La realtà studentesca che smonta il dominio
redazione scintilla - 06-12-2005
Le prime agitazioni operaie agli albori del XIX secolo venivano represse nel sangue: per il discorso dominante gli impertinenti «distruttori di macchine» del Nottinghamshire costituivano una inaccettabile insubordinazione, una devianza da sopprimere e annientare, non tanto in ragione dei danni provocati alle macchine industriali - che i luddisti volevano sfasciare nella speranza di togliersi di mezzo anche la miseria e l'oppressione dovuta all'industrializzazione coatta - quanto piuttosto perché costituivano il segno della presenza di una nascente alterità che sottraeva legittimità e tranquillità al capitalismo. La prima reazione fu infatti l'imposizione della pena di morte per i machine-breakers, la necessità di sancire il loro essere fuori-legge benchè il loro desiderio di spaccare non fosse meno legittimo dello sfruttamento della forza-lavoro messo in atto dagli imprenditori. Ci sono volute rivolte e massacri perché il parlamento inglese si decidesse a varare una legislazione sociale, a sancire il diritto di associazione operaia, fissare la giornata lavorativa. Oggi i diritti dei lavoratori sono la traccia di una lotta che ha visto rivoluzioni mondiali e due secoli di scontro per l'esistenza da parte della classe operaia.
Si inscrive in questa dinamica di lotta per l'esistenza anche la presenza di una «realtà studentesca» nella scuola. L'affermazione di un punto di vista studentesco sulla scuola e sulla società si trova tutto all'interno di una dialettica tra «discorso dominante» e «discorso deviante» che smonta il dominio, tra la legittimità dei comportamenti e dell'esercizio di potere dell'insegnante e dell'Istituzione e l'illegittimità delle rivendicazioni studentesche nella loro semplice «presenza». In realtà c'è ben poca legittimità nei soprusi a «norma di legge» di docenti e presidi così come vi è ben poca illegittimità nelle lotte e nei discorsi degli studenti, che non sono previsti da nessun regolamento e non rispondono ad alcuna logica di adempimento di un dovere e di un ruolo riconosciuto.
Sono ben lontani gli anni settanta del Novecento con la rivoluzione del '68 («L'anno degli studenti», Rossana Rossanda) «preda di parola e esplosione di soggettività», e il potere studentesco che non poteva e non può essere che un «impotere», un rifiuto della violenza falsamente incipriata della società e della scuola, con la loro selezione, la loro sanzione delle differenze, la loro imposizione della scelta forzata tra adeguamento o neutralizzazione. Il Sessantotto fu principalmente un «rifiuto del domani», un rigetto per un futuro che si srotolava già confezionato e prestabilito con le sue ingiustizie e le sue oppressioni senza una apparente possibilità di scelta alternativa, fu una riappropriazione del proprio destino e una volontà di condivisione del lungo momento di distruzione liberatoria del mondo dominante e delle sue sacre istituzioni. È questo che si prova quando una scuola viene occupata. E non è un caso che l'occupazione sia une delle pratiche dell'agire studentesco che nasce proprio dal '68.
Chi pensa che di queste lotte e di alcune conquiste sia rimasta una qualche traccia nella scuola si sbaglia: gli «studenti» sono una realtà sancita solo sulla carta dai tanto derisi e disattesi (insufficienti) Decreti Delegati del 1974, ma a parte questo riferimento normativo non c'è spazio nella scuola di oggi per una componente studentesca con una autonomia e una dignità politica, tanto che il minimo movimento, il minimo discorso che riveli l'esistenza di una realtà altra diversa rispetto a quella dell'Istituzione provoca un fastidio e un desiderio di affossamento simile a quello suscitato dai luddisti all'inizio dell'800.
È in questo contesto di riferimento che si può leggere la risposta del prof. Boselli all'articolo «Ritardi» di scintilla, in cui l'insegnante dichiara falso e stupido il racconto e fornisce la sua versione, quella supportata da regolamenti e registri: il discorso legale e legittimato, ordinario, autorevole, riconosciuto, al cui fascino lineare anche molti studenti possono fare l'errore di cedere: il «Discorso», che non accetta per sua stessa essenza l'esistenza di una sbavatura che vada ad incrinare la sua assolutezza, la sua giustezza, e che porta per reazione alla nostra «presa di parola» a chiedere con piglio dirigenziale efficientista la chiusura del nostro giornale studentesco, senza considerare forse che non tutti al mondo sono suoi «alunni» e che lui non può essere «vicepreside» per tutti.
La domanda che si pone e che come «giornale studentesco» poniamo al mondo della scuola e a fuoriregistro è che spazio si vuole destinare, in questo momento di crisi profonda della scuola e del suo significato e ruolo sociale, alla componente studentesca in quanto portatrice di un'alterità e di una dignità politica e di istanze, bisogni, analisi, elaborazioni di una scuola diversa e di una diversa modalità di rapporto nell'apprendimento e nella formazione del sapere.
