Immigrazione e cittadinanza
Alessandra Micheli
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Immigrazione e cittadinanza

 


Si parla molto oggi della concessione del diritto di voto agli immigrati come mezzo per garantire l’esercizio della rappresentanza politica come garanzia di un avvenuta integrazione. Su queste motivazioni però è necessario fare alcune considerazioni: la politica e la partecipazione a essa connessa, non può risolversi soltanto nell’esercizio del diritto generico di voto, ma è un mezzo di socializzazione primaria volta all’acquisizione dello status di soggetto politico recante diritti e doveri.


 


Ciò è connesso con la cittadinanza in senso lato. La cittadinanza infatti, definisce lo statuto dell’individuo all’interno del gruppo e definisce l’appartenenza di ciascuno alla comunità che compone il gruppo. In quanto comunità il gruppo stabilisce regole diritti e doveri, limita orienta e istituzionalizza la manifestazione di istinti, interessi e passioni. In quanto l’individuo accetta queste limitazioni è ammesso a partecipare al bene comune e condivide eguaglianza nei confronti degli altri membri. La cittadinanza non si risolve in un apparato   di interessi e di garanzie, l’essere cittadino è partecipare attivamente a una vasta rete di relazioni sociali, morali e ideali che sfociano nella partecipazione diretta alla vita politica dello stato. Esprime il legame del singolo con la collettività è la forza che impegna l’individualità ad un legame sociale solidale con gli altri. E’ nel rapporto io e l’altro e sull’immagine dell’altro che opera la cittadinanza; l’altro ha una sua autonomia è il diverso ma viene investito della stessa dignità morale dell’io. La comune appartenenza , la comune percezione dei valori di una civiltà, dei fini comuni del gruppo mi lega e porta a stabilire quelle norme alle quali entrambi vincoliamo la nostra azione. La concessione  di un diritto di voto senza l’acquisizione, almeno simbolica, della cittadinanza si risolve in un mero atto di assistenzialismo  senza che, il soggetto, risulti integrato nella sfera sociale e risulti pertanto un soggetto portatore di diritti come di doveri: la politica in senso generale, è la dimensione in cui avviene la coesione del gruppo.[1]


 


Le moderne democrazie sono nate e si sono rette sull’ideale trasformazione dei sudditi in cittadini e sulla costituzione di un rapporto diretto di rappresentanza con chi detiene il potere fondato su valori comuni e su un comune progetto di società. E’ su questa appartenenza e non sulla comunità di interessi economici che coesistono le basi della rappresentanza politica. Se questa solidarietà morale si rompe o viene a mancare questo corrode le basi stesse della rappresentanza che scade a rappresentanza di interessi e il rapporto si trasforma in puro scambio di prestazioni. La rappresentanza politica è stato di fatto identificata con il voto che è l’oggetto della contrattazione sul mercato politico.  Ciò che viene a mancare è lo statuto della cittadinanza che dà senso e garanzia al rapporto politico.  Il carattere delle istituzioni e il loro funzionamento è connesso strettamente a questi elementi vitali del rapporto di gruppo. Se muta il senso di cittadinanza  muta anche il senso delle istituzioni e dell’organizzazione politica. Essa deve necessariamente coinvolgere elementi morali ed ideali e non si deve concentrare invece in un apparato di interessi e di garanzie. L’essere cittadino specie per l’immigrato deve esprimere il legame del singolo con la collettività, non può essere un rapporto semplificato ed inserito in un sistema omogeneo stabile di comportamenti utilitaristici. Se manca di questi elementi la cittadinanza è solo una collocazione in un grosso appartato di interessi e garanzie su cui non si può fondare nessuna vera integrazione. Se si sostituisce al cittadino soltanto l’avente diritto che indirizza le aspettative verso l’alto a chi ci dovrebbe rappresentare e che perciò deve concedere, la cittadinanza diventa astratta e spersonalizzata  e si traduce in un insieme di leggi e regolamenti e non rappresenta più la produzione collettiva di convivenza. Non si tratta più di produrre consenso ma soltanto di conservare il principio dell’utile e di colmare il deficit emozionale dirigendo l’ansia di cambiamento su nuovi spazi per ridare personalità degli individui nei rapporti sociali, per riottenere un senso di appartenenza oramai debilitato, dirigendosi verso nuovi legami sociali, alle nuove ideologie conservatrici o ai fondamentalismi.


Far coincidere l’acquisizione dello statuto di cittadini agli immigrati significa dunque risolvere i problemi della rappresentanza ma anche del controllo sociale dell’integrazione e della coesione del gruppo. Una rappresentanza che deve non solo rappresentare e garantire la soddisfazione degli interessi ma deve fondare, costituire produrre la società, la cultura e gettare le radici solide del legame sociale tra individuo e gruppo. Il problema della concessione dei diritti politici agli immigrati non può essere risolta soltanto nell’Ambito della politica ma della cultura recuperando la totalità e la profondità del legame sociale dentro il quale si rendono possibili tutte le differenziazioni e contrapposizioni senza minacciare l’unità sostanziale del gruppo. La cittadinanza identifica l’altro e allo stesso tempo gli attribuisce una certa libertà di azione i cui limiti non sono rappresentati da vincoli esterni ma da valori interiorizzanti e da un riconoscere in lui la stessa essenzialità dell’io. Mediando le diversità, unificando le volontà attraverso un rapporto fiduciario, creando una struttura verticale di consenso sulle persone chiamate a decidere il senso di appartenenza dà vita alle forme della rappresentanza politica in cui la norma non viene più sentita come imposta dall’alto ma viene avvertita come forma necessaria di autoregolazione della vita comunitaria.


Per garantire una vera integrazione bisogna dunque costruire dal basso nuove solidarietà, nuove forme di cittadinanza e di rappresentanza che riattivino le funzioni portanti della cultura moderna (il senso di appartenenza, le norme di autoregolazione, la rappresentanza come cemento fondante la società). Se invece non si sarà in grado di ricostruire questo rapporto simbolico-affettivo tra il gruppo e l’individuo rimarranno e si riattiveranno forme virulente di intolleranze e violenza, e di una conflittualità generalizzata.








[1] Il termine politica deriva dall’aggettivo polis e si riferisce a tutto ciò che riguarda la città, il cittadino civile e pubblico e sociale.


 


Alessandra Micheli
email: alessandramicheli@virgilio.it   



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