Una storia veramente negata
Anna Pizzuti - 04-02-2005
Come anteprima all’atteso sceneggiato: “Il cuore nel pozzo”, mi sono concessa oggi la visione di un altro film: un film documentario, intitolato Una storia negata. L’esodo dei giuliano-dalmati nel Lazio, realizzato, dalla VeniceFilm Production con l’importante e decisivo contributo della Regione Lazio e da questa diffuso in tutte le scuole della regione.

Il regista, Lorenzo Gigliotti - si legge nella quarta di copertina del dvd - ha voluto evidenziare, attraverso un montaggio d’immagini d’epoca e contemporanee, i motivi e le fasi dell’esodo, dettato dal clima di violenza e di soprusi perpetrati dagli jugoslavi nei confronti degli italiani, dopo l’invasione dei nostri territori d’Istria, di Fiume e della Dalmazia in seguito alla sconfitta del secondo conflitto mondiale [...] che crearono il clima per l’abbandono delle terre adriatiche orientali da parte di circa 350.000 italiani. [...] Lo sradicamento avvenne in tre fasi, a partire dal 1943 fino al 1956. Nel Lazio giunsero circa 15.000 profughi” e molti di loro diedero vita all’attuale Quartiere Giuliano-Dalmata di Roma

Motivi e fasi dell’esodo certo, ma anche altro. Che non mi aspettavo ed i cui rischi, nel dibattito che si svolge intorno a questo argomento, non mi sembra siano stati presi in considerazione.
La ricostruzione storica, infatti, dopo aver rivendicato l’identità profondamente italiana dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, prende le mosse dalla fine della prima guerra mondiale, dai successivi trattati di pace e dalla questione fiumana. Il tutto visto da un punto di vista che sarebbe piaciuto molto a D’Annunzio. Il quale, ritengo, avrebbe molto apprezzato i termini quasi sprezzanti con i quali viene descritta, nel documentario, la allora neonata Jugoslavia.
L’italianità di quelle terra, intesa puramente in termini nazionalisti, rivendicata con lo stesso spirito sul quale si fondò il mito della “vittoria mutilata” : un sentimento che pervade buona parte del filmato e che mi è sembrato molto più pericoloso di qualsiasi altra operazione propagandistica legata alle foibe. Lo stesso sentimento rinvenibile nella definizione
terre adriatiche orientali” contenuta nella presentazione: un linguaggio di altri tempi, che ricorda espressioni analoghe, come quella della “quarta sponda”.
Mi sono immaginata, ascoltando, come sarebbero i testi di storia rivisti secondo le intenzioni di Storace, ed ho tremato. Un salto nel buio, più che una revisione del passato.

Solo citata, come atto “normale” di guerra, l’occupazione italo-tedesca della Jugoslavia. Ideologicamente schematica la ricostruzione degli avvenimenti intorno e successivi all’8 settembre: l’Italia viene divisa in due ed inizia “una guerra civile tra italiani”. Maggiore spazio, invece, alla violenza ed alla gratuità dei bombardamenti americani su Pola e sull’Istria.
Il centro del filmato, naturalmente, è costituito dagli atti di violenza, dagli “infoibamenti”. La cui spiegazione viene ricondotta, quasi esclusivamente, ad una pulizia etnica, descritta –attraverso le testimonianze - in termini che mi sono suonati molto familiari.
Intendevano eliminarci per difendere la purezza della loro razza” Queste, più o meno, le parole di un testimone. E questo il senso di diverse altre testimonianze. Sottile, ma non troppo, lo scopo: assimilare – più di quanto faccia la vicinanza semantica tra “Giornata della memoria” e “Giornata del ricordo” , vicinanza che diventa sovrapposizione in qualche locandina dedicata alle manifestazioni – l’episodio certamente drammatico ed esecrabile delle foibe, alla Shoah.

Accenno solamente a due altri passaggi del documentario: la costruzione dell’EUR - fu lì, nel villaggio degli operai che vi avevano lavorato, che si stabilirono i profughi arrivati a Roma -, con le immagini del DUCE che osserva i lavori o vi prende parte, accompagnate da un inno fascista che esalta, assieme allo stesso, la patria e la famiglia, come unico valore: immagini non mediate né commentate.e le scene girate in una scuola della quale non viene citato il nome (perché?) che con alcuni studenti che si dichiarano fortunati perché unici ai quali un insegnante ha parlato a lungo delle foibe.
Drammatico, ma anche interessante dal punto di vista linguistico, il racconto dell’ esodo. Sembra quello che potrebbe fare oggi qualsiasi immigrato: i campi profughi/centri di accoglienza, la diffidenza dei residenti verso i nuovi arrivati, le difficoltà linguistiche, l’assenza, l’indifferenza del governo di De Gasperi. “Ma c’era anche Togliatti”, precisa un testimone.