E soprattutto se si intende lavorare per un concreto riconoscimento della presenza di questa realtà studentesca, che passi attraverso lo scontro e la chiarificazione degli elementi di diversità prima che degli aspetti comuni, in totale contrasto con il principio di «cooperazione» stabilito dalla legge 53/2003 come fattore aprioristico e valoriale che rischia di celare un misconoscimento o una "tolleranza" che non chiede nessuno. Questo processo di riconoscimento reciproco come soggetti politici, indispensabile per cambiare la scuola e per lottare contro gli ultimi progetti di riforma, implica da parte degli insegnanti una disponibilità a sottrarsi alla comoda e immobilizzante tentazione della «pedagogia del silenzio», comportamento che consiste nel rifuggire il confronto pubblico sui criteri e i metodi di insegnare e apprendere.
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 Giulietta Dreda    - 06-12-2005
Ma chi sono questi studenti? Sono effettivamente un "soggetto politico"? Negli anni a cui "scintilla" fa riferimento gli studenti si muovevano come un corpo, bloccavano le scuole, andavano davanti alle fabbriche, scardinavano il benpensare e l'anima cattolichina degli italiani, spiazzavano, avevano realmente in spregio l'autorità e il potere e li sfidavano, si preparavano alla rivoluzione con la musica, avevano un "mondo" da rivendicare e da sbattere in faccia ai potenti e agli adulti.
O forse, come mi sembra piaccia più a "scintilla", senza avere un mondo alternativo da piazzare al posto di questo, avevano comunque il coraggio e la volontà di distruggere quello che non andava, che è già un passo verso la rivoluzione.
Ma avete presente in che stato siamo adesso? Io sono sicura che la colpa e la responsabilità storica di questo sfacelo sia della mia generazione, ma non si può far finta che gli studenti siano in grado ora di riappropriarsi della scuola e del mondo, e io credo che non vogliano neanche e che non sappiano neanche che cosa voglia dire. Gli studenti stanno male, ma non riescono neanche a pensare che ci si possa incazzare veramente e ribaltare tutto.
Insomma, va bene, sarebbe proprio ora di aprire la scuola al "potere studentesco", io ne sarei ben felice, ma non pensate che fare questa richiesta sia già un segno che questo potere studentesco non esiste? Parlavate di occupazione, appunto: ma l'occupazione è un prendersi la scuola senza chiedere niente a nessuno. E' triste dirlo, ma sarebbe aprire la scuola al nulla, perchè gli studenti non hanno niente da dire, e sono nostri figli, specchio fedele del nostro marciume infinito, prodotto delle lotte che abbiamo rinnegato, della società e della scuola che abbiamo permesso di costruire.
Va bene, apriamo la scuola al potere studentesco, e chi avrebbe qualcosa da dire, a parte "scintilla"?

 Luigi Piotti    - 07-12-2005
Triste il tuo commento, Giulietta, soprattutto quando fai provocatoriamente nota la tua opinione secondo cui nessun altro studente al di fuori di scintilla avrebbe qualcosa da dire nell'eventuale caso gli fosse concessa la parola.
Credo che il problema vada affrontato su più piani:
1) Nessuno mette in dubbio che la "rivoluzione italiana" (E.DeLuca) abbia perso: nessun dato acquisito, per l'antiautoritarismo e il protagonismo sociale non esiste un vaccino che preso una volta... magari un richiamino dopo nove anni...
2) Io credo che gli studenti abbiano qualcosa da dire per il fatto che hanno qualcosa da ridere e hanno qualcosa da piangere, insomma hanno qualcosa da vivere. Accidenti, nel sessant'otto quando si stava in camera - chi un mangianastri, un giradischi ce l'aveva - si ascoltava Hendrix, Dylan, De Andrè, Gaber, Tenco; anche oggi abbiamo musica giovane di cantanti giovani - mannaggia loaro! -. E' difficile saper cantare o solo parlare quando si è allevati a latte liofilizzato e pokemon da Maria De Filippi.
3) sì, Scintilla ha qualcosa da dire anche se i suoi redattori più vecchi sono stati bambini nei terribili anni novanta di Drive-in e dei fratelli Vanzina, ma da quando ha iniziato a "dire" ha iniziato a trovare censura e repressione sul suo cammino. Scintilla è arrogante, indisponente, presuntuosa e sfacciata e ne va orgogliosa. Quando penso alla storia di Scintilla mi viene in mente "il richiamo della foresta" di London, Buck non era un morbidone uscito dalla fabbrica della Trudy, ma voglio vedere chi lo sarebbe con un bastone tra i denti! E' difficile parlare perchè nessuno ci ha mai insegnato a parlare, ma anche perchè il mondo d'oggi usa uno strano linguggio fatto di manganelle e televisione: si può dire il peggio o prendere le botte.
4) Concordo su un passaggio del tuo commento: gli studenti non devono chiedere il permesso.