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Pedagogia
Tecnologie Didattiche: Costruttivismo, progettazione didattica e tecnologie. Antonio Calvani

Lingua: Italiana
Destinatari: Insegnanti, Formazione post diploma, Formazione permanente
Tipologia: Materiale per autoaggiornamento

Abstract:

Costruttivismo, progettazione didattica e tecnologie

 

Antonio Calvani

 

1

Introduzione

 

La “didattica” concerne il complesso di interventi volti a progettare, allestire, gestire, valutare “ambienti di apprendimento”, cioè speciali contesti ritenuti atti a favorire particolari processi acquisitivi in soggetti inesperti, risultanti da un'idonea integrazione di artefatti culturali, normativi, tecnologici e di specifiche azioni umane. L'ambito della progettualità didattica si è connotato storicamente in direzioni diverse, concentrandosi ora prevalentemente sul “gestore umano” del processo (tipicamente l'insegnante), ora sulla predisposizione organizzata di strumentazioni, metodologie-strategie, orientate al conseguimento di specifici obiettivi, come negli approcci curricolari, tipici degli anni '60-70, ora sull'allestimento di una impalcatura (scaffolding) corredata di molteplici dispositivi (meccanici, normativi, interpersonali), adatti, per dirla in termini vygotskjiani, a portare alla luce più “zone di sviluppo prossimale” (Vygotskji, 1966), potenzialmente attive nei soggetti che apprendono, come accade nei più recenti modelli costruttivistici (Wilson, 1996).

Ogni concezione didattica si richiama, anche in forma implicita, a particolari teorie della conoscenza ed a più generali assunzioni valoriali. Persino dietro le pratiche didattiche, apparentemente le più “ingenue”, è presente un tessuto nascosto di assunzioni ed una dinamica, talvolta anche conflittuale, di atteggiamenti ed orientamenti teorici. Uno dei livelli più rilevanti è, ad esempio, quello concernente le teorie della conoscenza assunta: è essa vista prevalentemente come “trasmissione”, come “elaborazione di informazione” o come “costruzione attiva di significati”? ha un carattere prevalentemente individuale o negoziale, astratto o concreto-contestualizzato, indivisibile o scomponibile, univoco o multidimensionale? e così via.

Considerazioni analoghe si possono fare sul versante dell’impiego delle strumentazioni e tecnologie di cui la didattica necessariamente si avvale. Solo una concezione ingenua vede le tecnologie come appendici neutre, statiche, povere di significatività teorica e culturale. Calate nei diversi contesti socio-culturali, esse si coniugano ed amplificano determinati assunti teorici, atteggiamenti, orientamenti del pensiero e della cultura.[1] Si pensi ad esempio a come la tecnologia-libro o a come il networking abbiano favorito e favoriscano, secondo più modalità, sia dirette che indirette (“metaforiche”), un certo modo di pensare ed organizzare la didattica.

La didattica, come progettazione ed implementazione, si trova così all'interno di un complesso gioco di sollecitazioni, di provenienza teorica più diretta, o più indiretta, quale quella mediata dalle pratiche tecnologiche e strumentali, cui si accompagnano comunque altre speculazioni e teorie.

La dialettica tra mutamenti nelle concezioni della conoscenza, progettualità didattica e tecnologie, su cui avanziamo qui qualche sintetica considerazione, può permettere di comprendere più adeguatamente alcuni cambiamenti significativi nella ricerca educativa degli ultimi decenni. Va da sé che questa dialettica è sensibile a cambiamenti sottostanti e ad onde d’urto più generali, esterne alle stesse componenti (crisi del contesto storico e socio-culturale, della visione storica, ecc.).

Fra i tre livelli, quello teorico-epistemico, quello didattico-progettuale e quello tecnologico, si generano dinamiche di vario tipo. In alcuni momenti si stabiliscono solidarietà trasversali ai diversi ambiti; pur provenendo da percorsi diversi le idee e gli atteggiamenti coinvolti si ritrovano all'interno di un assetto comune di ordine più generale; si entra allora in quella che in termini kuhniani, potremmo chiamare una “fase normale”, determinata dall'avvento di un “paradigma”; ciò dà maggiore slancio e convinzione anche alla fase applicativa che si sente adesso "spalleggiata" da una cornice teorica più solida; ciò dura fino a che nuovi elementi di incongruenza non mettano in crisi il "sodalizio" ed aprano una nuova fase di instabilità.

