Non vinceremo subito
Giuseppe Aragno - 15-03-2010
"Chiamare le cose col loro nome vero è il primo gesto rivoluzionario", affermava Rosa Luxemburg. Non prenderemo il Palazzo d'inverno, ma non ci farà male. "Il Manifesto" del 12 annunciava una mobilitazione a base di raccolta firme e rotoli di carta igienica. Anche questo va bene se altro non c'è: rotoli e carta igienica. Tuttavia, dietro l'enfasi rituale - prosa brillante, lustrini e paillettes - c'è la sinistra all'angolo, appesa al carro di una nebulosa. La "società civile", dicono gli ottimisti. Lo slogan è efficace, c'è la piazza in armi, un po' di folclore che peccato non è e la fede illuministica nelle virtù della "ragione". Senza intenti polemici, però, l'elemento di fondo ha un nome vero: si chiama scollamento e ci separa dalla realtà di un paese che annaspa, mentre sul fronte opposto un governo reazionario sa fare il suo mestiere: alzo zero e fuoco a volontà.
Sarà difetto di memoria, o il difetto riguarda forse gli strumenti d'analisi, sta di fatto che anni fa volemmo l'Italia arcobaleno; manterremo la pace, ci dicemmo, ma navi e soldati andarono in guerra. Se il vento consente, accendiamo candele per la legalità ma la luce non basta e il paese è più marcio; in difesa della libertà ci mettiamo ogni tanto in viola, ma il gregge parlamentare fa come i fascisti: se ne frega e passano in serie leggi liberticide. Ecco allora le firme sui rotoli di carta igienica. Per carità, ognuno a suo modo e, d'altra parte, è segno che ci siamo. In quanto a me, sono vecchio lo so e, più il tempo passa, più questo mondo non mi sembra il mio. Prendetela perciò come un sintomo di senilità e lasciatemelo dire: avanti così, col folclore e le "pensate" illuminate, i conti non li quadriamo. I precari della scuola urlano dai tetti occupati: non ci stanno, non cedono, e sfidano un governo che schiera manganelli contro i lavoratori e altro non fa. Questo andazzo sa di Cile, hanno gridato, e induce alla sommossa. Il loro nemico, però, non è solo l'avvocato Gelmini. I precari sono un dito puntato anche contro docenti di ruolo e genitori più o meno organizzati. Gente che sui tetti non va perché è impegnata coi nodi ai fazzoletti, con le candele accese e con la carta igienica.
C'è un mare di sofferenza, i diritti sono violati, milioni di lavoratori ridotti alla fame. Si fanno leggi che offendono le coscienze, ma per buona sorte c'è un vento che sa di tempesta. Mettiamolo in piazza questo vento. Agiamo dal basso e di concerto. La lotta dei precari della scuola sia quella di chi non ha e non avrà lavoro, dei cassintegrati e dei licenziati, dei commessi che lavorano 24 ore su 24, degli studenti ai quali tolgono scuola e università. Mettiamo tutto questo in piazza senza paura, facciamolo, poi tiriamo le somme. Quante volte si è detto? Ma non c'è stato verso. In piazza c'era l'Onda degli studenti, Gelmini tremava, ma insegnanti e genitori stavano a guardare. Sarebbe bastato affiancarli per aprire la breccia. E invece no. Ognuno per la sua strada e dio per tutti.
Lo dico chiaro, ché male non ci fa: non si può fare una lotta solo per la scuola. E se tutto si riduce a questo, la partita è persa. La battaglia è contro un disegno politico che, con gelida ferocia, colpisce la scuola statale in quanto fucina di pensiero critico, archivio vivente della memoria storica e presidio di democrazia, per colpire diritti e lavoratori. Ragionare per "compartimenti" - protestano i precari, protestano gli immigrati, oggi in piazza c'è la "No tav", domani il "Comitato acqua", poi Termini Imerese, poi "Libera", ognuno col suo dramma - ci condanna. Stiamo assieme, cittadini, genitori e lavoratori. La nostra è la lotta degli operai licenziati, degli immigrati massacrati nel Mediterraneo o internati in campi di concentramento, la lotta della civiltà contro la barbarie. C'è qualcosa che sa di un nostro antico male, che ricorda Guicciardini e il "particulare" in questo andar da soli. Qualcosa che sa di calcolo di bottega. O gli insegnanti e i genitori diventano il collante tra le realtà in lotta per costruire modi e tempi d'una vertenza globale e permanente o la partita tra civiltà e barbarie è persa. E senza appello.
