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Scintilla - 10-04-2006
Sono tornata a casa da Bologna e mi sono imbattuta
nell'edizione online di scintilla.
Mentre leggevo mi è sembrato di tornare indietro nel tempo, ho ripensato all'altroieri e invece ho scoperto
che in mezzo sono trascorsi quasi tre anni.
Ho ripreso in mano il pensiero delle superiori, del periodo passato all'Arnaldo e mi sono resa conto che non sono ancora per nulla "pacificata" al riguardo, che fremo tutte le volte che leggo di un'Iskra e delle ingiustizie cui viene sottoposta.
Per questo ho deciso di mandarti la "mia scintilla" per rendere un po' giustizia a quella che sono stata fino a poco fa e perchè in un angolo della mia testa rimane un'immagine: tu stai lì nel cortile della scuola e abbiamo sempre diciassette anni. I cinque anni passati all'Arnaldo sono stati i più tormentati della mia breve esistenza. Io ci sono arrivata dalle medie che ero la tipica ragazzina assennata e grande lettrice che andava bene a scuola perchè l'attenzione e un po' di impegno bastavano. Improvvisamente al ginnasio tutto questo non era sufficiente: l'idea dello studio veniva ad associarsi indissolubilmente con quella di sofferenza. Mi chiedevano di impegnarmi a fondo perchè ci stavamo confrontando con la cultura e la cultura esige sforzo e sudore. L'ho fatto. Con buoni risultati ed enorme fatica: ricordo i pomeriggi sui libri e le mattine successive i compiti in classe alla prima ora, le corse per arrivare a scuola perchè certamente le insegnanti non potevano aspettare chi veniva dal paese col treno costantemente in ritardo. Ma tutto sommato non andava male, avevo trovato dei tempi miei, le professoresse erano dotate di una certa umanità, talvolta in classe c'erano momenti di discussione. Il passaggio al liceo, il terzo anno, è stato traumatico: dopo due anni di classico ti sei abituata a studiare tanto. Non ti sei abituata però ad avere di fronte per ore un'insegnante per la quale non esisti se non nella misura in cui riesci a ripetere esattamente le parole che lei ha usato a lezione.
redazione scintilla - 27-01-2006
Tredici studenti del liceo classico "Arnaldo" di Brescia sono stati denunciati dalla vicepreside e da due genitori per aver occupato la scuola (insieme ad altri trecento) lo scorso ottobre, nel contesto della mobilitazione studentesca nazionale ...
redazione scintilla - 06-12-2005
Le prime agitazioni operaie agli albori del XIX secolo venivano represse nel sangue: per il discorso dominante gli impertinenti «distruttori di macchine» del Nottinghamshire costituivano una inaccettabile insubordinazione, una devianza da sopprimere ...
Redazione Scintilla - 26-11-2005
Chissà quante mattine, senza che nessuno lo sappia o se lo immagini, nel cortile o nel corridoio di una scuola qualunque una ragazza avrà pianto, un ragazzo avrà soffocato una rabbia sullo stomaco, per uno dei tanti soprusi che la scuola ama infliggere ai suoi studenti mascherandosi dietro la sua falsa coscienza di educatrice.
Anche chi vive all'interno, nelle aule o nei bagni dove spesso ci si rifugia per avere un minuto di respiro e di tregua dall'occhio invisibile della scuola che vede e classifica tutto, magari farà finta di niente, passerà oltre pensando a come salvarsi il culo e tornare a casa anche quel giorno senza troppe coltellate che poi alla fine dell'anno è difficile rimarginare. Così il pianto o la rabbia repressa per darsi un tono di normalità e robustezza di fronte a insegnanti e compagni, anche se non si notano restano, pesanti, sono uno di quei tanti «bocconi amari» che la scuola costringe ad ingoiare, e che costituiscono l'unica lezione che non si dimentica mai e che tutti imparano, la lezione che ti toglie giorno per giorno il sorriso e la speranza e ti insegna a portare a scuola e nella vita con gli altri il grigiore, la diffidenza e la bile.
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