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La scuola di Barbiana: LINEE E METODI NELLA COMUNICAZIONE DI DON LORENZO MILANI

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media inferiore, Alunni scuola media superiore, Formazione post diploma
Tipologia: Materiale di studio

Abstract:

LINEE E METODI NELLA COMUNICAZIONE DI DON LORENZO MILANI

I- Tutti coloro che hanno conosciuto don Milani, le sue opere e interventi pubblici in vita o anche solo, dopo la morte, i suoi scritti e le sua biografia, riconoscono che il suo stile di comunicazione è segnato da una grande efficacia. Anche i critici e gli oppositori - legione in vita e numerosi dopo la morte - con le loro reazioni testimoniano la capacità di don Lorenzo di colpire, scuotere, provocare alla riflessione e alla presa di posizione sui problemi.

2 - Chi poi interpreta don Lorenzo da credente - è naturalmente il mio caso – ha l’impressione di vedere realizzato nel suo "comportamento-parola" quell'annuncio "con potenza" (dinamis. in greco) che spesso il Nuovo Testamento attribuisce a Gesù e agli apostoli. In S.Luca si legge, sulla bocca dei discepoli di Emmaus. che Gesù è stato un "profeta potente, in opere e in parole (1). S.Paolo, nella prima lettera ai cristiani di Corinto, dice che la predicazione del suo vangelo ha avuto "conferma di Spirito e di potenza" (2). Anche in don Milani (e , aggiungerei, più passa il tempo), si osserva una misteriosa fusione tra la parola e il comportamento da una parte e la "Parola" che illumina e che salva. E questo avviene anche (e forse ancora maggiormente) quando lo si sente affermare il primato della coscienza oppure la distinzione tra i piani dell'agire umano (per cui la politica non si confonde con la fede né la giustizia con l'elemosina} o anche quando difende quasi con ferocia la laicità della scuola.

3 - Ma esistono delle ragioni che possono spiegare l'efficacia della comunicazione - del linguaggio in particolare - con cui don Milani si è espresso? Quali sono? Come cercarle? In una nota all'intervento fatto al Convegno del 1997 (3) sostenevo la necessità di questa ricerca. Don Milani ha ripetuto tante volte che l'arte dello scrivere ha delle "regole oggettive": forse anche l'arte della comunicazione, che comprende la scrittura ma ha una estensione molto più vasta e profonda, ha le sue regole che vanno rispettate. Vale la pena cercare di scoprirle in chi le ha usate così bene.

4 - Ho condotto la mia ricerca in due direzioni. Ho esaminato prima di tutto l'uso che don Lorenzo fa delle grandi opere della letteratura e dell'arte. Ho poi cercato di capire - ed è stata la cosa più impegnativa - quello che chiamo, provvisoriamente, il metodo della parzialità. Mi ero proposto anche di studiare quella comunicazione per "modelli drammatizzati" che tanto rilievo ha avuto nel comportamento di don Lorenzo, dalle grandi scelte (come ad esempio l’accettazione dell'esilio a Barbiana) a quelle che vengono conosciute come le "scenate" o le sfuriate del Priore. Nel 2001 avevo preparato per la pubblicazione su "Avvenire" un piccolo intervento che non è uscito ma i risultati non sembrano convincenti neppure a me. Mi fermerò perciò sulla soglia dell’ultima questione.

5 - Partiamo dal primo punto. Poiché don Milani si è occupato di istruzione di base (scuola popolare a S.Donato e poi scuola per l'età dell'obbligo e infine scuola per maestri) le grandi opere della letteratura erano anche per lui un materiale di uso quotidiano. Quelli della mia età ricorderanno che, convinti del valore formativo dei grandi autori, i programmi e gli insegnanti di cinquant'anni fa insistevano sulla conoscenza diretta, integrale e con una lettura in classe, di certe opere-base, con qualche preferenza concessa al singolo insegnante. Ora, il primo elenco delle "letture preferite", nell’insegnamento di don Milani, è comparso pubblicamente nel 1965. In un paragrafo della "Lettera ai Giudici" don Milani dice: "Questa tecnica di amore costruttivo per la legge l’ho imparata insieme ai ragazzi mentre leggevamo il Critone, l’Apologia di Socrate, la vita del Signore nei quattro Vangeli, l’autobiografia di Gandhi, le lettere del pilota di Hiroscima. Vite di uomini venuti tragicamente in contrasto con l'ordinamento vigente al loro tempo non per scardinarlo ma per renderlo migliore.(4) Immaginate come potevano suonare insolite (o strane) queste parole alle orecchie di un giovane prete, il sottoscritto, che le leggeva sulla copia di "Rinascita" della Biblioteca civica di Sarzana. E sì che avevo letto "Esperienze pastorali" a 18 anni, appena il libro era uscito, prima dì entrare n seminario. Ma vedere i Vangeli collocati tra due opere di Platone (5) note solo come titoli di storia della filosofia e due biografie di cui una di un non cristiano era allora - e n on solo per me- fonte di molti interrogativi. Del resto, in quale chiesa, anche oggi, potreste sentire Gesù Cristo presentato come un uomo che è venuto "in contrasto con l’ordinamento vigente al suo tempo non per scardinarlo, ma per renderlo migliore"? Quale significato aveva mettere i Vangeli sulla stessa linea di opere letterarie e filosofiche così storicamente lontane? Quali criteri erano stati seguiti per metterle insieme e farle servire (questo almeno era chiaro) per un opera di formazione umana, morale, civile e religiosa insieme?

