Nord e Sud: due scuole ma un unico dramma
Giuseppe Aragno - 25-03-2010
Fu il miraggio di una collaborazione con le forze della sinistra "liberale" a suggerire a Turati la formula ambigua che affidò la soluzione dei problemi del Mezzogiorno a una "egemonia della parte più avanzata del Paese sulla più arretrata, non per opprimerla, anzi, per sollevarla e per emanciparla". La scelta - una delle più infelici del riformismo di Turati - consolidò il fronte borghese e spaccò il movimento operaio a tutto vantaggio degli imprenditori. E' una lezione da cui la sinistra non ha mai ricavato le conseguenze. Lo dimostrano, qualora ce ne fosse bisogno, le idee che sulla scuola circolano in rete. C'è ancora chi riduce il dramma della scuola alle politiche d'un trio famigerato - Moratti/Fioroni/Gelmini - e s'illude che mentre il Sud sia spettatore passivo, il Nord "resistente", stia salvando il millennio di storia cancellato dalla Moratti, il programma di Geografia che copre il globo terracqueo e l'esame di quinta, trasformato giuridicamente in progetto di fine anno. Può darsi che sia vero. Perché non crederci? Può darsi che non si tratti, com'è costume italico, di quelle che Mazzini chiamava "le passioncelle locali", le diffidenze e gli interessi particolari. Crediamoci. Nel Lombardo-Veneto leghista, nel Regno di Sardegna e in qualche granducato tosco-emiliano avanguardie di docenti illuminati hanno recuperato i mille anni di storia che si son persi invece fatalmente nelle terre dei "lazzari, che, ci credereste?, della protesta con i rotoli di carta igienica non sanno nulla e, se sanno, non sono convinti. Terre barbare, in cui, negli anni eroici dell'unità, i "cafoni" massacravano Pisacane e il poeta scriveva: "Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti". Terre sventurate, in cui il genovese biondo e generale, tra fischi di pallottole e camicie rosse, gridava al colonnello eroico: "Bixio, qui si fa l'Italia o si muore!". L'Italia di Garibaldi che, per farsi conoscere a dovere da chi ancora stentava a capire, mandò Bixio a Bronte e passò per le armi i braccianti malandrini, sanfedisti ed "eversivi", pronti a occupar le terre dei padroni, che, guarda caso, erano invece amici dei garibaldini.
Può darsi che il millennio sia stato recuperato, ma nella foga si sono certamente smarriti i centocinquant'anni della "Questione meridionale" e siamo tornati ai tempi del ravennate Carlo Luigi Farini, luogotenente del re nelle terre del Sud e, di lì a poco, Presidente del Consiglio, che, nel dicembre 1860, dimenticata la "passione unitaria", scriveva a Minghetti:

"non ci sono cento unitarii in sette milioni di abitanti. Ne pur di liberali c'è da far nerbo. E Napoli è tutto: la provincia non ha popoli, ha mandrie: qualche barone o di titolo o di gleba le mena [ . .]. Or con questa materia che cosa vuoi costruire? E per Dio ci soverchian di numero nei parlamenti, se non stiamo bene uniti a settentrione".