Il documentario si chiude con alcuni versi del poeta greco Kavafis, sul dolore che si prova lasciando la propria terra. Un dolore comune a quello di tutte le persone che di tutte le guerre e di tutte le violenze sono state e sono vittime.

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Nota a margine

Sono andata a cercare il testo della legge che istituisce la “Giornata del ricordo” ( LEGGE 30 marzo 2004, n.92 )
L’articolo 2 stabilisce che “sono riconosciuti il Museo della civilta' istriano-fiumano-dalmata, con sede a Trieste, e l'Archivio museo storico di Fiume, con sede a Roma. A tale fine, e' concesso un finanziamento di 100.000 euro annui a decorrere dall'anno 2004 all'Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata (IRCI), e di 100.000 euro annui a decorrere dall'anno 2004 alla Societa' di studi fiumani”.

Niente in contrario. Come non pensare, però, allo scandalo dei mancati finanziamenti del Governo per le iniziative legate alla celebrazione dei 60 anni dalla Liberazione e della Resistenza.



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 Grazia Perrone    - 05-02-2005
Ritengo doveroso commentare questa nota con le parole dello storico triestino Galliano Fogar, uno dei maggiori conoscitori delle vicende storiche di queste terre di confine, dove il ventennio fascista imperversò, ancor prima dell'invasione della Jugoslavia, con una violenta opera di snazionalizzazione nei confronti di tutto ciò che non era «italiano» e perciò fascista. Parole riprese e pubblicate da Matteo Moder sul Manifesto dell’11 febbraio 2004.

Lo studioso – si legge nella nota - non vuole rassegnarsi al fatto che la storia venga dimezzata, che l'ignoranza e la disinformazione su quanto realmente è avvenuto qui, in quella che fu la Venezia Giulia, la facciano da padrone e che perfino gli eredi dell'ex Pci si appiattiscono sulle tesi antistoriche di Alleanza Nazionale. «An fa nascere la storia - dice Fogar - dal 1945, dall'occupazione di Trieste da parte delle truppe di Tito. Io rispetto ciò che dice Ciampi per il fatto che gli italiani dell'Istria, di Fiume e di Zara dovettero abbandonare le terre perse, ma anche lui dimentica di ricordare che tutto ciò, anche se certamente da condannare assolutamente sul piano umano e morale, ebbe il suo terreno di coltura nella violenza fascista e nell'invasione e disgregazione della Jugoslavia da parte italiana e tedesca. Senza questo - aggiunge - non si può discutere, non esiste una storia a metà».

La tragedia delle foibe e dell'esodo dalle terre perse - perché il fascismo fu sconfitto - viene così presentata come esclusivo frutto della violenza «slavocomunista», materializzatasi dal nulla per abbattersi terribile su tutto ciò che era italiano.».
«Era quello che volevo dire l'altro giorno a Fassino e Violante - continua Fogar - quando sono venuti a Trieste per aderire alla proposta di Roberto Menia (An) di istituire il 10 febbraio, giorno della firma del Trattato di Pace di Parigi, nel 1947, la giornata della memoria dell'esodo e per fare un "mea culpa" attribuendo al Pci di allora colpe ed errori di valutazione. Ma io mi domando - aggiunge - come può Fassino dire che il Pci sbagliò "perché l'aggressione fascista alla Jugoslavia non poteva giustificare in nessun modo la perdita di territori né l'esodo degli Italiani"? Ma è stata quella la causa scatenante, l'Italia fascista è stata responsabile e corresponsabile con la Germania di Hitler delle devastazioni e delle stragi che hanno insanguinato l'Europa. Cosa dovrebbero dire gli ebrei, i polacchi, i russi, i milioni che sono stati sterminati?».