6 - Ho cominciato a capire qualcosa di più quando ho letto l’affermazione del 1966: "Da vent’ anni in qua non ho mai letto nulla, nemmeno il giornale, se non ad alta voce con i ragazzi".(6) Allora forse, è la prima conclusione, quei libri sono stati scelti perché rispondevano alle esigenze dei ragazzi. prima che a quelle di don Milani. In effetti, per l'Apologia abbiamo una traccia, se non il perché del suo inserimento nell'elenco. In una lettera del 1953, ad Alberto Parigi, si legge: "L'Apologia te la renderò se permetti tra qualche settimana perché alcuni ragazzi l'hanno voluta leggere e altri ancora la leggeranno e ne sono tutti molto compresi" (7) Nel 1955, da Barbiana, scrive a Meucci: "A proposito di Socrate, ti ho mai raccontato della commozione che suscitò la lettura dell'Apologia a S.Donato? Non avevamo mai trovato nulla che esprimesse così precisamente il nostro ideale" (8) Notate bene la parola "commozione". A me sembra che don Lorenzo, mentre sottopone a critica severa la biblioteca aristocratico-borghese da cui ha attinto lui stesso in seminario (la critica formerà il paragrafo "La cultura del prete" nel capitolo III di E.P.). cominci concretamente a riordinare quegli scaffali, stabilendo nuovi ordini di precedenza. In questo, egli si fa guidare anzitutto dalla sensibilità del nuovo popolo di giovani che gli sta crescendo tra le mani con la scuola popolare. E' con loro che rilegge le conquiste più importanti della riflessione umana. La base dell'efficacia è dunque oggettiva, perché è stata riconosciuta dalla storia del pensiero ma c'è in più il filtro di giovani operai e contadini che sono stati riconquistati alla cultura senza essere strappati alla loro classe di origine. Poi c'è l'urgenza del momento storico: un mondo uscito dalla guerra che vuole giustizia e teme guerre future. C'è, infine, il contatto con le intelligenze più vigili del momento, at traverso gli incontri del venerdi a S.Donato e poi con l'alluvione di ammiratori che la pubblicazione di E.P. porta a Barbiana. E’ un lavoro (questo del "riordino") fatto con mezzi poveri, in cui entra anche la casualità. Ogni volta, però, don Lorenzo sì immerge nelle "scoperte" fatte assieme ai suoi ragazzi con un entusiasmo che diventa contagioso.

7 - Don Lorenzo si è reso conto, senza dubbio, che in questa scelta di quelli che possiamo chiamare "testi-base", alcune cose devono essere lasciate alle diverse sensibilità di chi insegna e ai diversi contesti umani della scuola. Così, sembra di capire, a parte il continuo e forte richiamo alta Costituzione italiana, la "Lettera a una professoressa" non vuole indicare un elenco di opere "obbligatorie": non c’è l'Apologia, Gandhi viene presentato una volta come esempio scomodo ("Gandhi l'ha fatto") ( 9) e una volta come uno "studio" consigliabile ("Se studierete Gandhi").(10). Al Vangelo, nella parte riguardante le magistrali, vengono dedicate ben due pagine (120 e 121), dove viene chiarito il valore civile e culturale di testi che vengono impoveriti se restano esclusiva proprietà dei credenti cristiani. (Oggi, questa idea nuova viene sostenuta dalla Associazione "Biblia'). Sarebbe da verificare, quanto ho detto prima sul "riordino della biblioteca", lavor ando ancora sui ricordi degli allievi di S.Donato. Io ho controllato la relazione fatta dal Gruppo don Milani al Convegno del 1988 e ho trovato che, oltre all'accostamento adulto ai testi evangelici, la figura di Gandhi ha un posto di rilievo " in relazione ai problemi del Terzo mondo e come massimo esponente di conquista politico-sociale attraverso la lotta non-violenta" (11)

8 - Dunque ripeto: filtrati dalla nuova sensibilità dei giovani operai e contadini, i grandi autori del passato devono essere recuperati. Ma questo recupero non è senza problemi. "I grandi autori sono immortali, si dice, e la cosa come al solito è vera per le categorie privilegiate. Il fatto è che dopo solo 100 anni essi sono già morti per le categorie più umili (appunto gli operai adulti e i ragazzi che non seguiteranno gli studi). Dopo 200 anni sono morti anche per i ginnasiali. Dopo 600 anni se si chiamano Dante vivono a stento (con più note che testo) per i figli di papà nei licei".(12)

Quando in "Lettera a una professoressa" si legge che Foscolo "non voleva bene ai poveri",(13) questa è solo una versione un po' più pungente e scanzonata delle serissime affermazioni che don Milani ha appena fatto. Tutto il contrario di un accostamento superficiale o di un disprezzo per le fatiche del pensiero e del lavoro intellettuale. E don Lorenzo non solo rispetta gli "autori" ma pretende anche il rispetto per se stesso come autore. E’ vero che alla fine della vita scriverà "non voglio morire signore cioè autore di libro". (14) ma a G.Meucci nel 1956, prima ancora che E.P. sia stampato, egli scrive in tono puntiglioso: "Il mio libro non è affatto un atto di amore ma di pensiero". (15)

Dopo l’ uscita del libro, scrive ad Arturo - Carlo Jemolo (che aveva firmato una recensione sulla "Stampa": io lessi lì per la prima volta il nome di don Milani) per chiedere una seconda recensione più proporzionata all'oggetto" (16) cioè più attenta alle questioni di sostanza che il libro sollevava e anche più compresa dei rischi affrontati dal suo autore, dice don Milani, "per la veste che porta e per la crudezza del testo".(17) Teniamola a mente questa espressione "crudezza del testo", perché ci sarà probabilmente utile nella seconda parte della nostra riflessione. Inoltre, don Milani prega Jemolo di considerare il libro "(non come opera d'arte [forse lo è], non come opera scientifica [certo non lo è], ma come semplice documento storico raro da mettersi in archivio e da non perdersi)" (18).

Dunque don Milani pensa (in modo appena dubitativo) di aver fatto opera d’arte. Lo conferma indirettamente il fatto che egli neghi a Meucci di voler ancora lavorare al libro per "una perfezione estetica".(19) La parola arte ritorna spesso nel linguaggio di don Milani. La famosa lettera a Nadia Neri (1966) contiene una curiosa sequenza: "l'arte dello scrivere cioè di esprimersi cioè di amare il prossimo cioè di fare scuola"(20) Si ricordano, a Barbiana, lezioni sulla pittura del Rinascimento (testimone: G.Falossi), sulle forme dell'architettura (compresa l'architettura contadina.). (testimone: ACorradi), sulla musica, sul cinema.