E' difficile capire se nei fatidici mille anni siano compresi quelli più recenti, ma come tacerlo? E' quantomeno singolare ridurre le responsabilità del dramma della scuola al trio Moratti, Fioroni, Gelmini, quando la loro "filosofia", con buona pace dei filosofi, è già nelle note esplicative che accompagnano il testo del bilancio di previsione del 1980, e che Spadolini trasmise al ministero del Tesoro nel 1979: razionalizzazione nell'utilizzazione del personale, produttività della spesa per l'istruzione, diminuzione del costo economico.
Non occorrono intelligenze nordiche per capire che l'Italia s'è fatta senza rivoluzione, con patti scellerati tra padroni delle terre e padroni di manifatture, sicché da Nord a Sud non c'è chi possa chiamarsi fuori e dar lezioni. Insieme, negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, studenti e lavoratori hanno dato battaglia. Bombe e attentati li hanno messi a tacere. La spinta al cambiamento s'è fermata e la caduta del muro di Berlino ha messo in discussione un equilibrio fragile e sempre più precario. Un equilibrio che s'è rotto quando a dettar le regole sono stati i mercati e l'Europa delle banche; quando i bilanci "europei", senza migliorare il "prodotto scuola" e senza tirarci fuori da presunti disastri economici, sono bastati a indebolire le scarse potenzialità di un sistema formativo costretto a operare in condizioni di crescente isolamento. La scuola, oggi, è lo specchio di un Paese scosso dalle fondamenta, afflitto dal degrado del Mezzogiorno, dal fiorire dell'azienda-mafia che dilaga anche al Nord, dalla ripresa di antichi pregiudizi antimeridionalisti e dalla protesta leghista, che pone sul tappeto una pretesa differenza di cultura e di razza fra gli abitanti delle diverse aree del Paese.
In queste condizioni, l'illusione delle "due scuole" è rovinosa e può solo consolidare il clima di contrapposizione che, per dirla con Santarelli, un grande storico troppo presto dimenticato, ha le sue radici nella "forza eversiva dei fatti: l'integrazione capitalistica euro-occidentale, il salto o i salti di qualità tecnologico-produttivi dell'economia settentrionale". Non è un caso che il dibattito sulla scuola si polarizzi sulla contrapposizione pubblico-privato, che diventa un'astrazione e rischia di trasformarsi nel riflesso d'uno specchio deformante. In realtà, ciò che in altri settori non è facile da cogliere, guardando alla scuola si fa molto più chiaro: l'attacco alla formazione ha ovunque la stessa pesantezza, ma l'effetto dei colpi non può essere uguale. Un dualismo ormai incancrenito rischia di produrre fratture micidiali. È la conseguenza estrema, e per molti versi prevedibile, d'un ritardo in cui gli aspetti "quantitativi" si risolvono ormai in un "gap qualitativo" che, nei fatti, segna una divaricazione non più rimediabile.
Non si può difendere la scuola dello Stato, se non si coglie la molteplicità delle conseguenze "geografiche" che l'attacco produce, se si ignora il terreno sul quale ci si muove. Sarebbe un suicidio dimenticare che il sottosviluppo di alcune aree del Paese non è ormai più funzionale nemmeno allo sviluppo delle altre, ma alle logiche del profitto e alle esigenze del capitale. Ci sono oasi felici nel deserto meridionale e dune sabbiose nella verdeggiante piana padana. Non c'è una questione locale. C'è un sud del Nord e un nord del Mezzogiorno. Da decenni c'è una continuità nelle scelte politiche di fondo, soprattutto economiche, che non consente salvezza né alla società del Nord, che senza il Sud non può governare i ritmi velocissimi del cambiamento, né a quella del Sud, che senza il Nord non sa come fermare l'arretramento. Abbiamo di fronte un progetto scellerato che rischia di giungere a compimento. La diversità stessa della qualità della vita produce rinnovati squilibri. E questi, a loro volta, inevitabilmente approfondiscono quelli preesistenti. Per ora pagano le classi povere, pagano i lavoratori , pagano gli immigrati. Alla fine del percorso, come accadde col fascismo, pagherà il Paese nel suo insieme. In termini di civiltà.
Non due Italia e due scuole, quindi, ma una tragedia nazionale.

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 Ciro34    - 25-03-2010
Ho letto l'intervento delle maestre, ma a me sembra completamente condivisibile, anzi...

Vi è indubbiamente una cruda disamina dello stato delle cose in quell'ordine scolastico.Io ormai sono in pensione da anni, insegnavo matematica alle superiori, ma ho esperienza diretta attraverso l'insegnamento di mia figlia, ormai grandicella, alle elementari.

Mi racconta continuamente quello che è denunciato nell'intervento .

