Ha vinto il mistero
Roberto Silvestri - 24-05-2004
Palma d'0ro 2004
Un film speciale


Cannes premia l'arte che sposta le montagne. Ha vinto, per la prima volta nella storia del festival, un film-poesia «doc» di Michael Moore, Fahrenheit 9/11 (le cui versioni in prosa, di Jean Luc Godard e di Sembene Ousmane, sono state tenute fuori gara), riflessione cinetica, capace di smuovere il pensiero e la vita. Che ci mostra, in happy end, nonostante la tragica analisi delle operazioni planetarie della banda Bush jr, l'avvenire e l'altrimenti.

Ha vinto il mistero. Ha vinto un film non egocentrico, anche se girato in prima persona maschile singolare, da un giornalista/filmaker/comico che si mette in discussione, con i suoi limiti (soprattutto di linea) e punta alla condivisione, non alla comunicazione. Un oggetto indefinito e bastardo. Un documento «di profondità» ancora più efficace perché sembra rafforzato nei laboratori di Fantasyland (paradossale che new Disney non distribuisca). Un programma televisivo, ma ai confini della realtà, un ibrido che ci appare come pura potenza onirica dispiegata, visto anche lo stato miserabile del nostro rifornimento «pubblico» abituale di immaginario e sostanza conoscitiva.

Ha vinto un film politico più alla Lucio Fulci che alla Fellini, fatto di immagini incandescenti, non di parole d'ordine che stroncano l'atto del divenire. Proprio come il grande sconfitto (2046 di Wong Kar Wai, perfettamente incompiuto) che è un film d'amore trafitto di politica (rivoluzionaria). Fahrenheit 9/11, film speciale, creato in un momento speciale per la vita dell'umanità, della «claustrofobia globalizzata», direbbe John Berger, è ancora opera in costruzione, in cantiere chi lo ha prodotto (Miramax ha ancora grattacapi per distribuirlo negli States), girato (e montato fino all'ultimo secondo prima del festival) e chi lo vedrà, turbato ma anche divertendosi molto, come impone il primo, rispettato, comandamento dell'entertainment e dello statuto «cannoise».

Un'opera di ricerca, in progress, per una volta senza apriori sistematici, neppure etici, più del libro dello stesso Michael Moore da cui è tratto per la prima parte, di lentezza «maso» (mentre la seconda, «sado», a partire dalle torture «by West Point», cambia proprio ritmo, in un crescendo alla Richard Strauss). Insomma, è una macchina pragmatica e desiderante, mai veicolata in modo improprio. La palma d'oro è andata a quella cosa, molto rara e «pornografica» (nel senso di proibita e d'insostenibile visione, ormai) che accade quando la ragione si accoppia da tutte le parti, e fin dentro la morte, con la passione. Atti impuri in luogo pubblico. Bene.

Dal Manifesto
23 maggio 2004


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