9 - Come riesce don Milani a portate i suoi allievi a contatto con le varie forme d’ arte, nonostante l'invecchiamento delle opere e degli autori? Egli chiede ogni volta una preparazione accurata,ma nello stesso tempo è sempre alla ricerca di "scorciatoie" valide. Prendete l’esperienza famosa dell'allegretto della VII Sinfonia di Beethoven,(21) fatto seguire a S.Donato sulla musica microfilmata (22) e a Barbiana su un rotolo che si svolge (le foto compaiono in diverse pubblicazioni). Don Milani pensa: come per imparare le lingue non c’è bisogno di imparare prima la grammatica, ma basta cominciare con l'esercizio (attraverso i dischi, per esempio), come la recita di un testo teatrale fa entrare dentro il meccanismo della composizione drammatica e dell'arte della recitazione (ricordare "Piccola città" di Thornton Wilder (23) a S.Donato e "La giara" di Pirandello (24) rappresentata a Barbiana dal Prof.Ammannati), così la visualizzazione della partitura (della musica scritta) fa entrare dentro il linguaggio della musica e dentro il meccanismo della costruzione musicale.E non si tratta salo di "svecchiare", Don Lorenzo non vuole "defraudare" i ragazzi, quando ne ha l'occasione, dei valori di una forma espressiva borghese come il melodramma; egli vuole che imparino a disprezzare "dame in décolleté, gioielli e velluti rossi " ma anche ad apprezzare " l’arte della scena, del costume, del canto e del suonare (25).

Fino ad arrivare alla proposta di rivedere la lingua dei Promessi Sposi, per ridurre gli ostacoli a chi vuole apprezzarne i valori di fondo (e uno dei valori di fondo, ricordiamolo. è stata la scelta di Manzoni (26) di usare una lingua più largamente compresa a livello popolare).

10 - Che cosa c’è dietro questa "passione" con cui don Milani vuole avvicinare i suoi ragazzi alle grande opere dell'ingegno umano? C'è, a mio parere, la convinzione che l’originalità di un autore, la sua potenza artistica sono un'arma fortissima per muovere il cuore e aprire la mente a cose alte. In una mente che sa vibrare e commuoversi c'è per don Milani la premessa al riconoscimento della verità tutta intera. E qui credo che don Milani abbia seguito- in modo molto convinto – il principio esposto dal Filosofo Tommaso d'Aquino , (27) per il quale "Il bello è lo splendore del vero". Ecco perché don Lorenzo considera vertice della sua opera quello di aver portato un piccolo gruppo di giovani poveri

11 - Ricomposto il quadro complessivo, possiamo anche divertirci a scoprire gli usi che don Lorenzo ha fatto delle opere e delle intuizioni di verità che gli autori vi hanno messo dentro. Dal "Sergente nella neve" di Rigoni Stern (30) don Dilani prende - con ogni probabilità - alcune parole russe che evocano ironicamente la sua situazione iniziale a Barbiana: "Se tu fossi entrato in quel punto a vedermi così primordialmente cenare con due donnucce e due energumeni a tante vertze dalla più vicina izba..." (31) Nella lettera a Pistelli utilizza a un certo punto (per dire che anche il card.Rufflni sarebbe capace di trovare le soluzioni giuste, se solo conoscesse veramente i fatti) l'idea centrale d "Robinson Crusoe" di DanieI Defoe:(32) "Di fronte al bisogno ogni uomo diventa inventore come Robinson nell’isola".(33) Nella lettera a Luciano Ichino (1959) c'è un brano gustoso su don Abbondio. trattato come una persona in carne ed ossa, che si potrebbe castigare per le sue malefatte (oltre al resto) mandandogli una copia dei "Promessi sposi" oppure una copia di E.P. (34).

12- Io mi sono chiesto se in questa "normalità di un maestro che sa a chi si sta rivolgendo, i poveri, i più trascurati, gli ultimi. (normalità certamente arricchita dalla intelligenza e dalla Grazia, tanto per tranquillizzare i pigri), non ci sia un "modello", dal quale don Milani ha attinto più che da altri. Credo di averlo trovato, anche se al riguardo don Milani non ci dà chiare indicazioni. Nella seconda parte chiariremo meglio questo punto. Intanto diciamo che don Milani succhia dalla cultura del passato e del presente quanto c'è di buono e lo ricicla, lo rielabora, lo rende digeribile ai suoi allievi senza distribuire a nessuno targhe e riconoscimenti. (35)

Il modello dunque l'ho trovato. Si tratta di Giovanni Verga (36), studiato nelle scuole come autore de "I Malavoglia" e di alcune raccolte di novelle. E' un autore poco popolare che però ha tentato - a livello letterario - quella immersione nel popolo che don Milani ha operato durante tutta la sua vita di prete. In un breve testo, stampate sempre come premessa alla novella "L'amante di Gramigna", Verga insiste sull'idea di un'arte che ha come base il "fatto nudo e schietto".(37) E' nota la predilezione di don Lorenzo per i fatti, della vita vera: è una caratteristica di tutti i suoi scritti. Si va dai "fatterelli'' e dagli episodi usati per dare colore e forza alle argomentazioni di E.P., fino alla Lettura quotidiana del giornale, proposta anche come attività scolastica. Ma l’spirazione "verghiana " si trova in passaggi centrali di opere importanti. Pensate alla "storia di Mauro" che forma l'ossatura della "Lettera a don Piero", ove già l'inizio usa il linguaggio di Verga: "Una qualsiasi storia nuda e cruda".(38) In questi confronti non bisogna esagerare. ma a me sembra che Mauro sia fratello di quel dolorosissimo personaggio che è "Rosso Malpelo". protagonista di una novella di Verga. Malpelo precipita nella dannazione che gli uomini e la società ingiusta gli hanno preparato: anche per Mauro c'è la concreta possibilità di perdersi e don Milanì vi sì oppone con tutte le forze. Ma se evocate il testo di Verga, è più facile capire anche la crudezza della diagnosi sociale e politica con cui don Milani chiude la sua lettera. Nella lettera a Pistelli (1959) don Milani insiste sulla necessità che i vescovi conoscano "i fatti (…)di cronaca e storia" (39) e porta parecchi esempi di fatti "nudi e crudi", per dire che i vescovi e i cardinali devono essere informati e non vigliaccamente ossequiati. Sentite Verga: "Il semplice fatto umano farà pensare sempre, avrà sempre l’efficacia dell'essere stato, d elle lacrime vere, delle febbri e delle sensazioni che sono passate per la carne".(40) E ora ascoltiamo una delle singolari invettive di don Lorenzo. nella lettera a L.Ichino : "E come sarei contento di sapere che i padri P. hanno ganza e figlioli per cui trepidano (…)e come vorrei scoprire anche in loro un moto d’umanità ferita che me li farebbe amare personalmente, mentre ora non li amo certo" (41)