Inoltre leggendo con attenzione appare evidente la critica a dividere la scuola in due territori; mi perdonerà Giuseppe, ma non comprendo proprio il Vostro intervento.

 Patrizia Rapanà    - 25-03-2010
L'articolo di Aragno è come al solito ineccepibile. Di mio vorrei aggiungere alcune domande. Che è Diana? A nome di chi parla? Chi ha discusso e di che? Diana lo sa quanti sono gli insegnanti meridionali che lavorano al Nord? Come si fa a chiamare in causa Fioroni e a tacere di Berlinguer? Che significa "abbiamo proceduto a raccogliere delle sommarie informazioni"? "Retescuole", che pubblica un articolo di questo genere, lo condivide? Diana si è accorta che i voti dati alla Lega vengono tutti dal Nord?


 Antonella    - 26-03-2010
Anche a me sembra che Aragno non abbia letto bene l'articolo.Quello che denunciano è completamente vero.Sono una maestra del Sud ed è tutto drammaticamente vero.
In più nell'articolo si legge benissimo che si criticano Berlinguer e lo studio della Fondazione Agnelli.
Bisogna fare autocritica!

 Cristina Braila    - 26-03-2010
L’articolo di “Retescuola” ci piglia a “pesci in faccia” e fa il gioco della Gelmini. "Le armi dell'autonomia berlingueriana sono finte e spuntate", c’è scritto, però non dice che l'autonomia di Berlinguer apre la breccia e di là passano i barbari! E se dobbiamo arrivare a questo, va bene, arriviamoci, sono leghisti i barbari più convinti, cioè sono settentrionali. E leghista è il discorso di Diana che parla del Sud senza sapere di che parla. Di insegnanti meridionali il Nord è pieno e dio solo sa quanto razzismo hanno da affrontare. Ma siamo impazziti?
A me pare che Aragno non dice che il dualismo non c'è. Ha cercato di inserirlo in un contesto più largo e più storico. Cerca delle spiegazioni meno qualunquistiche e oltraggiose di quelle della collega che si nasconde dietro l'anonimato e prima dice che abbiamo spessore didattico, poi ci definisce vigliacchi e insensibili. Come si può essere così gratuitamente offensivi e ipocriti? In tanti anni non mi è mai capitato di leggere una cosa simile su un sito che si rivolge a insegnanti. E' gravissimo. Aragno per me è troppo corretto, ci voleva una risposta più dura. Lui invece si limita a ripetere cose che dice da tempo, cose giuste sulle quali quelli come Diana e la gente che vuole rappresentare non dicono mai niente. E questo silenzio lo ritengo molto sprezzante. Aragno dice che la scuola è un pezzo di società e se lotta solo per se stessa perde, perché invece deve far parte di una lotta comune di tutte le realtà colpite. Forse Diana dovrebbe spiegare perché i colleghi, pure quelli settentrionali, non hanno occupato le scuole con gli studenti dell'Onda, perché non fanno la lotta assieme all'università e dovrebbe dire ai vigliacchi del Sud perché non si accorge dell'indifferenza dei colleghi del Nord per i problemi specifici del Mezzogiorno, e di tutti quegli insegnanti che qua e là, Settentrione o Meridione, si muovono solo quando sono toccati in prima persona. Chiedano il trasferimento al Sud questi eroici colleghi, poi vediamo quanto sono coraggiosi.

 Maria Grazia Fiore    - 27-03-2010
Ci sono diversi punti dolenti nell'accorato (?) articolo della fantomatica Diana che, come giustamente fatto notare da Patrizia Rapanà, non si sa chi sia, a nome di chi parli ma, soprattutto, in quali scuole abbia fatto la rilevazione e con che criterio sia stato scelto il campione rappresentativo.

Perché il campione era rappresentativo vero? E l'intervista telefonica da chi è stata costruita? Perché è stata creata prima una griglia ponderata dei vari punti da rilevare, immagino...

