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Religione
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Islam contro Stati Uniti. Ma i musulmani sciiti fanno eccezione Gli sciiti sono la maggioranza in Iraq, e anche in Arabia Saudita sono numerosi, ma in entrambi i paesi sono perseguitati. E allora sperano nella guerra americana. L’enigma dell’Iran

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione post diploma
Tipologia: Materiale di studio
Abstract: Islam contro Stati Uniti. Ma i musulmani sciiti fanno eccezione
Gli sciiti sono la maggioranza in Iraq, e anche in Arabia Saudita sono numerosi, ma in entrambi i paesi sono perseguitati. E allora sperano nella guerra americana. L´enigma dell´Iran

di Sandro Magister                                    



ROMA - Un obiettivo degli Stati Uniti è ottenere il sostegno del maggior numero di governi musulmani al loro piano d´attacco all´Iraq. Ma un conto sono i governi, un altro le popolazioni.

Tra le popolazioni l´orientamento pro o contro gli Stati Uniti non rispecchia le decisioni dei rispettivi regimi, ma piuttosto le appartenenze religiose.

Libano a parte, i cristiani presenti nei paesi arabi sono tutti fortemente contro gli Stati Uniti. A cominciare dai cattolici irakeni, il cui patriarca Rafael Bidawid ha tessuto più volte in pubblico le lodi di Saddam Hussein.

E Turchia a parte, anche i musulmani sono per la stragrande maggioranza antiamericani.

Ma con una importante eccezione: costituita dai musulmani sciiti.

Nell´universo islamico, gli sciiti sono circa il 10 per cento. L´Iran è il solo paese in cui essi sfiorano la totalità e detengono il potere. Segue l´Iraq, dove gli sciiti sono la maggioranza della popolazione, tra il 60 e il 65 per cento, ma sono duramente perseguitati (nella foto la moschea di Najaf, loro luogo sacro). E poi viene l´Arabia Saudita, dove gli sciiti, anche lì repressi, sono circa tre milioni su un totale di diciannove: quasi due milioni concentrati nell´Est del paese attorno a Qatif, l´area più ricca di pozzi petroliferi, e un milione abbondante (del ramo ismailita musta´liano) nel Sud, con capoluogo Najran, ai confini con lo Yemen.

La storia recente degli sciiti, sia in Iraq che in Arabia Saudita, è una storia di incessante persecuzione, ad opera dei rispettivi regimi. Una persecuzione passata sotto silenzio sia in campo musulmano che in campo cristiano.

E il motivo di questo silenzio è in larga misura legato al successo della rivoluzione khomeinista in Iran. Il terrore che questa rivoluzione si estendesse ai paesi vicini facendo leva sulle popolazioni sciite ha fatto sì che queste fossero abbandonate a se stesse anche dall´Occidente. Una delle ragioni per cui nel 1991 gli Stati Uniti rinunciarono a eliminare Saddam Hussein è proprio questa. Ritiratesi le truppe americane, il dittatore di Baghdad ebbe mano libera per annegare nel sangue la rivolta dei suoi sudditi sciiti.

Della persecuzione in atto in Iraq e Arabia Saudita ai danni degli sciiti i rapporti più precisi e aggiornati sono quelli del dipartimento di Stato americano sulla libertà religiosa nel mondo. Ecco il link relativo all´Iraq:

> Iraq. International Religious Freedom Report, 2002

E quello relativo all´Arabia Saudita:

> Saudi Arabia. International Religious Freedom Report, 2002

Più difficile è accertare l´opinione degli sciiti di questi due paesi circa la guerra contro Saddam Hussein.

Dall´Iraq, comprensibilmente, non una sola voce è trapelata in proposito.

Si sa di più, invece, dell´Arabia Saudita. Il 3 febbraio "The Wall Street Journal" ha pubblicato un reportage di straordinario interesse da Qatif, il capoluogo dell´area a prevalente popolazione sciita. Con autore Yaroslav Trofimov, il reporter che per il quotidiano di New York copre anche la politica vaticana.