 

2

Due svolte cruciali: anni '50 ed anni '80

 

Una visione di sintesi della storia della progettualità didattica degli ultimi cinquant’anni alla luce di questa chiave di lettura porta a rilevare due svolte più significative, la prima avvenuta nel corso degli anni '50, di taglio “oggettivistico”, la seconda nel corso degli anni '80, di taglio “costruttivistico” (Varisco 1995a).

Negli anni cinquanta, attraverso orientamenti diversi, in certi casi anche contrapposti, quali il comportamentismo skinneriano, la nascita della scienza cognitiva, coi suoi risvolti sul versante cibernetico-informatico, psico-neurologico e linguistico, lo sviluppo dell'orientamento tassonomico- curricolare e dell'Instructional Technology, si prendono le distanze da una tradizione educativa che era rimasta, sul piano dell'innovazione didattica, prevalentemente ispirata all’attivismo deweyano.[2]

Si può prendere come data simbolica della svolta il 1959, anno della famosa Conferenza di Woods Hole coordinata da Bruner (ricordando tuttavia che, come noto, nella storia è per pura comodità di analisi che si scelgono gli “eventi epocali”). Gli orientamenti che emergono in quegli anni pur nella loro diversità, concordano nella esigenza di definire un approccio “scientifico- razionale” all’organizzazione didattica, alla sua strutturazione sequenziale, alla valutazione “oggettiva” degli apprendimenti, di mettere a punto una “teoria dell’istruzione”. Alcuni criteri di quello che diverrà l'approccio curricolare possono così essere sintetizzati: definire operativamente l’obiettivo da conseguire; valutare le conoscenze in ingresso; scomporre analiticamente l’obiettivo in sotto-obiettivi elementari; fornire feed-back orientativo durante il processo.[3]

In questa tradizione si sono inserite anche le tecnologie. L’istruzione programmata, nelle due versioni principali (modello lineare skinneriano e ramificato di Crowder), ha rappresentato, per così dire, il “braccio tecnologico” di una concezione della conoscenza e dell'apprendimento fortemente influenzata dai modelli scientisti propri del comportamentismo. Nel corso degli anni ‘70 e fino ai primi anni '80 la diffusione dei personal computer si è coniugata con una tradizione prevalentemente comportamentistica e poi cognitivistica del tipo Human Information Processing (H.I.P.): il computer è visto come una sorta di sostituto dell’insegnante (un tutor che presenta i problemi, decide della validità delle risposte del soggetto, ecc.). I successi che nel frattempo venivano conseguiti dalla scienza cognitiva nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale (I.A.) e l’allestimento di motori inferenziali suscitavano notevoli aspettative in educazione, rinforzando in sostanza un orientamento razionalistico, alla base del quale sono individuabili alcune idee di fondo: la conoscenza è rispecchiamento della realtà, è formalizzabile, può essere articolata in sotto-conoscenze, è implementabile in una macchina.

E’ nel corso degli anni ‘80 che diventano sempre più forti i segni di insoddisfazione verso questo quadro teorico. Quella particolare “solidarietà” tra modello della conoscenza (conoscenza come acquisizione- elaborazione di informazioni), modello didattico e di apprendimento (sequenziale-curricolare), modello tecnologico (computer istruttore), incomincia a vacillare.

Per vari versanti si avverte più intensamente la necessità di uscire da una tradizione oggettivistica e razionalistica (comportamentistica o anche cognitivista H.I.P.) che ha fatto da supporto a quel paradigma e che non appare più capace di fornire una risposta alle istanze emergenti.

L'idea che la conoscenza scientifica rappresenti un mondo, esterno, oggettivo, misurabile, concezione che ha fatto da supporto a diversi approcci della ricerca, viene messa in discussione anche nell’ambito delle teorie dell’educazione; si fa più diffusa l'idea che il mondo sia una costruzione derivata dalla nostra esperienza o che comunque tra soggetto ed oggetto esistano forme di solidarietà più profonda; si pensi ad autori come Von Foerster, Von Glasersfeld, Morin, Varela (Ceruti, Preta, 1990).