Ecco. A me, ciò che più preme, è evidenziare il tipico stile berlusconiano della conta "per sentito dire". Del resto, ormai, di scuola si parla solo in questi termini. Conosco istituti da cui si sarebbero avute risposte diverse a secondo del docente interpellato. Perché è fondamentale sapere chi ha risposto alle domande e in quale veste mentre i nostri sondaggisti scorrevano l'elenco telefonico non si sa con quale criterio.

Posso testimoniare una collaborazione proficua con diverse docenti del nord, di ottimo spessore che - ahimè - non hanno salvato il globo terracqueo, i mille anni di storia e così via.
Ovviamente non potevano farlo da sole. Ci vuole un collegio dei docenti dietro, RSU non colluse con una dirigenza pavida e così via...

Certo, non posso non notare, nonostante i tagli, una disponibilità di risorse che, da queste parti, non si è mai vista neanche in tempi di vacche grasse (se ci sono mai state).
Così come non posso dimenticare che nell'era Fioroni il pur timido tentativo di redistribuzione di risorse per aumentare il tempo pieno al meridione fu bloccato dalla volontà di conservare il tempo pieno lì dov'era già diffuso o la proposta di concentrare i tagli al Sud perché "noi, al Nord, lavoriamo meglio".

Dunque niente di nuovo sotto il sole. L'ombrello leghista salverà (ovviamente in proporzione ai potenziali danni) i protettorati del Nord fino a che qui al Sud non rimarrà più nulla da smantellare. Poi però voglio vedere come se la caveranno con la storia della bagna cauda...

Maria Grazia Fiore - Bari

 Barbara Pianta Lopis    - 28-03-2010
Caro Geppino, condivido l'analisi generale che fai, ma credo che abbia lasciato da parte un'altra verità. Una verità scomoda, scoveniente, che fa male, che ci ferisce. Ciò che Diana scrive è un sentimento diffuso e non credo che abbia pretesa di essere una scientifica verità. Bensì uno sfogo, chissà forse una provocazione... Sicuramente lo specchio di una parte reale della scuola.
Che il sud sia tristemente lento in azione e/o reazione al disastro generale non è una novità, e sicuramente le cause profonde sono varie: da quelle storiche, a quelle culturali ed economiche.
Io che sono stata accolta in questa città dal nord, e che ho adottato Napoli come terra mia, soffro terribilmente nel vedere un atteggiamento spesso troppo diffuso di rassegnazione, omertà e lascia vivere.
E' come se ci fosse sempre una scusa per non occuparsi di qualcosa, per non creare conflitti, o per salvarguardare il proprio quieto vivere più o meno interessato. Vizii e peccati comuni al nord e al sud, ma che qui pesano il doppio proprio per la condizione storica e culturale di queste terre, che tu hai descritto in altre occasione così bene e di cui mi arricchisco ogni giorno.
Non voglio qui parlare delle mie esperienze personali, uguali a molte di tanti e tante, ma una riflessione che vada al di là di una semplice difesa o di una critica verso gli altri che non sanno vedere o cogliere le nostre realtà, sarebbe necessario, e non solo sulla scuola pubblica, a me molto cara.
Così divarichiamo le distanze e accentuiamo le differenze.
Facciamo il gioco delle politiche di turno, che vogliono dividerci e condannarci all'indifferenza. Anche una critica dura come quella di Diana, che ci ferisce amaramente, e che non è tutta la verità, dovrebbe almeno farci riflettere perchè intorno a noi regna troppo silenzio. (Quanti interventi dal sud vediamo su Retescuole? Eppure è un sito visitatissimo da tutta Italia! - Altro esempio napoli.forumscuole.it in questi ultimi mesi ha registrato un accesso di mille utenti al giorno, dimostrando una sensibilità alla tematica scuola notevole. Ciò nonostante non ha prodotto risultati concreti di iniziative sul territorio. Perchè?).
Un ultimo appunto, Retescuole non censura, non filtra gli interventi, è aperta: il fatto che ultimamente siano aumentati interventi a favore di certe teorie o politiche scolastiche senza che qualcuno abbia replicato sul sito è un'altro elemento che dovrebbe farci riflettere...
Con affetto
Barbara