Credo che un altro punto di contatto con Verga compaia anche nella insistenza con cui la "Lettera a una professoressa" viene presentata come un opera d'arte collettiva (anche se questa parola non viene mai usata). Scelgo due frasi: "Non accettate regole oggettive dell'arte, siete fissati nell’individualismo ottocentesco "la teoria del genio è un'invenzione borghese"(42) Dice Verga che nell’opera d'arte del futuro "la mano dell'artista rimarrà assolutamente invisibile".(43). Poiché don Milani riconosce che è sua la "regia" della "Letttera" (anche se "da povero vecchio moribondo") (44) ) - e del resto poco prima ha portato l'esempio del cinema - mi sembra che egli si sia divertito- in questa occasione finale - a realizzare una profezia letteraria, facendo diventare invisibile la sua "mano d ‘artista".

13 - Passiamo al secondo punto della nostra ricerca. Io voglio sapere se c'è una regola, un metodo, un criterio di base che don Milani segue (dopo averlo magari cercato, inseguito, sperimentato e approfondito tante volte) nelle relazioni con le persone, come nella spiegazione dei vangeli domenicali, come nella lettura di un grande autore, come nell'avvicinarsi a idee nuove. Procediamo per indizi.

Bisogna proprio mettersi a "spiare", perché don Lorenzo non ha quasi mai messo le "didascalie" sotto i suoi quadri e ha raramente dichiarato la composizione delle "medicine" che usava.

Prendiamo un testo "indiziario" fondamentale. Si trova nella lettera ad Alberto Parigi del 1953: "Come avrai osservato io non misuro molto le parole, né calcolo mai cosa convenga dire e cosa tacere. E questo fa parte di un preciso programma, cioè quello di ottenere la fiducia dei ragazzi e del popolo e educare gli uni e gli altri a fare altrettanto"(45) "Non misurare", "non calcolare": non è del tutto chiaro che cosa voglia dire. Più chiaro sembra lo scopo: "ottenere la fiducia".Il metodo dunque, pare di capire, non è una scelta di don Lorenzo: egli deve piuttosto adottarlo per a condizione in cui si trovano i giovani (e il popolo). Ancora più interessante è il seguito: "lo penso che la cosa vada bene quando si parla a gente che si rivedrà spesso e con la quale sì avrà tempo e modo di dissipare malintesi, finir di chiarire, completare e colmare lacune, ritirare errori, chiedere perdono o ribadire sotto altra forma o in al tra occasione".(46) - La strada scelta è chiara, ma il metodo è piuttosto complicato. La mia impressione è che don Lorenzo ci nasconda qualcosa o forse non sa neppure lui che cosa, o forse lo sa ma non vuol dargli un nome.

14 - Passiamo a un altro testo. Da una lettera a Meucci deI 1955 separo una frase che ci pone molti problemi: "lo (…) uso ogni parola come se fosse usata per la prima volta nella storia" (47) E' una affermazione che ci suggerisce il senso di meraviglia e di scoperta che don Lorenzo viveva assieme ai giovani e ai ragazzi nel contatto con una parola, una idea. una intuizione indovinata di un grande autore (o di un grande testo).Ma è possibile pronunciare una parola che è sempre carica di storia come se fosse pronunciata "per la prima volta nella storia"? Non è possibile e don Lorenzo lo sa. Tanto è vero che in un testo destinato al pubblico (il secondo articolo inviato al "Giornale del Mattino" 1956), egli scrive: "Ho lasciato ormai quasi tutte le altre materie. Non faccio più che lingua e lingue. Mi richiamo dieci, venti volte per sera alle etimologie. Mi fermo sulle parole. gliele seziono, gliele faccio vivere come persone che hanno una nascita, uno svilup po, un trasformarsi, un deformarsi ".(48) Dunque don Lorenzo, anche su questo punto, non è un ingenuo. Leggiamo però il brano completo della lettera a Meucci: "Io invece passo gran parte della giornata a far chiacchierare degli analfabeti per far del bene a loro e per arricchirmi io d'un mucchio di cose che da loro posso imparare. E così avviene che quando scrivo io avete l'impressione che scriva un analfabeta perché non si vede mai traccia delle molte letture come appare invece nei vostri scritti. Voi vi valete di vocaboli e citazioni e nomi propri che nelle persone colte che vi leggono richiamano milioni di conoscenze gia acquisite. lo invece uso ogni parola come se fosse usata per la prima volta nella storia come usano fare gli analfabeti e quelli che a loro si vogliono efficacemente rivolgere "(49) Notate le ultime parole "e quelli che a loro si vogliono efficacemente rivolgere".La parola che mancava nella lettera a Parigi è arrivata: analfabetismo o povertà cultu rale, che avrà un posto di rilievo nel libro di due anni dopo, "Esperienze pastorali", nel cap.III, già ricordato. intitolato l’'istruzione civile. Dunque abbiamo qui, nella povertà culturale degli ascoltatori, la giustificazione di questo nuovo metodo di proporre la verità. Come? A frammenti che sembrano il tutto, sotto aspetti parziali che sembrano completi e quindi totalmente da accettare o totalmente da rifiutare. Ma poi ci sono le riprese, i chiarimenti, visti però - ogni volta - come se fossero aspetti unici o esclusivi, finché lo stesso destinatario del messaggio non trova la sua visione d'assieme.

Con che effetto sugli istruiti? Sentite, sempre a Meucci: "E così vi faccio ridere di pietà e vi passate l’un l'altro i miei scritti come vi passereste un oggetto bello intagliato nel legno da un selvaggio. Ma sicuri in cuor vostro che io ho torto a chiudermi e che voi siete a posto nell'aprirvi al mondo della cultura moderna" (50).