I motivi che stanno alla base di ciò sono sicuramente complessi. E' un passaggio che va messo in rapporto con una più generale crisi del razionalismo le cui radici risalgono all'inizio del secolo (Nietzsche, Freud, Husserl), crisi che acquista nuovo risalto nel coacervo culturale degli ultimi venti anni, in rapporto ai vari orientamenti che lo costituiscono (postmoderno, ermeneutica, decostruzionismo, pragmatismo, etica della comunicazione). Si tratta di un atteggiamento “che sembra trovare un terreno assai propizio nella delusione conseguente ai fallimenti di chi ha tentato di realizzare società o imprese secondo modelli ispirati troppo esclusivamente a un metodo di pensiero di tipo scientifico o tecnologico; oppure ha confidato in modo troppo ingenuo sulla possibilità di risolvere i problemi umani sulla base di approcci e metodologie di natura esclusivamente scientifica e tecnologica” (Pellerey, 1994, p.57).

Ci si accorge che la conoscenza alta, razionale e consapevole è piuttosto una sorta di irradiazione superficiale dell'altra e ben più robusta conoscenza che si annida nei ventricoli oscuri del corpo (Longo, 1995).

In particolare si intensificano adesso le critiche nei confronti dell'uso dei metodi matematici e fisici nelle scienze sociali e diventa forte la spinta al superamento degli steccati arte-scienza, che filosofi come Feyerabend, Goodman o Rorty hanno, per diversa strada, sottolineato. “Le scienze umane sembrano avere ingaggiato una sorta di guerra di liberazione da un oppressore invadente e paralizzante: il ‘pensiero forte’, una ragione che cerca e vuole offrire garanzie logiche ed empiriche alla verità delle proprie affermazioni” (Pellerey, 1994, p.47).

Di qui l'attenzione verso una razionalità diversa da quella matematico scientifica e tecnologica, che riscopre il valore della dialettica intesa nel senso di argomentazione interpersonale; un ruolo in tal senso ha avuto anche Bruner che lamenta negli ultimi anni il particolare carattere assunto dal cognitivismo nel cui sviluppo ha prevalso “l’elaborazione dell’informazione” rispetto alla “ricerca del significato”, laddove gli intendimenti suoi, e degli altri autori della svolta cognitiva di fine anni ‘50, erano piuttosto orientati a gettare un ponte tra ricerca scientifica ed ermeneutica, tra linguaggio scientifico e narratologia (Bruner, 1988, 1992).

A ciò si aggiunge una crescente insoddisfazione da parte di educatori e psicologi dell'educazione nei riguardi di un approccio rigidamente analitico-sequenziale e verso gli approcci psicometrici (i “test oggettivi” di profitto): si pensi ad esempio alle critiche di Gardner verso i sistemi correnti di valutazione ed alla sua rivendicazione della molteplicità delle intelligenze (Gardner 1993a, 1993b).

Questi elementi si sono venuti raccogliendo in una sorta di cognitivismo di seconda generazione, che nel dibattito internazionale è designato ormai come “costruttivismo”. Ma a ciò concorrono anche elementi che provengono dalla particolare vicenda propria delle nuove tecnologie.

 

3

L'impresa dell'intelligenza artificiale (I.A.)

 

Non va infatti sottovalutato il peso esercitato dalla delusione subentrata in un settore di punta della ricerca tecnologica, quello dell'Intelligenza Artificiale. Da Platone, attraverso Cartesio a Leibniz e via via fino al primo Wittgenstein, la conoscenza razionale è stata considerata la modalità superiore consentita agli esseri umani. Nel solco di questa tradizione l' I.A. ha cercato di realizzare uno dei sogni più ambizioni cui l'uomo potesse aspirare, quello di “ricreare la mente”, cioè di dar vita ad una macchina capace di mettere in atto comportamenti “intelligenti”, o comunque tali che osservatori esterni non potessero distinguerla da comportamenti umani, secondo la classica prova di Turing, assumendo la conoscenza astratta come sinonimo dell'intelligenza stessa. L'impresa a cui hanno contribuito scienziati come Turing, Newell, McCarthy, Simon, Minsky, portò inizialmente a risultati entusiasmanti: la capacità di mettere un computer in condizione di battere un campione di scacchi è indubbiamente un risultato che non può essere sbrigativamente sottovalutato. I problemi maggiori sono cominciati quando si è cominciato a confrontare i computer con la comprensione del linguaggio naturale. Si è scoperto ben presto che mettere un computer in condizione di “comprendere” un testo, ad esempio di farne una sintesi attraverso una parafrasi adeguata, poneva problemi di enorme complessità (per la dimensione metaforica, pragmatica, per le assunzioni implicite che stanno al di là del testo ecc.): per quanto la ricerca al riguardo abbia avuto il merito di produrre un interessante armamentario teorico (si pensi ad esempio ai concetti di script, di frame ecc.), bisogna riconoscere che le applicazioni scaturite sono rimaste sostanzialmente deludenti.

