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Evelyn non sa dov'è l'Europa
Da "La Repubblica" del 24/11/2002
di OMERO CIAI
Il sogno di Evelyn e José un' Argentina libera dalla fame
'Vorrei che scendesse il prezzo del dollaro, così la mamma mi comprerebbe scarpe e dentifricio: lo spazzolino me lo regali tu?' 'Io voglio fare il medico: con tutti questi malati, sarò ricco! Ma sono un bravo calciatore: non è che mi aiuti a fare un provino nell' Inter?'
Riochico (Argentina) - Evelyn e José hanno dieci anni e un sogno. Uno solo: «Che scenda il prezzo del dollaro, così mamma può comprare di nuovo tutte quelle belle cose che comprava prima». Quali Evelyn? «I miei orsetti. Il dentifricio, le scarpe». «Sai - fa sollevandone una - ho solo queste scarpe di tela e sono rotte. Vedi che sono rotte qua. Guarda. Il fine settimana vado scalza perchè devo lavarle e aspettare che si asciughino. Senza scarpe non posso venire fino alla scuola. Per l' autobus serve mezzo peso e mamma non me lo dà mai. Quando lo ha ci compra il latte di Tania, la mia sorellina piccola. Sai che non ha nemmeno il biberon Tania, mamma la allatta col cucchiaio. Invece io il mio biberon ce l'avevo eccome. Mi ricordo».
Quanti siete a casa Evelyn? «Sei, siamo sei fratelli».
Tuo padre lavora? «Lavorava. Fino all'anno scorso andava tutte le mattine allo zuccherificio».
Corre alla finestra e allunga il dito: «Quello, dai lo vedi, quel coso là», dice indicando un casermone grande e scuro.
E mamma? «Mamma è infermiera, lavora all' ospedale». Dove? «A Santa Ana, dov'è morto il fratello di Jorge, l'hai visto quello tutto magro della Quinta B?».
Josè è più ruvido. Non parla subito. La cuoca me lo presenta come la peste della scuola. Fa a botte con tutti. A dieci anni non pesa trenta chili. Ha gli occhioni neri, i capelli scuri e salta come un grillo. Quando scopre che sono italiano mi dice che la sua bisnonna era veneta, che si chiamava Di Benedetto. Suo padre lavora al Comune ed ha un piccolo orto dove coltiva limoni. Dovrebbe star bene Josè per la media nazionale, invece stasera a casa troverà al massimo mate cocido, la bevanda di erbe che dà un po' di forza e cura la fame. Ma un obiettivo preciso questo ragazzino ce l'ha già. Da grande «farò il medico», dice sicuro. Perché? «Non vedi - aggiunge con un lampo negli occhi - qui stanno tutti male, diventerò ricco». Poi riflette un po' e si ricorda di essere anche un buon "numero dieci" per la sua età. L' hanno provato quelli del Siviglia, i procuratori della squadra spagnola che vengono qui in cerca di gioielli del calcio a basso costo. Ma a lui piace l'Inter. «Mica mi puoi aiutare a fare un provino con l'Inter. Stanno in Italia, no? Guarda dai, guarda come palleggio».
La bisnonna italiana di Josè non è un caso raro: in questa regione ricca di terra, incastrata vicino alle Ande sotto la Bolivia, fino a cinquant'anni fa arrivarono migliaia di immigrati italiani. Siamo a Riochico, ottanta chilometri da Tucuman, il capoluogo, mille da Buenos Aires, in mezzo a campi di canne da zucchero e limoneti, e le tracce di quell'emigrazione si sentono ancora. C'è un negozio "Di Tommaso" e la scuola è dedicata al professor Gianneo, un letterato d'origine italiana che la fondò e ora ci guarda severo in completo scuro da bel quadro ad olio appeso alla parete dietro la scrivania del direttore. Altro non c'è. Non c'è una carta geografica in tutta la scuola: sette classi, dalla prima elementare alla seconda media, centosettanta alunni. Non c'è neppure un libro di testo che sia uno. Non ci sono penne, non ci sono quaderni, non ci sono i gessetti per la lavagna. Evelyn non sa dov'è l' Europa. Non ha mai visto una mappa. Non sa neppure dov'è il mare. Però, afferma fiera, la sua amichetta Beatriz sta peggio: «non sa nemmeno in che giorno dell' anno è nata». Per ogni alunno, ci spiega il direttore, Angel Ramon Carrizo, la regione versa un contributo di 70 centesimi di pesos al giorno (meno di venti centesimi di euro) con i quali si comprano solo le vivande per il refettorio. Il pasto, quello di mezzogiorno, una minestra di pasta con patate, fagioli e un po' di salsiccia, è per molti bambini l'unica ragione per arrivare fin qui. I maestri non si fanno illusioni: la festa è a mezzogiorno. Da queste parti, a dodici anni, un bambino «è buono per pelare la canna da zucchero», ossia va a lavorare; mentre una bimba a tredici, «se è fortunata si sposa». E infatti a Riochico la scuola arriva fino alla seconda media, poi chi vuol continuare deve andare a Santa Ana, due pesos e venti minuti d'autobus. «Io voglio continuare - dice Evelyn- ma dove li trovo i due pesos per l'autobus? Eh, me lo dici tu dove li trovo?». All'ora della minestra la scuola è circondata. Sulle grate si spintonano altri ragazzini più grandi e alcune donne. Vengono a mangiare quel che resta, quel piatto che la cuoca ricava dal fondo del pentolone d' alluminio e spinge oltre la finestra. «E' sempre così, ogni giorno - dice questo donnone vestito di bianco che da vent'anni prepara il pranzo degli alunni - ma siamo in un'epoca buona, a maggio e a giugno la regione non ci ha mandato i soldi e non avevo niente da cucinare, ero disperata, i ragazzini piangevano. Per questo poi qualcuno è morto».