 Emanuela    - 28-03-2010
Ci sono oasi felici nel deserto meridionale e dune sabbiose nella verdeggiante piana padana. Non c'è una questione locale”.
Parole chiare tanto quanto la realtà che tutti i giorni viviamo, nella scuola e non solo.
Gli esempi sarebbero impietosi anche nella laboriosa e onesta Lombardia. Ma il punto non è questo.
Il punto sta invece nella suddivisione geografica del bene e del male. La stessa per cui il ladro se è di Milano è solo un lader, se è di Casablanca l’è 'n maruchì. Salvo poi confondere territori e appartenenze, purchè il pregiudizio - o altro? - si salvi :)

 Forum Insegnanti    - 28-03-2010
Nel post di Diana (?) pubblicato su Retescuole e richiamato nell'articolo di Aragno, leggiamo alcune considerazioni in merito al recupero dell'insegnamento della Storia e della Geografia falcidiato nelle Indicazioni Nazionali prima da Moratti e successivamente da Fioroni. Prima di esprimere il nostro parere sul tono ed il contenuto complessivo di quello scritto, sul quale sono già intervenute opportunamente Patrizia, Cristina e Maria Grazia nei commenti all'ottimo articolo di Giuseppe Aragno, vorremmo richiamare l'attenzione sulla questione relativa alla difesa dei Programmi Nazionali, che in virtù del deleterio principio dell'autonomia sono stati spazzati via ed a poco servono le pezze provvisorie che in qualche sporadico caso sono state messe. Una battaglia culturale e politica deve proporsi orizzonti ampi, non può circoscriversi alla singola scuola o al territorio. Tempo fa noi insieme ad altre realtà associative lanciammo una campagna per la riconquista dei programmi nazionali e la difesa della libertà d'insegnamento, battendoci in particolare contro il "curricolo verticale" della storia colpevole della sottrazione del famoso millennio nel bagaglio culturale degli alunni delle elementari, e non nascondiamo che ci saremmo aspettati un sostegno più ampio e generalizzato da parte dei soggetti più attivi nel movimento della Scuola, che forse ci avrebbe consentito di essere più incisivi. Ma il "curricolo verticale" della storia, introdotto da Moratti e riproposto da Fioroni, allora piaceva a tanti.
Pensiamo che i pasdaran dell'autonomia, la quale non contraddice ma integra un sistema di stampo autoritario, presenti nel movimento dovrebbero recitare il mea culpa e prendere finalmente atto che l'autonomia ha prodotto la disgregazione del sistema d'istruzione nazionale con gli effetti che sono sotto gli occhi di tutti. Ma forse a Diana, e a quanti condividono il suo pensiero, in fondo sta anche bene così, interessati più al particulare che si illudono ancora di riuscire a salvare, che non a ciò che accade altrove, dove se la scuola sta peggio è colpa, secondo quanto afferma l'anonima redattrice, del modus vivendi e pensandi dei colleghi meridionali. Influenza leghista? Probabilmente sì, forse inconsapevole, ma il discorso è più ampio e lo affronta con acume Aragno trovando le radici di tali pregiudizi nella pretesa “egemonia emancipatrice” settentrionale che risale agli inizi del secolo scorso e nella storia risorgimentale.
Francamente ci chiediamo da chi provenga e a chi possa giovare l'intervento di Diana. Preferiamo pensare che si tratti di una provocazione o di un caso isolato nel movimento. Probabilmente Retescuole farebbe bene soprattutto per se stessa a fugare ogni dubbio sul proprio coinvolgimento nelle discussioni citate da Diana, con un comunicato chiarificatore ed una presa di distanza.