Negli ultimi anni appare sempre più evidente l'impasse in cui si è trovata la ricerca sull'intelligenza artificiale all'interno dei modelli razionalistici di taglio logico-deduttivo[4].

Tra gli studiosi che si sono occupati di intelligenza artificiale e che avvertono il bisogno di cercare una via radicalmente nuova, Winograd e Flores, rifacendosi all'ermeneutica di Heidegger e Gadamer, alla teoria degli atti linguistici di J. Austin e J. Searle, alla teoria biologica di Maturana e Varela,  hanno sottolineato come la ricerca tecnologica debba riscoprire dimensioni proprie della fenomenologia, come l’ “esserci” (Winograd, Flores, 1986).

In questa nuova ottica la potenza delle tecnologie viene vista essenzialmente in ciò che esse fanno scoprire nelle relazioni tra gli esseri umani, nella creazione di un dominio consensuale e cooperativo cui esse possono dar luogo.

D'altro canto la rapida diffusione, a partire dalla fine degli anni '80, degli ipertesti che si vengono sempre più coniugando con suggestioni già avanzate dalla semiologia e dal decostruzionismo (Landow 1993; Bolter, 1994), dà ulteriore impulso a questo passaggio.

Secondo autori come Barret (1989), la conoscenza assume il carattere di una costruzione testuale cooperativa ed il computer è un mezzo per supportare un ipercontesto di collaborazione e dialogo che favorisce tale scopo.

In linea generale ci si rende conto che la ricerca si è chiusa in un recinto pericoloso, ha dato vita ad una “mente disincarnata”, l'ha distaccata dal corpo; anche le macchine intelligenti non possono fare a meno dell'equivalente di un corpo; bisogna allora produrre nuove “tecnologie della mente-corpo”[5].

 

4

Il costruttivismo

 

Nel corso degli anni ‘80, dunque, per vari cambiamenti sul piano culturale e filosofico, ma anche su quello della ricerca tecnologica, un tradizionale sodalizio epistemico, didattico, tecnologico, entra in crisi. Gradualmente un nuovo quadro teorico si fa luce. Il termine emergente, con cui si intende contrassegnare la svolta, rispetto ai tradizionali modelli della conoscenza è “costruttivismo”. Tra costruttivismo, progettazione, modelli didattici e impieghi delle tecnologie, si vengono gradualmente stabilendo nuove alleanze.

Il costruttivismo è attualmente un “vessillo” sotto la cui egida, sempre più, nell'area statunitense, si vanno consapevolmente raccogliendo epistemologi, studiosi dell’area cognitiva, progettisti educativi, tecnologi[6]. Esso scaturisce dal crollo di un modello epistemico razionale, lineare, dell’idea che la conoscenza possa essere esaustivamente “rappresentata” in particolare avvalendosi di modelli logico- gerarchico e proposizionali.

Nasce soprattutto come esigenza di abbandonare un cognitivismo H.I.P. che non ha mai del tutto rinunciato ad alcune componenti meccanicistiche proprie del comportamentismo. Al cuore del costruttivismo riemerge l’antisostanzialismo di una tradizione, specialmente pragmatica (Rorty), che si arricchisce di un più sofisticato armamentario intellettuale proveniente dall’ermeneutica e dal decostruttivismo.