Undici. Da ieri sono undici i bambini morti per denutrizione nella provincia di Tucuman. L'ultimo si chiamava Jorge David Castellano e aveva undici mesi. L'ho visto giovedì sera nel pronto soccorso dell' ospedale pediatrico di Tucuman. E' arrivato singhiozzante tra le braccia di una ragazza dai lineamenti dolcissimi che non avrà avuto vent'anni. Aveva lo sguardo perduto la sua bellissima mamma fra i lettini sudici dell' ospedale, i suoi occhi imploravano ma lei non pronunciava una parola. Teresa, uno dei tre medici di guardia, s'è resa conto subito che il caso era grave. Ha preso quel fagottino biondo con gli occhi azzurri e lo ha sdraiato in fondo al lettino. Piangeva piano, Jorge, mentre lei gli sollevava la maglietta e alzava gli occhi verso la mamma. «Cos'ha?», ho chiesto. «E' denutrito ma respira anche male, ha qualcosa ai polmoni». Poi ha preso per mano quella mamma-bambina e l'ha accompagnata fuori.
L'ospedale pediatrico di Tucuman è l'ultimo paradosso di questa drammatica crisi argentina. Funziona solo grazie ai praticanti, agli studenti di medicina che fanno turni di 24 ore per tenerlo aperto. L'abbandono è totale. Dalla regione riceve appena un quarto del latte di cui avrebbe bisogno, le medicine scarseggiano, non ci sono garze, manca perfino l'alcol. Ma la situazione è critica in tutta la regione e anche in quelle vicine. A Misiones, la provincia verso est, al confine col Brasile, i responsabili sanitari hanno ammesso oltre duecento cinquanta morti per denutrizione dall'inizio dell'anno. E la spiegazione c'è. Semplice. La ripetono tutti. La corruzione amministrativa. Le piccole tangenti di una catena che da Buenos Aires arriva fin qui. A ogni passaggio il presupposto diminuisce di un po'. L'intendente, ossia il responsabile degli approviggionamenti, lo hanno arrestato. Ma prima avevano arrestato il predecessore e prima ancora avevano arrestato un amministratore regionale, in una catena infinita che fa della classe politica argentina una delle più corrotte e avide del mondo. Si rubano qualsiasi cosa, dice la gente. Adesso i giudici hanno scoperto perfino il traffico delle nuove pensioni sociali, quei 150 pesos che, dall'inizio della crisi, il governo ha destinato a tutte le famiglie indigenti. Per averli bisogna passare in Comune e lì non è affatto raro - dicono - che l'impiegato ne sottragga una parte.
Tucuman è una parola Inca perché una volta l'impero di Machu Pichu arrivava fino a qui e vuol dire "terra fertile". Fertile perché c'è l'acqua. Anche troppa. Ogni due anni a Riochico c'è un'inondazione. Così le case, tutte di mattoncini e ferro, ogni tanto le spostano. E come nessuna ammistrazione s'è preoccupata di effettuare i lavori per contenere la piena del fiume, nessuno si occupa delle fognature. L' assenza delle fogne è la spiegazione della parassitosi intestinale che uccide i bambini. Bevono l'acqua malsana che corre accanto ai pozzi neri.
Quando Evelyn e Josè erano più piccoli non era così. Prima dell'inondazione del '98 le case erano più belle, erano state costruite meglio. Le avevano fatte negli anni d'oro della canna da zucchero, nei Cinquanta e nei Sessanta, quando la ricchezza prodotta da quel succo mieloso abbelliva ogni cosa. Poi il declino. Fino ad oggi. Alla fine, dopo i saluti, Evelyn mi segue timida fino alla macchina. Osserva un po', prima di chiedere chiudendo gli occhi: «Senti, sono stufa di lavarmi i denti con le dita, me lo compri uno spazzolino?».
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Dove ti porta il cuore Volontariato: la cittadinanza attiva dai quartieri al mondo. |
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1° marzo del '44: Sciopero Generale! Contro la fame, la guerra, il terrore: gli scioperi del '44. Il grido di pace della resistenza nonviolenta, i legami con i partigiani. La memoria delle deportazioni e le radici del sindacalismo democratico. |
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Solare
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Evelyn non sa dov'è l'Europa Una giornata con due bambini di dieci anni nella zona più povera del paese strangolato dalla crisi Sono diventate undici nell'area intorno alla città di Tucuman le piccole vittime della denutrizione. |
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frisullo f |
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aaAntonio Gramsci «La storia non si ricostruisce con calcoli matematici e d’altronde nessuna forza innovatrice si realizza immediatamente, ma appunto è sempre razionalità e irrazionalità, arbitrio e necessità, è «vita», cioè, con tutte le debolezze e le forze della vita, con le sue contraddizioni e le sue antitesi».
Q. 10, § 41, XIV, parte II |
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