Ma Fogar non ha potuto parlare, la conferenza stampa di Violante e Fassino, come ha sottolineato il segretario triestino dei Ds, Bruno Zvech, «era solo per giornalisti». «Io sono giornalista dal 1946 - ricorda lo storico - e ho vissuto in prima persona gli avvenimenti di queste terre e conosco la terribile ignoranza della grande stampa nazionale e della Rai sulle vicende storiche della Venezia Giulia, dove gli infoibati, "tutti italiani e solo perché italiani", sono a seconda delle "disinformazioni" 10, 20, 50mila e i profughi 350mila, quando l'Opera profughi giuliano dalmati e non certo il Soviet supremo ne censì fino al 1960 204mila, più altri 40-50mila non censisti e che hanno preferito allontanarsi senza lasciar traccia di sé».

Indifferenza, ignoranza, bassa politica elettorale, sono i fattori che impediscono una lettura veramente storica dei fatti, per lasciarli sospesi in un limbo pseudo patriottico, ignorando del tutto le colpe fondamentali del fascismo di frontiera in Istria prima e poi nella Jugoslavia occupata. «Fassino ha detto poi - spiega Fogar - che bisogna ristabilire la verità storica, assumersi le proprie responsabilità, non leggere quella vicende - foibe e esodo - che non sono così consequenziali, se non nella visione antistorica degli eredi dei fascisti - come una modalità dello scontro fascismo-antifascismo, come secondo lui fece il Pci allora, perché "andava letta come una manifestazione di un nazionalismo pericoloso che ha provocato molti danni e sofferenze in quella parte d'Europa e torna periodicamente a risvegliarsi". Certo - prosegue lo storico - c'era questa componente nel comunismo di Tito, ma se non si racconta quello che è avvenuto prima come si può capire, si sposano solo tout court le tesi di An che sono quelle del Msi, che sono poi quelle repubblichine che perseguitano queste terre dal 1943, dalle prime foibe istriane. Tralasciamo pure - rileva lo storico - le nefandezze del fascismo tra le due guerre e partiamo dal 1940, quando l'Italia entra in guerra. La causa storica della nostra disgrazia delle foibe e del calvario dei profughi è la guerra fascista, l'occupazione della Jugoslavia, la politica di persecuzione, di deportazione e di stragi, come nel 1942 a Podhum, vicino a Fiume quando 91 abitanti del paese, considerato "sospetto" dall'esercito e dalla milizia fascista, furono fucilati e gli 800 abitanti deportati. La destra attuale, gli ex missini - incalza Fogar - ben si guardano dallo storicizzare le foibe e l'esodo con i quali tanto si riempiono la bocca, perché dovrebbero per primi fare ammenda di quanto è successo. Questi eredi dei missini, che hanno continuato a spadroneggiare e a compiere atti di inaudita violenza a Trieste dal 1948 a tutti gli anni Ottanta, e non solo contro comunisti e slavi ma contro gli esponenti e i militanti di quegli stessi partiti democratici che avevano fatto parte del Cln e che avevano difeso, pagando anche con la vita, l'italianità di Trieste e di parte dell'Istria. Di questo non parlano, ma di questo - conclude Fogar - parlano i nostri libri dell'Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione del Friuli Venezia Giulia, le indagini di polizia, le inchieste della magistratura, anche se furono sempre troppo indulgenti verso questi "difensori dell'italianità" che flirtavano con Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo, con le cellule nere di Freda e Ventura.

Si parta da questa storia, si ammettano le colpe del fascismo e dopo parleremo di giornate dell'esodo e delle foibe, fatti tragici, fatti tremendi ed esecrabili, ma che non sono nati da un buco nero della storia».


Un'ultima cosa vorrei aggiungere.

Nell'ultimo congresso di Alleanza Nazionale l'ex "camerata" che - negli anni '70 - cantava una "canzonaccia" il cui ritornello faceva - più o meno - così: (..)"il 25 aprile/è nata una *******/ e gli hanno messo il nome/ Repubblica Italiana (...)" ha parlato di "Patria" il cui valore etico - dapprima "appannaggio" di pochi - sarebbe, ora, condiviso dalla maggioranza degli italiani.

Ebbene sarò pure una "veterocomunista" ma mi sembra di poter dire che il valore di Patria rappresentato da Alessandro Natta e splendidamente narrato nella nota scritta dal Signor Balilla Bolognesi sia radicalmente diverso da quello rappresentato dal padre dell'attuale governatore della Lombardia e da quello evocato dagli (ex) "camerati" di Fini.

Non merita alcun commento, invece, la cinica risposta ad un lettore di Sergio Romano secondo il quale ci sarebbero dei casi in cui sarebbe opportuno (ed eticamente corretto?) "dimenticare" (in qualche armadio ... magari) i crimini di guerra. Quelli italiani in primis!