15 - Ma c'è di più. Non solo gli analfabeti hanno bisogno di vedere un aspetto alla volta della realtà. Don Milani scopre (o lo dice dopo averlo sempre saputo, o lo esprime con chiarezza dopo averlo a lungo sospettato) che alla verità si arriva sempre e solo attraverso passi parziali e che la parzialità, l’incompletezza, l’imprecisione, la partigianeria, la faziosità sono come meccanismi di cui il pensiero non può fare a meno, se appena è collegato al cuore. Riprendiamo la lettera a Luciano Ichino (1959): Ho spiegato a Elena che nel capitolo sul Baffi tutto quello che racconto è verità parziale come quella del lavandino".(51) E dopo la sfuriata contro don Abbondio: " Tutte verità parziali, tutte cose che contengono una parte di vero e una parte di falso, una parte di bene e una di male. Ma vivete voi senza questi mezzi, se vi riesce, ma mandate avanti il mondo e la scuola con castighi armoniosi, con rimproveri temp erati secondo i dettami della moderna pedagogia, passeggiate per strade con le vostre velleità di amore universale ( attenti ai mariti e mogli dei passanti che incontrerete!), spartite salomonicamente ora per ora il giusto dall’ingiusto, senza lasciar parlare le passioni e il cuore, senza m ai schierarvi, senza mai guerra".(52).

Sembra proprio che con queste affermazioni don Milani voglia dire: c’è una legge universale che ci fa progredire per contrasti , contrapposizioni, si-no, accettazione. Rifiuto, tutto buono, tutto cattivo. Possiamo riconoscerlo che il nostro modo di vedere è incompleto, ma non possiamo liberarci facilmente da questa condizione. E ancora: più siamo premuti dal bisogno, dalla necessità, dalla sofferenza, meno il nostro punto di vista può essere ampio e comprensivo. E nessuno, in questo caso, può pretendere che lo sia. Ogni aspetto particolare che osserviamo, specialmente quando siamo in difficoltà, ci porta a un giudizio globale. Se quell’aspetto e favorevole, tutto il nostro giudizio è favorevole. Diversamente, tutto il nostro giudizio è negativo. E’ vero che, se gli aspetti sottoposti a giudizio sono molti, la nostra visione sarà più completa e il nostro giudizio più attendibile. Ed è a questo che biso gna arrivare. Ma le visioni cosiddette complete, avverte don Milani, sono spesso visioni di potere, che schiacciano la persona e non ne rispettano la dignità. "Oggi, per es., la pena di morte che san Tommaso giustificava non trova più diritto di cittadinanza né nel nostro cuore né nel nostro cervello. (….) Licenziamento è uno di questi concetti che appartenevano al mondo feudale"(53). "Se ho dinanzi il mio figliolo incendiario licenziato sono con lui e compio esattamente lo stesso atto che compie Elena quando si schiera con i figli" (54).

16 - Quale dunque il rimedio, per non andare troppo fuori strada? Bisogna prendersi a cuore ogni singolo punto di vista, per vedere se è solido oppure no. Soprattutto bisogna esaminare questo punto di vista con tutte le ragioni, comprese quelle della carne e del sangue. Chi sfarfalla da un punto di vista ad un altro, non è legato a nessuno e non sarà mai utile a nessuno, pensa don Milani . Allora, se una idea vi sta a cuore, sostenetela fino in fondo e lasciatela solo quando vi hanno dimostrato che avete torto.

E.P. era un testo "crudo" nella sua spietata diagnosi: lo dice lo stesso don Milani ( ricordate la lettera ad A.C.J) (55).

Era un punto di vista particolare, che chiedeva di essere discusso. Al bambino appena nato non si rimprovera di vedere tutto sotto l’aspetto dello stomaco vuoto o pieno. Non gli si rimprovera di metterci il suo tempo a integrare in un’unica figura la "madre buona" che lo nutre dalla "madre cattiva"che gli fa aspettare la pappa. Né gli si rimprovera di balbettare a lungo una lingua che solo

17 - Quanto abbiamo detto ci aiuta a capire come è nata l’accusa a don Milani di "demagogia". Ne parla lui stesso, da Barbina: " confinato come demagogo ereticheggiante" (56). E’ demagogo chi dice all’ascoltatore sempre e solo le parole o gli argomenti che l’ascoltatore vuole sentire. Ma don Milani una volta scalda l’uditorio, un’altra volta lo gela, un’altra volta ancora lo riconquista da un punto di vista diverso. (Forse è lo stesso metodo che ha usato Gesù nel suo insegnamento: è questo l’unico accenno che mi permetto ai " modelli drammatizzati"). In ogni caso con questi "mezzi"(come li chiama don Lorenzo), l’interesse è costante e l’apprendimento è più efficace e duraturo.

18 - L’importanza degli argomenti che sono stati affrontati in questo studio, specialmente nella seconda parte, può essere valutata meglio dopo aver esaminato l’atteggiamento di alcuni critici e oppositori di don Lorenzo che non sembrano toccati dall’efficacia della sua comunicazione. Ho scelto tra i più "prossimi" l’Arcivescovo Florit e il padre domenicano Tito Centi. Di Florit, oltre al comunicato che seguì la lettera di don Lorenzo ai cappellani militari. (57), è stata pubblicata la lettera inviata al Priore in data 25 gennaio 1966. Il passaggio che causò maggiore sofferenza a don Lorenzo è il seguente: "I tuoi superiori hanno creduto di non riconoscere in te la necessaria carità pastorale, ma piuttosto lo zelo fustigatore che ti fa apparire dominatore delle coscienze prima ancora che padre"; (58) questo spiegherebbe perché don Lorenzo è "rimasto per anni parroco di Barbiana " (59) Di qui la reazione del " blocco continentale " con la esclusione da Barbiana di tutti gli intellettuali cattolici fiorentini, colpevoli di non aver informato correttamente il vescovo. In realtà il messaggio di Florit è molto più "politico" che personale e la reazione di don Milani fin troppo benevola. Don Milani infatti non ha mai chiesto di lasciare Barbiana. Perfino la sua insolita (ma modesta) richiesta di due anni prima, di poter tenere lezioni di pastorale in Seminario (60) non fu fatta per ottenere un tardivo riconoscimento che non aggiungeva nulla alla sua statura, ma per ridurre il disonore che sarebbe gravato a lungo ( e forse grava ancora al presente) sulla Curia Fiorentina. Con quella "spiegazione" Florit rispondeva invece al Vaticano, dove, nei confronti di don Milani, c’era stato un primo addolcimento al tempo di Papa Giovanni, come risulta dal carteggio Capovilla. (61) e dove , in quel momento, Paolo VI manifestava in modo inequivoco la sua ammirazione per il Priore di Barbina, come risulta dalle ultime righe della le ttera di Florit.


la madre capisce e incoraggia. Don Milani, nella Chiesa e nella società ha imitato tante volte quella madre, senza paura di apparire ridicolo o di affrontare i suoi "grandi rischi.