«Diversi sciiti sauditi - scrive Trofimov - puntano le loro speranze sugli Stati Uniti. Un´invasione americana dell´Iraq, credono, libererebbe la maggioranza sciita della popolazione irakena, che è stata esclusa dal potere da Saddam Hussein e dai precedenti regimi. Sebbene pochi sciiti sauditi si aspettano che in Iraq si insedii un governo sciita una volta deposto Saddam Hussein, essi credono che qualsiasi passo verso la democrazia in quel paese darebbe agli sciiti irakeni un potere senza precedenti, che essi potrebbero usare per far cessare la persecuzione dei loro fratelli sauditi».

Naturalmente questo desiderio di libertà non tranquillizza i capi politici e religiosi dell´Arabia Saudita, tutti di tendenza wahhabita, la più rigorista delle correnti islamiche. Un motivo in più di preoccupazione per loro è la prossimità geografica tra la regione sciita di Qatif e lo Stato del Qatar, anch´esso a dominio wahhabita, ma modernizzante. Il Qatar ha permesso agli immigrati cristiani di costruire una piccola chiesa, ha allacciato relazioni diplomatiche col Vaticano, ha allentato la separazione tra i sessi, ha offerto agli Stati Uniti un´importante base militare, ha fatto nascere la televisione satellitare al-Jazeera, contro la quale, per protesta, l´Arabia Saudita ha richiamato lo scorso ottobre il suo ambasciatore. E in più ospita il più ascoltato predicatore musulmano di tutto il Medio Oriente, lo sceicco Youssef al-Qaradawi, egiziano di nascita, già leader spirituale dei Fratelli Musulmani. Qaradawi è per molti aspetti un estremista - esalta i terroristi palestinesi suicidi - ma è anche un efficace contestatore degli eccessi puritani del wahhabismo. «L´Arabia Saudita ha la Mecca e Medina, noi abbiamo Qaradawi le cui figlie guidano e lavorano» - ha detto a Trofimov l´ex ministro della giustizia del Qatar, Najeeb al Naumini, in un precedente reportage da Doha pubblicato su "The Wall Street Journal" del 24 ottobre 2002.

Poi c´è l´Iran, più che mai un enigma. Perché esso è stato sì classificato tra gli Stati canaglia, ma è anche, in molti strati della sua popolazione, il paese più ricco di fermenti democratici e meno antiamericano dell´intero mondo islamico - sempre a parte la Turchia.

E il perché di questa anomalia dell´Iran è proprio nella sua cultura sciita. La shi´a è la tendenza islamica che, sola, ha mantenuta aperta l´interpretazione del Corano e quindi lo spazio dell´innovazione. E come l´ayatollah Khomeini ha potuto instaurare la sua rivoluzione, nessun dogma impedisce che possa nascere dalle stesse radici un modello politico liberale.

Evoluzione che invece è pregiudizialmente bloccata dall´islam ortodosso sunnita, quello del 90 per cento del mondo musulmano.

Una riprova di questo blocco - che è religioso, culturale, politico - è in una terza recente inchiesta di Trofimov, questa volta dal Cairo, apparsa su "The Wall Street Journal" del 17 settembre 2002.

L´inchiesta analizza le reazioni in Egitto alla protesta di George W. Bush contro la condanna a sette anni di prigione di un sociologo, Saad Eddim Ibrahim, colpevole d´aver denunciato l´oppressione dei cristiani copti e d´aver propugnato un controllo democratico delle elezioni, con fondi dell´Unione europea.

Ebbene, le reazioni sono state tutte - senza eccezioni - ostili non a questa patente violazione dei diritti umani, ma agli Stati Uniti. Persino la moglie del condannato ha criticato il passo di Bush. E così tutte le organizzazioni che in Egitto si battono per le libertà civili: "Gli americani dovrebbero essere gli ultimi a parlare, visto che nessuno viola i diritti umani più di loro».

Se questo è l´orientamento della popolazione di un paese alleato, il proposito americano di muover guerra a Saddam Hussein per propagare democrazia e libertà nei paesi arabi vicini appare davvero arduo.

A meno che gli sciiti non facciano il miracolo.

__________





http://www.chiesa.espressonline.it/dettaglio.jsp?id=6911


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