I concetti principali che caratterizzano l'attuale costruttivismo possono essere ricondotti a tre; la conoscenza è prodotto di una costruzione attiva del soggetto, ha carattere “situato”, ancorato nel contesto concreto, si svolge attraverso particolari forme di collaborazione e negoziazione sociale (Jonassen 1994). In primo piano viene posta la “costruzione del significato” sottolineando il carattere attivo, polisemico, non predeterminabile di tale attività.[7]

I denigratori hanno buon gioco nel mostrare che il costruttivismo ha connotato la propria identità “costruendosi” un bersaglio negativo, contrapponendosi cioè ad un oggettivismo, dai connotati esagerati a bella posta a scopo polemico e che gli “ingredienti” del costruttivismo, sia sul piano teorico che didattico sono tutt’altro che nuovi: esso infatti recupera un mix di ingredienti, alcuni dei quali risalgono agli inizi del secolo ed hanno seguito la progressiva crisi del positivismo e del neopositivismo: la conoscenza come costruzione attiva del soggetto, è un concetto presente in gran parte della ricerca di questo secolo. Dewey, Piaget e Vygotskij possono essere considerati costruttivisti; del resto, secondo Von Glaserfeld (1989), Giovanbattista Vico è il primo costruttivista. Altri (Merril, 1991) sostengono che le proposte del costruttivismo non sono in contraddizione con quelle cognitiviste e che, nell’insieme, le suggestioni e la vis polemica del costruttivismo possono rappresentare un utile fertilizzante all’interno del quadro cognitivistico.

 

5

Costruttivismo e didattica

 

Il costruttivismo in realtà non ha al momento una didattica “forte” da proporre; piuttosto coagula esigenze. E’ soprattutto caratterizzato da un’esigenza di rifiuto d’una figura di insegnante come fornitore di informazioni, di rifiuto del distacco della scuola dalla vita, del carattere “inerte” della conoscenza che gli alunni dovrebbero acquisire; al fondo c’è una carica oppositiva al modello corrente di scuola, che richiama l’opposizione alla scuola emersa all’inizio del secolo (Dewey e “scuole attive”) o la critica degli anni sessanta al sistema scolastico, pur senza la componente ideologico-sociale che caratterizzava quegli anni.

La parte propositiva si riduce a raccomandazioni alquanto generali. Alcuni orientamenti ricorrenti si possono così sintetizzare (con Jonassen 1994). Gli ambienti di apprendimento di taglio costruttivistico dovrebbero:

- dare enfasi alla costruzione della conoscenza e non alla sua riproduzione;

- evitare eccessive semplificazioni rappresentando la naturale complessità del mondo reale;

- presentare compiti autentici (contestualizzare piuttosto che astrarre);

- offrire ambienti di apprendimento assunti dal mondo reale, basati su casi, piuttosto che sequenze istruttive predeterminate;

- offrire rappresentazioni multiple della realtà;

- alimentare pratiche riflessive;

- permettere costruzioni di conoscenze dipendenti dal contesto e dal contenuto;

- favorire la costruzione cooperativa della conoscenza, attraverso negoziazione sociale.

 

Il costruttivismo per molti aspetti è dunque un déja vu, la miscela degli elementi che riscopre hanno una lontana origine. Non si può evitare di mettere in rapporto il costruttivismo con l’attivismo. L’enfasi sulla strutturazione attiva delle conoscenze è ben nota in una tradizione europea: il cooperative learning richiama il lavoro di gruppo, le communities of learners hanno analogie con la “metodologia della ricerca” che ha avuto in Italia la sua stagione negli anni ‘70. L' esigenza di uscire da un apprendimento formale, astratto decontestualizzato, a favore di un apprendimento basato su compiti autentici, situato, rimanda inequivocabilmente alle riflessioni sul ruolo dell'esperienza in educazione, che accompagnano tutta l'opera di Dewey. Bisogna però anche comprendere che le proposte didattiche di taglio costruttivistico hanno ben poco a che fare con un certo banale spontaneismo attivistico a cui siamo abituati. In ogni progetto, la costruzione di una “impalcatura” (scaffolding), in particolare il complesso di regole comportamentali e sociali, è molto forte e strutturata: si dà spazio allo studente agendo più pesantemente sul contesto (norme cooperative molto precise, forte intervento di responsabilizzazione, presenza ed impiego analitico di dispositivi e strumentazioni, ecc.)[8].

 

6

Modelli didattici specifici

 

Da questi principi derivano alcuni modelli didattici, che vengono riconosciuti dagli autori nello spirito del costruttivismo. I modelli attualmente più noti nella letteratura internazionale sono i seguenti: community of learners (Brown, 1996; Brown, Campione, 1994; Ligorio, 1994), apprendistato cognitivo (Collins, Holum, 1991; Collins, Brown, Newman, 1989, 1995), ambienti per l'apprendimento generativo (Cognition & Technology Group at Vanderbilt, 1992, 1993), ambienti di apprendimento intenzionale sostenuto dal computer (C.S.I.L.E.) di Scardamalia e Bereiter (1993-1994).

