breve di cronaca
L'Italia cambia musica
Famiglia Cristiana - 28-05-2003
INCHIESTA:
CON L’ATTESA RIFORMA, I CONSERVATORI DIVENTERANNO SIMILI ALLE UNIVERSITÀ


La legge del 1999 trasforma gli istituti in facoltà e delega i corsi di base a licei e medie. Ma i problemi sono tanti: si rischia la stecca.




«Certo che voglio diventare una violinista: altrimenti cosa starei qui a fare?».

Eloisa, diciannovenne, frequenta l’ultimo anno del liceo musicale di Parma, annesso al Conservatorio Arrigo Boito, 760 allievi di cui 70 iscritti al liceo: 29 ore di frequenza alla settimana, più di un terzo delle quali riservate alle materie musicali – armonia e solfeggio, storia della musica, canto corale e composizione, suddivise tra biennio e triennio –, oltre a quelle che servono a perfezionare la pratica dello strumento.

Da cinque anni Eloisa vive, di fatto, in questo storico palazzo, ex convento del Carmine, un panino all’ombra dello splendido chiostro nella pausa del pranzo, sabato compreso. Eppure, dopo la maturità, pur continuando lo studio del violino, ha intenzione d’iscriversi alla facoltà di Scienze politiche. «Per avere più possibilità: se riesco, tanto meglio per me, altrimenti dovrò rassegnarmi e ripiegare su qualcos’altro».

Ina è una delle migliori allieve del corso. Dopo il diploma, ha intenzione di iscriversi a Musicologia. Dedica al pianoforte quattro o cinque ore al giorno, ma è arrivata fino a nove per i pezzi più difficili, «tanto per il latino e la matematica ci sono sempre la domenica e il dopocena». I genitori, d’origine albanese, sono venuti a Parma apposta per realizzare i sogni suoi e della sorella più grande, che studia canto.



Alcuni studenti del Conservatorio Boito di Parma
improvvisano un concertino nello splendido chiostro.


Storie di passione e di sacrificio, di vittorie e di sconfitte, degne di Saranno famosi. Storie che diventano cronaca quotidiana tra le mura dei conservatori italiani, oggi proprio come ieri.

«Anche la mia famiglia si trasferì a Parma dalla Sicilia per farmi studiare musica, perché allora da noi non c’erano conservatori. Ed eccomi qui».

Claudia Termini è preside del liceo e direttrice del Conservatorio Arrigo Boito, dove insegna organo e composizione organistica. In attesa della rivoluzione che a breve dovrebbe investire tutto il mondo della musica.

Con la sospirata attuazione della legge 508 del 1999, i conservatori diventano scuole di "alta formazione". Si trasformano cioè in "università della musica", delegando alle scuole medie a indirizzo musicale e ai futuri licei musicali la formazione "di base".

Si potrà, insomma, entrare in conservatorio solo "da grandi", con tanto di diploma di maturità, per conseguire poi un titolo accademico di primo o di secondo livello equipollente alla laurea.

Un atto dovuto: il vecchio diploma di conservatorio, riconosciuto come laurea breve per decreto del ministro Moratti, in passato aveva soltanto un valore interno. Sembrerebbe una vittoria.

È una vittoria. Eppure, tra un solfeggio cantato e una prova d’orchestra, raccogliamo dubbi e preoccupazioni. Anche perché questa benedetta istruzione musicale di base, che il ministro vuole estendere a tutta la scuola italiana, è da costruire. Per il momento, anche i licei musicali esistono solo nelle carte delle commissioni ministeriali.

«E allora ci lascino il nostro, così com’è», sbotta la direttrice Termini.



Prove per gli alunni del Conservatorio di Bologna.


«Studi atipici e impegnativi»


I licei sperimentali annessi ai relativi conservatori sono nati negli anni Ottanta. Attualmente ne sono rimasti in piedi due, l’Arrigo Boito di Parma e il Giuseppe Verdi di Milano. C’è da augurarsi davvero che queste esperienze non vadano buttate al vento.

«Dal nostro liceo sono usciti fior di professionisti», continua la direttrice Claudia Termini. «I nostri sono corsi impegnativi, ma è altrettanto impegnativa la doppia frequenza di chi è iscritto al conservatorio e a un altro liceo».