Ci sono momenti della storia in cui l'estremismo cammina alla rovescia, viene dall'alto, dalle istituzioni, nasce dal potere, da un ceto dirigente deciso a perpetuare se stesso. Sono i momenti in cui è necessario e legittimo reagire e chi davvero vuole aprire la gabbia non pensa a salvarsi da solo. Siamo pochi, è vero. Ma vero è anche che la scuola assediata non ha scelta: è chiamata a una lotta che va oltre il suo orizzonte. Sul Parlamento non c'è da sperare. Il Parlamento non c'è, non esiste; ci sono cricche di cooptati, camarille di vassalli che gestiscono il voto in nome e per conto di chi li ha messi a sedere nell'aula stavolta sorda e grigia. Veline, buffoni o scienziati conta poco. Sono "nominati". Arfè, che la morte ha sottratto all'estremo oltraggio, l'aveva intuito prontamente: qui è la questione di fondo, ineludibile e decisiva: il rapporto tra governanti e governati, coi governanti che si mettono fuori dalla legge. Il problema cruciale della legittimità di norme sancite da organismi illegalmente costituiti e, quindi, della difficile scelta tra dovere di rifiutarsi e diritto di ribellarsi. Sui modi concreti del rifiuto e sulla sua natura - obiezione pacifica che si appelli alla coscienza, o ricorso alla forza che raccolga la sfida d'un regime e lotti con ogni mezzo per abbatterlo - su questo si potrà poi riflettere e scegliere la via. Intanto occorre prendere atto: la legalità repubblicana è violata. Il governo è figlio di una legge elettorale che ha sottratto al popolo la sovranità e ha cancellate il Parlamento dalla vita politica del Paese.
Talvolta il destino si mostra chiaro alla coscienza di un popolo e gli offre una chance. Potremo far finta di non vedere, ma occorre saperlo: avremo la storia che sapremo costruirci.
Pugnalata alle spalle, la democrazia è in stato comatoso e occorre reagire. Alle leggi ingiuste, ai provvedimenti "pensati" per colpire i deboli, si oppone il rifiuto, si fa appello alla coscienza e si disobbedisce, come ha fatto il Consiglio di Circolo della Direzione Didattica di via Bandiera a Parma. Dovremmo farlo tutti. L'obiezione potrebbe essere la via giusta, ma occorre aggregare le realtà in lotta, costruire la via dello scontro mettendo assieme avvocati e giuristi, far quadrato attorno alle regole come soldati sull'ultima spiaggia, saper dire di no, tenendosi nei binari della legalità e, allo stesso tempo, ammonire: "siamo pronti a lottare". E' possibile farlo, milita nella nostra parte una certezza che nasce da immutabili leggi della storia e, si può esser certi, è accaduto e accadrà: non vinceremo in un giorno, ma vinceremo.
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 Gemma Gentile    - 23-03-2010
In una situazione tanto drammatica piena di risvolti oscuri sul prossimo futuro, è sempre più importante e prezioso leggere pagine di approfondimento critico, come questo articolo di Giuseppe Aragno, sullo iato tra necessità di risposta forte per sconfiggere il disegno che sta devastando nel profondo il nostro mondo e l'inadeguatezza delle risposte che, quando si danno, non riescono quasi sempre a superare i limiti contingenti da cui partono.
C'è un'enorme ricchezza di movimenti di opposizione nel Paese, ma essi non riescono a superare i limiti delle loro realtà per diventare un tutto unico. Un momento magico, quale il No B Day, è rimasto irripetibile e come bloccato in quell'istante.

Nella lotta per la difesa della scuola pubblica, dobbiamo ammetterlo, non siamo riusciti a costruire un movimento compatto e stabile, commisurato al grave attacco, insieme ai precari, agli studenti medi e a quelli universitari e ai ricercatori che, nelle loro lotte, sono spesso rimasti isolati e schiacciati. Non siamo usciti dallo steccato in cui ci trovavamo. Non siamo stati neanche in grado di contrastare il disegno Aprea e di ingaggiare una lotta frontale e decisa contro il ministro Gelmini e Brunetta.
Non abbiamo capito nella scuola che da soli non si vince. Quella della Scuola deve essere battaglia di tutti e, al contempo, deve diventare lotta per la Costituzione, lotta per i diritti democratici e dei lavoratori, lotta per una società giusta in cui non ci sia spazio per il razzismo, l'emarginazione, dove ci sia solidarietà e agire comune, dove si possa pensare al futuro come un mondo migliore e più felice. Abbiamo volato basso. Che scuola è quella che non è più in grado di guardare oltre il proprio orizzonte, oltre la mera realtà?

Il problema della Scuola pubblica può essere affrontato e risolto solo se la spinta verrà da tutti i lavoratori e da quella società che si vuole gettare nelle tenebre dell'ignoranza.
L'esperienza è stata dolorosa e fonte di grande delusione. Guai però a scoraggiarsi! E' in gioco la democrazia e abbiamo il dovere di resistere, come Giuseppe Aragno ha espresso con parole più belle ed efficaci delle mie confuse righe.