 

L'espressione “community of learners” si riferisce ad un progetto educativo a forte apertura antropologica, attivo da diversi anni sotto la direzione di Ann Brown e Joseph Campione (1994) presso l'Università di Berkeley (California). Una comunità di apprendimento è un particolare ambiente di ricerca cooperativa che, prendendo a modello le comunità scientifiche, fa della riflessione problematica sulla conoscenza e della mutua condivisione delle risorse intellettuali il principio ispiratore di ogni attività.

L'ambiente è visto come una virtuale intersecazione di zone di sviluppo prossimali (si estende qui il concetto vygoskiano) in cui si vengono a disporre una varietà di impalcature (scaffolding) che assistono, stimolano, orientano in vario modo, lasciando tuttavia forte spazio alla responsabilizzazione del soggetto che viene costantemente orientato verso l'autonomia; i partecipanti si muovono attraverso differenti strade e a differenti velocità, in un clima di condivisione e scambio reciproco.

 

Il modello dell'apprendistato cognitivo, sviluppato soprattutto da Allan Collins, da John Seely Brown e da Susan Newman (1995),  nasce dalla constatazione del fallimento della scuola tradizionale, che non consente agli studenti una piena padronanza degli utensili cognitivi che essa introduce: si tratta allora di realizzare un'integrazione tra i caratteri della scuola formale e dell'apprendistato, dominante in tutte le società prima dell'avvento della scolarizzazione. L'apprendistato tradizionale impiega quattro importanti strategie per promuovere la competenza esperta: modelling (l'apprendista osserva ed imita il maestro che dimostra come fare); coaching (il maestro assiste continuamente secondo le necessità: dirige l'attenzione su un aspetto, dà feedback, agevola il lavoro); scaffolding (è un aspetto particolare del coaching: il maestro fornisce un appoggio all'apprendista, uno stimolo, pre-imposta il lavoro, ecc.); fading (il maestro elimina gradualmente il supporto, in modo da dare a chi apprende uno spazio progressivamente maggiore di responsabilità).

L'apprendistato cognitivo si differenzia però dall'apprendistato tradizionale per la maggiore attenzione alla dimensione metacognitiva, agli aspetti del controllo, ed alla variazione dei contesti di applicazione. Si introducono allora altre strategie, quali: articolazione (si incoraggiano gli studenti a verbalizzare la loro esperienza); riflessione (si spinge a confrontare i propri problemi con quelli di un esperto); esplorazione (si spinge a porre e risolvere problemi in forma nuova).

Anche da questo approccio si possono desumere principi per la progettazione complessiva di ambienti di apprendimento (learning environments).

 

All'interno della stessa cornice teorica dell'apprendistato cognitivo si muove la sperimentazione attuata dal Cognition & Technology Group at Vanderbilt (1992, 1993) sugli ambienti di apprendimento generativo. Anche qui si parte dal presupposto che la conoscenza appresa nei curricoli scolastici astratta dal contesto rimane conoscenza “inerte”: gli alunni non sono capaci di reimpiegarla attivamente in altri contesti. Ne deriva una linea di ricerca che valorizza un tipo di istruzione ancorata o situata, in cui cioè i problemi sono innanzitutto presentati attraverso l'illustrazione di situazioni autentiche, significative, attinte dalla vita reale. Gli studenti sono introdotti nella situazione e propongono, generalmente con la discussione di gruppo, vari modi di soluzione personale (per questo gli ambienti sono definiti generativi), con la possibilità poi di esaminare le modalità proposte dagli esperti o le soluzioni in diversi contesti[9].

 

In uno spirito analogo, ma più orientato ad arricchire le forme della comunicazione collettiva è il progetto C.S.I.L.E. (Computer Supported Intentional Learning Environments) di Bereiter e Scardamalia (1993-1994). Come sostengono gli autori, “le scuole hanno bisogno di essere ristrutturate come comunità in cui la costruzione delle conoscenze è sostenuta come obiettivo collettivo ed il ruolo della tecnologia dell'educazione dovrebbe rimpiazzare i modelli discorsivi della classe con quelli che hanno più immediata e naturale estensione alle comunità di costruzione di conoscenza al di fuori della scuola".