La domanda a cui Florit intendeva rispondere era dunque: " Perché lasciate confinato a Barbiana un prete del valore culturale e umano di don Dilani ?. La risposta vera era all’incirca questa:

"La pastorale di don Milani a S.Donato ha scontentato i benestanti e lo schieramento politico di parte governativa. Con "Esperienze Pastorali" ha incoraggiato l’irrequietezza di un clero giovane e immaturo e il desiderio di autonomia culturale e politica del laicato cattolico più cosciente". Se Florit l’avesse scritta confessava nella prima parte un atteggiamento antievangelico, ma per la seconda parte Florit poteva accampare qualche giustificazione.

Non era ancora di pubblico dominio, ad esempio, la lettera di don Lorenzo a don Antonio A. della Spezia(20/5/59): " Mi fa piacere che il mio libro ti abbia insegnato qualcosa. L’ ho proprio scritto per questo scopo, per turbare le anime e specialmente quelle dei giovani preti e dei seminaristi. (..).

Ma ne avevo anche un altro ed era quello di comunicare loro quell’equilibrio che (modestia a parte) comincio ormai ad aver raggiunto interiormente" (62). Se queste parole, con tutto il resto che segue, fossero comparse nel quadro di una libera e pubblica discussione, la lettura di E.P. si sarebbe rivelata una occasione unica di crescita. A ulteriore giustificazione, Florit poteva dire che egli era stato un esecutore della volontà dell’episcopato italiano. Non c’è motivo di dubitare della testimonianza di Padre Giuseppe De Rosa, secondo il quale la stroncatura di E.P. fatta da "Civiltà Cattolica" intendeva "parare in un certo senso la condanna ufficiale che si stava già preparando e di cui circolavano indiscrezioni. Era, quella, la posizione dell’episcopato" (63). Oggi possiamo aggiungere che, se in quell’epoca e fino a metà degli anni ’70, non fosse stata così alta la percentuale di vescovi pusillanimi, avrebbe visto la luce anche quel trattato di " igiene mentale" che è la lettera a Pistelli del 1959, degna di stare accanto al decreto "Christus Dominus " che il Concilio Vaticano II ha dedicato ai vescovi. La lettera è comparsa solo nel 1968, su "L’espresso", ma nel 1983 le sue principali richiesta(libertà di parola e diritto di critica) sono state accolte nel Codice di Diritto Canonico. (64). Il ricorso alla formula della mancanza di "carità pastorale" era, in ogni caso,una copertura fragile. Era facile infatti dimostrare che si trattava di una accusa falsa. L’affetto di due popoli ( quello di S.Donato e quello di Barbiana), la venerazione degli allievi, l’ammirazione di migliaia di persone sparse in tutta Italia, dicevano che c’era in don Lorenzo una capacità d’attrazione fuori del comune, a tal punto che lui stesso doveva sforzarsi di tenerla a bada. Nell’occasione del dibattito sull’obiezione di coscienza poi, si vide come un a vasta parte dell’opinione pubblica – compresi preti e anche vescovi senza escludere il pa pa – simpatizzava per lui ( a parte quelli che bevevano alla stampa fascista).

Ma supponiamo per un attimo che don Lorenzo non fosse adatto a un contatto diretto con una grossa comunità cristiana. Da che cosa era motivata quella supplementare riduzione al silenzio tentata da Florit con l’intervento dell’8/3/65, nel quale veniva minacciata a don Dilani la "sospensione a divinis" per la pubblicazione di "ogni eventuale" scritto non sottoposto al vescovo? (65). Qui, nella discussione di un argomento più civile che religioso, non c’entra nulla la "carità pastorale".Questa deriva persecutoria, nella lettera di Florit è mascherata pure da addebiti e ombre che meriterebbero di essere puntualmente invalidati, nel quadro di una vera riabilitazione del Priore di Barbiana. Ma la cruda analisi fin qui con dotta è sufficiente per mostrare la totale incapacità di Florit di mettersi in sintonia con lo stile comunicativo di don Lorenzo.

Per Florit, don Milani è " per natura un assolutista", (66) uno che è portato dalla sua natura " agli scontri verbali, agli estremi, alle espressioni-limite", (67) uno al quale bisogna ricordare che "l’aceto converte pochi" (68). Il "fenomeno don Milani" avrebbe dunque all’origine – secondo Florit – una tara, uno scompenso, uno squilibrio temperamentale. Possibile che Florit non avesse letto il memoriale inviato da don Milani al cardinale Dalla Costa già nel 1953, nel quale don Milani motiva punto per punto le sue scelte? (69). Florit parla (per disapprovarlo) di un "modus" (70) ma non riconosce che si tratta di un "metodo". Arriva a parlare di "posizioni che hanno del vero sul piano del principi, ma si prestano ad essere fraintese per il modo usato nel difenderle" (71).

