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Anna Caterina Cabino - 15-01-2013 |
Si dice: “La scuola e l’università sono le chiavi per far ripartire il Paese e renderlo più capace di affrontare le sfide globali”. Ben venga il riconoscimento ufficiale di un dato di fatto che solo i ciechi potevano non vedere! Evidentemente Monti riconosce che la mancata identificazione di tale presupposto ha impedito finora di “invertire la rotta”. Nella necessaria genericità di un’agenda ci si aspetta di trovare i principi ispiratori di tale cambiamento. Vediamo, dunque come Monti intenda “invertire la rotta”. Ci dice Monti: “Il modello organizzativo deve cambiare puntando su autonomia e responsabilità come principi fondanti”. A dire il vero i principi fondanti di ogni scelta e priorità, politica per i governi e personale per chi ha compiti di realizzazione, sono quelli costituzionali. Il DDL 953 (ex Aprea), parlando di autonomia e di responsabilità a iosa fa praticamente carta straccia dell’unitarietà del sistema dell’istruzione pubblica statale). Sarebbe stato opportuno quindi rinviare alla Costituzione, che, in maniera sintetica ed efficace avrebbe anche circoscritto l’ambito di interesse e di priorità del Governo della Repubblica alla scuola pubblica statale. La parola – chiave è dunque “organizzativo”: l’impianto della riforma Gelmini individuava nell’assetto organizzativo (tradotto in termini di riduzione ed essenzializzazione dei curricoli, dei tempi d’insegnamento, degli ordinamenti, ecc …) lo strumento principe per la realizzazione dello smantellamento della scuola di stato. Quindi, in base al principio di carità, mi è lecito interpretare che sarebbe il modello organizzativo a dover cambiare. Sempre in base al principio di carità immagino che Monti si sia accorto che la riforma Gelmini non è all’altezza di quanto da lui sostenuto, in merito ai ritardi da imputare allo stile rivendicazionista di stampo “marxista” (sic!) che ha creato un grosso ostacolo alle riforme superato dalle “due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne. Grazie alla loro determinazione, verrà un po' ridotto l'handicap dell'Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili”. A questo punto della lettura non mi è dato sciogliere il nodo. Quindi andiamo avanti. Si dice “occorre completare e rafforzare il nuovo sistema di valutazione centrato su INVALSI e INDIRE”. Giustamente l’Istituto nazionale di valutazione del sistema scolastico e quello per la ricerca e l’innovazione educativa devono senz’altro essere riassestati, ma prima di tutto c’è da chiarire quale sia lo scopo di tale riassestamento. Da notare che evidentemente per Monti (o per la sua Agenda) cambiare ha lo stesso significato di completare e rafforzare. Non mi sembra che sia così: il concetto di rafforzamento implica la valutazione positiva di ciò che si sta considerando. A nessuno verrebbe mai in mente di rafforzare ciò che desidera cambiare. Forse Monti pensa che i difetti di INVALSI e INDIRE siano nel fatto che il loro operato non sia completo. Ma in questo caso evidentemente si tratta solo di aggiustamenti che nulla cambiano nella sostanza. L’Agenda, infatti, fa riferimento ad una valutazione che si basi su “indici di performance oggettivi e calibrati sulle caratteristiche del bacino di utenza e dei livelli di entrata degli studenti”: l’attenzione è dunque tutta rivolta sul prodotto finale piuttosto che sul sistema di relazione tra tessuto sociale e metodi e tecniche di costruzione dei saperi. La sostanza del cambiamento di rotta dovrebbe andare verso il superamento della logica produttivistica che è sottesa alle modalità nelle quali finora si è pensata la valutazione del sistema-scuola. Il modello dei test, peraltro scopiazzati da analoghe procedure del mondo anglosassone rischia di avere un effetto deleterio se diventa lo strumento di rilevazione. Non c’è miglioramento che tenga. La curvatura della didattica sul “teaching to the test” può essere evitata solo se la valutazione va nella direzione della comprensione al suo interno dei diversi fattori che interagiscono sui risultati dei ragazzi (clima educativo, qualità del sostegno allo sviluppo professionale del personale, servizi e offerte della comunità di riferimento- servizi, biblioteche, per es.-, livello di partecipazione collegiale e finalmente ruolo della dirigenza scolastica). Niente a che vedere con la visione aziendalistica del “premio di produttività”, anche perché nulla viene detto sui criteri in base ai quali stabilire la qualità dei “risultati raggiunti” che dovrebbero essere, date le premesse, “oggettivamente rilevabili”. La competenza degli insegnanti non è solo individuale (nel momento in cui insegna), ma si esplica anche sul piano collegiale. Non è misurabile in termini di “prodotti finiti”, ma in relazione all’apporto di carattere didattico e metodologico che nella riflessione collegiale è chiamata ad esprimere. Insomma Monti ha in mente una valutazione del prodotto, la scuola ha bisogno di una valutazione del processo. E tra le due cose c’è un abisso. Altro che completamento! In sintesi: le scelte del governo dei moderati che si rifanno all’agenda Monti andranno nella direzione del deciso completamento e rafforzamento delle scelte finora timidamente inaugurate. Il modello valutativo finora adottato nella scuola verrà esteso ed ampliato. Alla scuola, ai docenti e ai dirigenti che otterranno risultati quantificabili dedicheremo qualche euro, solo dopo aver tagliato il debito pubblico. Punto e a capo, dunque! Il MIUR continua a cedere il posto al MEF. Ma non è una storia già sentita? |