In un progetto di comunità di costruzione delle conoscenze (knowledge building communities) si mira a cambiare fondamentalmente il modo di cooperare, appoggiandosi ad un modello distribuito della conoscenza cioè sul fatto che le competenze dovrebbero essere dislocate in forma differenziata tra studenti piuttosto che perseguire l'obiettivo che ciascun studente sappia le stesse cose. Il termine “intenzionale” con cui si designa questo apprendimento intende sottolineare l'importanza della dimensione metacognitiva (ad esempio gli alunni sono indotti non solo ad apportare note o associazioni aggiuntive, ma anche a dare giustificazione di queste), aspetto che tradizionalmente è al centro dell'attenzione di Bereiter e Scardamalia.

 

Una nuova teoria dell'istruzione, che si basa sull'impiego degli ipertesti, è la Cognitive Flexibility Theory, da cui dipende la tecnologia Cognitive Flexibility Hypertexts (CFHs) (Spiro et al., 1995), un approccio costruttivistico secondo cui gran parte dei fallimenti delle teorie dell'istruzione tradizionali dipendono dal fatto che esse si basano su rappresentazioni troppo semplificate della realtà e su una visione troppo statica dell'attività cognitiva; la teoria della flessibilità cognitiva mette in risalto la complessità del mondo reale, il carattere a struttura debole di molti settori conoscitivi e la necessità di far apprendere in una varietà di modi differenti e per una diversità di scopi favorendo così il prodursi di rappresentazioni multiple della conoscenza. Ci si ispira ad una metafora di Wittgenstein, quella della conoscenza come “criss-crossed landscape”, cioè come attraversamento non lineare e multiprospettico di un territorio, per cui occorre passare più volte dallo stesso luogo, ma da direzioni diverse. I contenuti devono essere riusati più volte; è fondamentale per una reale padronanza rivisitare lo stesso materiale in tempi differenti, in contesti modificati.

Il modello teorico sotteso si contrappone ai modelli cognitivistici che vedono la conoscenza come ritrovamento in memoria di pre-conoscenze e loro implementazione su nuovi dati (schemata, frames), ed esalta invece l'attività conoscitiva come riadattamento flessibile della preesistente conoscenza in funzione dei bisogni posti dalla nuova situazione.

Il computer, ed in particolare gli ipertesti, appaiono agli autori particolarmente adatti per sviluppare la flessibilità cognitiva, in virtù della loro agilità di funzionamento che può consentire di pervenire ad una determinata unità informativa da diverse direzioni.

 

In sintesi i modelli didattici di impronta costruttivistica:

 

a) mettono in risalto l’ “ambiente di apprendimento”[10] rispetto alla istruzione come sequenza preordinabile. Non aboliscono la programmazione curricolare, ma spostano l’attenzione sul “contorno”, sulla varietà dei supporti e dispositivi collaterali, che si possono affiancare all'alunno che apprende;

 

b) considerano un ambiente di apprendimento come un luogo virtuale d'incontro tra molteplici impalcature regolabili, attraverso giochi di mutua appropriazione;

 

c) vedono il processo didattico come non lineare bensì "emergente" e "ricorsivo";

 

d) pongono forte enfasi sul discente, sulla autodeterminazione del percorso e degli stessi obiettivi;

 

e) danno forte risalto alla molteplicità delle piste percorribili ed alla varietà prospettica con cui si può vedere la conoscenza;

 

f) si avvalgono sensibilmente di tecnologie, in particolare come amplificatori della comunicazione e cooperazione interpersonale.

 

Una schematizzazione dei due modelli dominanti della programmazione didattica, il primo di taglio comportamentistico-cognitivistico (per unità didattiche), il secondo di taglio costruttivistico-ermeneutico (per progetti) è riportata nella scheda allegata.

 

7

Costruttivismo e nuove tecnologie

 

Oggi il costruttivismo si allea con le nuove tecnologie, riproponendo modelli che per certi aspetti ricordano le forme dell’attivismo (apprendimento centrato sull'attività dell'allie

http://www.scform.unifi.it/lte/allegati/2/Costruttivimo%20e%20progettazione.doc



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