Quando sembra intuire qualcosa del metodo che più sopra abbiamo descritto come "parzialità programmata", aggiunge ogni volta un riferimento al classismo, il grande spauracchio che allora chiudeva le discussioni: "spirito classista e parziale" (72) " quella certa atmosfera di lotta classista che è presente nei tuoi interventi: di fronte alla tua prosa dura e talora sarcastica immediatamente chi legge si schiera dall’una o dall’altra parte" (73). Eppure che si trattava di un metodo – e di metodo efficace – don Lorenzo l’aveva scritto in E.P. in tono provocatorio e orgoglioso: " Io al mio popolagli ho tolto la pace. Non ho seminato che contrasti, discussioni, contrapposti schieramenti di pensiero. Ho sempre affrontato le anime e le situazioni con la durezza che si addice al maestro, non ho avuto né educazione, né riguardo, né tatto. Mi sono attirato un mucchio d’odio, ma non si può negare che tutto questo ha elevato il livello degli argomenti di conversazione e di passione del mio popolo".(74) E se tutto questo non faceva parte di un metodo e se questo metodo (o qualunque cosa fosse) non era profondamente rispettoso delle persone, come si spiega che don Milani ha talmente colpito e in tanti casi convinto operai e contadini, analfabeti e istruiti, poveri e ricchi? Proprio questa "efficacia"facilmente constatabile, non era indice di un "carisma profetico" col quale misurarsi senza soffocarlo? Tanto più che Florit riconosceva a don Milani "un sincero amore della verità, di Dio, dei poveri", (75) e, poteva aggiungere, anche una grande passione per la Chiesa (almeno fino al 1959). Lascio queste domande senza risposta.

Più sconcertante ancora appare la sordità di padre Tito Centi, che per trent’anni ripete in modo pressoché identico le sue obiezioni a E.P. Riporto la versione del 1988: " 1) – Il motivo classista(…) l’odio che emana dalla lotta di classe (…) è il contrario della carità cristiana"; " l’invidia (…) è un sentimento anticristiano"; "2) – Il pallino dell’equidistanza. Secondo lui il clero dovrebbe considerare la DC (partito in cui i cattolici compromettono se stessi, compresa la Chiesa) come una organizzazione che in tutto e per tutto si adegua ai metodi morali dei suoi avversari ossia dei comunisti"; "3) – Le responsabilità della Chiesa nella politica e nella vita sociale". (76) " Confermo la mia accusa di incoerenza nonostante la conclamata sua coerenza a cominciare dal suo modo di trattare certi penitenti in confessione "(77). E’ come se p.Centi si fosse fissato sui singoli elementi del linguaggio dilaniano, senza vedere il quadro di assieme, in un singolare rovesciamento di ruoli: chi procedeva per visioni parziali ( don Milani) ha costruito un quadro ampio e preveggente; chi presumeva di avere una visione generale e completa, come p. Centi, si fissa sui particolari che non fanno capire il significato

dell’insieme. Ricordiamo che nel frattempo erano uscite le "Lettere" (1970), le "Lettere alla mamma" (1973), la biografia di Neera Fallaci " Dalla parte dell’ultimo (1974), tanto per ricordare gli eventi editoriali maggiori.

Di nessun aiuto è stato, per p.Centi, la lettera a Pipetta (1950) in cui don Lorenzo scrive: "Quando tu non avrai più fame né sete, ricordatene Pipetta, quel giorno ti tradirò, (78) dove la scelta dei poveri, senza rinunciare ad essere impegno politico concreto, rivela chiara la sua matrice evangelica. Di nessun aiuto la frase didatticamente limpida della lettera ai ragazzi di Piadina (1963): " Qui si rammentano spesso e ci si schiera sempre dalla parte dei più deboli: africani, asiatici, meridionali italiani, operai, contadini, montanari".(79)

Nessuna comprensione, in p. Centi, di quello sforzo che don Milani ha fatto per collocare la Chiesa a un livello che non la facesse odiare dal popolo, da cui il programma di "scindere(…) con esattezza a costo d’esser crudeli le responsabilità (fittizie o reali che siano) del governo dai purissimi principi del Vangelo e delle Encicliche Sociali", come si legge, prima ancora che in E.P., nel memoriale inviato al Card. Dalla Costa il 25 aprile 1953.(80)

Di qui l’insistenza di don Lorenzo su una celebrazione liberatoria del sacramento della penitenza, che non togliesse al credente l’autonomia delle decisioni politiche e culturali. Come non accorgersi che le indicazioni che le indicazioni di don Milani erano le più valide per sottrarre il clero a un destino di insignificanza collegato a una lunga stagione di galoppinaggio elettorale, di impropria concorrenza all’Ufficio di collocamento, di opere legate alle elemosine del sottogoverno? Una libera circolazione degli stimoli provenienti da don Lorenzo, non avrebbe più efficacemente contrastato quella decadenza della presenza cristiana nella società che ora si manifesta come un crollo e di cui don Lorenzo affrontò i primi vistosi sintomi? L’incapacità di capire è un mistero e non pretendo io di scioglierlo. Resto però dell’idea che troppo facilmente che troppo facilmente – noi scribi istruiti nel regno dei cieli – ai figli che chiedono da mangiare , diamo sassi al posto del pane, scorpioni al posto di un uovo, serpi invece di pesci.

E’ per questo, credo, che un giorno qualcuno ha fatto un’affermazione che sa di gioia maligna: "Ti ringrazio, Padre, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli".(81)

Era uno che, evidentemente, non temeva le accuse di classismo.

Sandro Lagomarsini

 

 

___________________

1 –Lc. 24, 19.

2- I Cor 2, 4.

3- "Linguaggio teologico e profezia in don Milani"- Atti del Convegno del 21 Giugno 1977, p.78


4 – "Lettere" - Mondadori, I 970 , p.251

5 - Platone (427 - 347 a..C ) - autore di molti dialoghi filosofici tra cu il "Critone"e "Apologia di Socrate".

6- "Lettere", op.cit.p 295

7 - Id. p.20.

8 –Id. pag. 34

9 – "Lettera a una professoressa" – LEF, 1967, p. 86.

10- Id p. 89.

11 – "A trent’anni da Esperienze Pastorali ". Atti de! Convegno 16-I 7 dicembre I 988, Franco Angeli. 1990. p.33.

12- "Lettere". op. cit. p.204.

13 –"Lettera a una professoressa".op. cit.. p.130.

14 - "Lettere" op.cit.,323

15 - Id.p.66

16- Id p.85

17- Id.p.83.

18- Id.p 84.

