Signore soffocherò la mia riserva d'odio verso i diplomatici
che sorridono con i loro lunghi camini
e domani baratteranno carne nera
Il mio cuore Signore
si è sciolto come neve sui tetti di Parigi


http://www.chiamasenegal.it/approCultura.htm



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