La preoccupazione è che i futuri licei musicali possano peggiorare le cose, abbassando il livello di preparazione.

«Si deve tenere conto dell’atipicità di questi studi, in cui il rapporto individuale dell’insegnante con lo studente è fondamentale», spiega Fabrizio Fanticini, maestro di composizione, «ci sono tempi fisiologici da rispettare: non si può cominciare a studiare seriamente il violino all’età di vent’anni».

Guido Salvetti, direttore del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, presso il quale insegna storia della musica, ha fatto parte delle commissioni ministeriali per la riforma.

«Io stesso porto l’esperienza del nostro liceo in commissione», spiega. «Credo che la colonna portante da salvaguardare sia costituita dai programmi culturali musicali, che però vanno assolutamente aggiornati».



Un’infilata di giovani flautisti a Parma.


«Ci vorrà una decina d’anni»


Il liceo del Verdi conta 170 iscritti su 1.560 studenti del conservatorio. Il 90 per cento di questi sono motivati a intraprendere una carriera professionale. «Credo che il ministero incoraggerà i licei classici o scientifici già esistenti ad aprire una sezione musicale e a convenzionarsi con i conservatori delle loro città per le materie specifiche», continua Salvetti, «fintanto che non ci saranno scuole medie e licei musicali in grado di funzionare da soli: penso che ci vorrà una decina d’anni. Dobbiamo ritirarci dalla zona medio-bassa e puntare verso l’alto. Certo, bisognerà essere galantuomini e pretendere, per l’ammissione, una formazione ancora più ampia di quella che si richiede adesso».

I problemi sono due: la formazione dei giovani musicisti e gli sbocchi professionali. Per tenere in piedi 75 istituti di alta formazione, tra conservatori e istituti pareggiati, un numero che non ha uguali in Europa, bisognerà avere il coraggio di puntare davvero sulla musica, creare nuovi posti di lavoro e richiamare studenti dall’estero.

«Oggi facciamo poco per la musica, non come didattica, ma come visibilità, e rischiamo di rimanere indietro nei confronti dell’Europa», denuncia Carmine Carrisi, direttore del Conservatorio Martini di Bologna, 700 iscritti e una tradizione che vanta nomi come Donizetti e Rossini. «Chiudono le orchestre e i teatri di tradizione: chi studia musica è preoccupato per il futuro». Il primo passo è il reciproco riconoscimento dei titoli a livello europeo. «Un passo irrinunciabile. In Italia abbiamo grandi risorse artistiche e professionali, ma stentiamo a esportare la nostra arte. Dobbiamo credere in noi stessi e investire di più».



Solfeggio cantato per un gruppo di allieve del Conservatorio di Parma.



Il futuro degli studenti



Ma tutti i conservatori diventeranno università della musica?
Al ministero si mettono le mani nei capelli, perché i direttori sono artisti e non riescono a mettersi d’accordo nemmeno fra di loro. C’è chi corre verso l’alta formazione e c’è chi frena, pensando soprattutto al futuro degli studenti.

«Dobbiamo trovare assolutamente uno spazio nella secondaria, in convenzione coi licei musicali: mi spaventerebbe pensare che ogni docente di conservatorio, meccanicamente, possa passare all’alta formazione, ci vorranno concorsi e selezioni», spiega Liliana Forti, direttrice dell’Istituto pareggiato Orazio Vecchi di Modena e del Tonelli di Carpi. «Qui a Modena abbiamo avviato corsi sperimentali di alta formazione e, su undici docenze proposte, il ministero ne ha passate quattro».

L’importante è salvaguardare la qualità dell’insegnamento di base, riuscendo a conservare gli aspetti positivi della nostra tradizione.

«I nuovi programmi devono tenere conto del tempo indispensabile da dedicare allo strumento, per mantenere alto il livello esecutivo, che non va confuso con un livello semplicemente tecnico. Perché si suona con la testa, col fisico e con l’anima».






Simonetta Pagnotti
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 Andrea Garreffa    - 10-12-2003
Mi sembra di aver capito che con la nuova riforma i conservatori saranno equiparati alle università.
Come verranno trattati i privatisti?
Gli artisti che decidono di diplomarsi ovvero laurearsi nel proprio strumento, pur studiando privatamente potranno un giorno conseguire il diploma(laurea)?