19- Id.p.68 Conferma ulteriore è un brano che si trova nella lettera precedentemente inviata a Meucci.:"Penso che senza il vostro solletico lo avrei già bruciato da tempo. Vi stimo però più legati da una comunione che razionale religiosa pastorale. Questo è il motivo per cui non mi fido per nulla del vostro e cerco disperatamente quello di una persona fredda severa insensibile al fascino diabolico dell'arte (Cfr. Neera Fallaci,"'Dalla parte dell'ultimo". Milano Libri. 1974. p.556. istruiti a scrivere "un'opera d'arte" come "Lettera a una professoressa",cioè un'opera che trasforma il risentimento ("l'odio") in "una mano tesa al nemico perché cambi"-(28) e riesce a diffondere una visione critica della realtà scolastica italiana in termini che commuovono e convincono. Nel presentare il libro a Pecorini don Milani dice che per scrivere "ci sono regole oggettive che valgono per tutti e per sempre e l’opera è tanto più arte quanto più le segue e s'avvicina al vero".(29)

20- "Lettere" op.cit.p.277

21- Ludwig van Beethoven (1770- 1827), musicista, autore anche di nove sinfonie.

22- "Lettere"op.cit. p.28.

23- Thornton Wilder (1897- 1975) – commediografo e romanziere statunitense.

24- Luigi Pirandello (1867- 1936)-commediografo e romanziere italiano

25- "Lettere" op. cit.p.104

26- Al essandro Manzoni (1785-1873 ) noto soprattutto come autore dei "Promessi Sposi"

27- Tommaso d’Aquino (1225 –1274 ) frate domenicano, filosofo.


28- "Lettera a una Professoressa" op.cit. p 132.

29- "Lettere" op.cit.pag.323

30- Mario Rigoni Stern (1921,vivente) scrittore divenuto famoso per "Il sergente nella neve"

31- "Lettere" op. cit, p. 66.

32- Daniel Defoe (1660-I73I)-scrittore inglese

33- "Lettere".op. cit. p. 131.

34 - Id. p.113. Oltre a Manzoni solo Simone Weil (1909-1943) è ripetutamente ricordata da don Milani. Troviamo almeno tre testi in cui si parla di lei. Uno solo è pienamente elogiativo(v.nota successiva. Gli altri due ("Lettere alla mamma" p. 91-92 e "Testimonianze n.100" dicembre 1967. p. 851 [lettera a Meucci riprodotta integralmente in "Dalla parte dell’ultimo",op.cit. p. 594-595] ), contengono considerazioni critiche. La lettera a Meucci, in particolare, merita una attenzione a sé, che non rientra nello scopo di questo studio.

35 - Don Lorenzo non cita "grandi autori". Con qualche eccezione. Nella lettera a don Ezio Palombo del 29/4/1955 don Lorenzo cita la risposta esemplare di Simone Weil, a chi la destituiva dall’ insegnamento: "Signor Ispettore, ho sempre considerato la revoca come il coronamento normale della mia carriera ("Lettere op. cit. p.37. Quasi a correzione don Lorenzo"cita"poco dopo il parrocchiano Giovanni di Boccino, anche se per trasformare il suo commento alla destituzione di don Facibeni, "Satana ha vinto", in "Dio ha scelto i suoi eletti" (Id.p.38). Pier Paolo Pisolini farà un’operazione simile in "Uccellacci e uccellini" (1966), intitolando a sconosciuti operai e artigiani le strade di una città fantastica attraversata da protagonisti del film.

36 - Giovanni Verga ( l1840- 1922) autore noto per "I Malavoglia" e per alcune raccolte di novelle.

37 –"Novelle" Mondatori, 1942,p.22

38 – "Esperienze Pastorali", LEF, 1958,p.444

39 – "Lettere"op.cit.p131

40 - "Novelle" op.citp.23

41 - "Lettere" op. cit.p.112

42 – " Lettera a una Professoressa"

43 – "Novelle" op. cit. p.24

44 - "Lettere" op. cit. p.323

45-Id.p.18

46-Id.p.19

47- Id.p.33

48-Id. p.58

49 –Id. p. 32-33

50-Id. p. 33 -

51- Id. p.112

52- Id. p. 52

53 -Id. p. 110

54- Id. p. 111

55- La conferma che il linguaggio di "Esperienze Pastorali" non era "duro per sbaglio", si trova nella lettera a Gaetano Carcano (1958) "Vorrei dirle ancora molte altre cose, ma ne ho scritte già tante nel mio libro e scritte con la brutalità che si meritano e che le assicuro non è troppa" ("Lettere"p.81)
 

56 – " Lettere" op. cit. p. 66.

57 - Id. pp. 222-223.

58 – Id. P. 283

59 - Ibidem

60 - "Lettere" op. cit. p.210.

61 - " I care ancora " – Editrice Missionaria Italiana 2001 – pp. 59 - 77

62 – Id. p. 115

63 - "A trent’anni da Esperienze Pastorali", op. cit. p. 58.

64 – Ho dimostrato in "Linguaggio teologico e profezia in don Dilani"( Atti del Convegno 1997, pp.82 – 83) che lo statuto di libertà motivato da amore alla Chiesa, di cui don Lorenzo dava un modello in quella lettera, è stato riconosciuto come diritto al can. 212 del Cod.di Diritto .Canonico.

65 – "Lettere", op. cit. p. 223

66 – Id. p. 282

67 – Id. p. 281

68 – Id. p. 282

69 – "Lettere alla Mamma". pp. 97-102

70 – "Lettere" p. 282.

71 - Ibidem.

72 – Ibid.

73 - Ibid.

74 - "Esperienze Pastorali" op. cit. p.46

75 – " Lettere" p. 282

76 - " A trent’anni da Esperienze Pastorali" op.. cit. p.87

77 - " Id. pag. 196

78 - "Lettere" p. 196

79 - Id. pag. 196 g

80 – "Lettere alla Mamma" op. cit. p. 100

81 - Mt. 11,25

 

 

ASSOCIAZIONE "GRUPPO DON LORENZO MILANI"

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Sede Via Giotto-50041 CALENZANO

TEL. 055/ 8826246 – 8877272 – 8879688 – fax 0558969532

Corrispondenza: Casella postale 45-50041 Calenzano

Internet : www: gruppodonmlani.it

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