Forte di un "serio" sondaggio di stile "berlusconiano" che scopre l' "acqua calda" dell'esistenza del divario Nord-Sud e conferisce la medaglietta di "eroi salva-Scuola" agli insegnanti settentrionali (ma non ci sono tra loro tanti emigrati dal Sud?), Diana cita anche noi, invitando quella che in fin dei conti è per lei la plebe degli insulsi insegnanti meridionali a darsi una mossa, a partecipare al movimento in difesa della Scuola pubblica, a raccordarsi anche con gli altri gradi di scuola attraverso Retescuole e Foruminsegnanti, alle altre numerose realtà associative. Noi invitiamo Diana a venirci a trovare, invece di rimanere all'ombra di un nickname, così magari si potrà discutere un po' e chissà che non abbia modo di conoscere meglio una realtà di cui parla senza un'adeguata cognizione di causa e a liberarsi dai suoi pesanti pregiudizi.
Ci sia consentita una riflessione finale: tra tutti i movimenti forse quello più deludente è stato il nostro, quello della Scuola. Non tanto quello dei precari, che in questo anno hanno lottato per tutti, quanto quello degli insegnanti di ruolo e dei genitori. Quest'ultimo, partito sei anni fa con una poderosa lotta contro la Moratti, ha ristretto sempre più i suoi orizzonti, man mano che cresceva la necessità di allargarli: ha mancato con qualche eccezione all'appuntamento col poderoso movimento dell'Onda che all'epoca unificava Università e Scuola, non ha sostenuto in modo adeguato il combattivo movimento dei precari appollaiati sui tetti con modalità simili a quelle dei lavoratori licenziati per la cosiddetta crisi, non è stato neanche in grado di contrastare il disegno Aprea e di ingaggiare una lotta frontale e decisa contro il ministro Gelmini e Brunetta. Certamente è stata colpa di tutti noi, che non abbiamo fatto abbastanza. Sicuramente non ci siamo resi conto che il disegno di disintegrazione della Scuola e dell’Università pubbliche è omogeneo ai progetti europei e pensare di sconfiggerli scuola per scuola, è veramente vano. Come faremo in tal modo a fronteggiare l’onda d’urto dello tsunami Aprea?
Tutto ciò è stato doloroso e fonte di grande delusione. Ma non bisogna scoraggiarsi. In ogni caso, conferma ancora più che il problema della Scuola pubblica può essere risolto solo se la spinta verrà da tutti i lavoratori e da quella società che si vuole gettare nelle tenebre dell'ignoranza. Inoltre, potremo vincere solo se non permetteremo che ci dividano tra Nord e Sud, tra etnie superiori ed inferiori, tra eccellenti e fannulloni, solo se capiremo gli uni i motivi degli altri, se faremo della nostra lotta un'unica battaglia per un mondo davvero democratico, nel quale a tutti sia consentito di agire con serenità per il proprio futuro, per un mondo dove non ci sia spazio per chi pretende di schiacciare gli altri in nome di presunti meriti.

Il Forum Insegnanti

 Nellisa    - 29-03-2010
Sono una docente meridionale, mi inserisco, raccontando un fatto non troppo lontano nel tempo, con il quale forse devio un po', forse, invece, centro appieno il problema.
Nel mese di dicembre è stato inserito nella mia classe un nuovo alunno proveniente dal nord, da quello stesso nord di cui parla Diana.
In un tema, svolto dopo un mese dall' inserimento in classe del nuovo alunno, egli scrive l' esperienza da lui vissuta nella scuola del nord che ha abbandonato.
In breve, nell'elaborato egli raccontava il modo discriminante con cui veniva trattato dai compagni, fin qui niente di nuovo, vogliamo far finta di non sapere dei pregiudizi verso i meridionali?
La parte dello svolgimento che mi ha colpita, però, è stata quella in cui l'alunno raccontava che anche gli insegnanti lo discriminavano, dicendogli: "Zitto tu, sei terrone!"
Non voglio entrare in polemiche fini a se stesse, rimando ai lettori la chiave di lettura e l'attinenza con quanto è presente nel topic.
Non posso non condividere, ovviamente, l'analisi puntuale di Giuseppe Aragno e quella del Forum Insegnanti.