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Memorie di un insegnate, ventisette.
Aldo Ettore Quagliozzi
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Non ha proprio bisogno di presentazione alcuna né tanto meno di lungo commento la prosa di Gaetano Salvemini tratta dal suo scritto “Le condizioni economiche degli insegnanti“.
A rileggerne ed a discorrerne a tanta distanza di tempo rimane la dolorosa scoperta che per nulla è cambiata la condizione sociale ed economica dell’insegnante della scuola pubblica italiana, ma soprattutto frustra ancor più la riscoperta, se ce ne fosse stato bisogno, della scarsissima considerazione sociale che la figura dell’insegnate ha sempre avuto presso gli amministratori di turno, ma ahimé, soprattutto presso la più vasta società civile.
Una non-considerazione sociale che si è trasmessa inalterata nel tempo e sotto tutte le rappresentanze politiche che hanno attraversato il Bel Paese.
“( … ) Un insegnante, che non si sprofondi in temi letterari, artistici o filosofici, ma si occupi di stipendi, di pensioni, di sessenni, urta -sarebbe vano dissimularcelo- contro le abitudini intellettuali di molte, di troppe persone. Per il grosso pubblico, che non vive nella scuola, l'insegnante non é un uomo, che mangia, dorme e veste panni: è un essere astratto, indipendente dalle leggi fisiologiche della nutrizione, collocato in un mondo ideale, dove non ha bisogni, non ha preoccupazioni, non ha dolori e si nutre solo di bacche d'alloro e di cipresso. E quando quell'essere convenzionale scende dai cieli azzurri, dove non avrebbe da far altro che disputar lo spazio agli angeli e ai passerotti, e rivela le miserie e le ingiustizie di cui è vittima, ed afferma che prima di essere insegnante egli è uomo, i più si scandalizzano e gli gridano in tono di rimprovero: "pensate all'ideale, non di solo pane vive l'uomo." Certo l'ideale è un buon viatico per le lotte della vita, e noi ne abbiamo: ne abbiamo anche troppo; ma questo non vuoi dire che il giusto, il necessario miglioramento delle nostre condizioni materiali non debba essere oggetto delle nostre preoccupazioni e delle nostre cure! Non di solo pane vive l'uomo; ma prima di tutto vive di pane!
Un professore, dopo aver fatto otto anni di studi secondari e quattro di studi universitari, che coi nuovi regolamenti diventeranno cinque, deve aspettare ancora non pochi anni prima di essere ammesso all'insegnamento. Salvo rare eccezioni privilegiate, la massima parte comincia la dolorosa via crucis della carriera nelle scuole inferiori, con lo stipendio iniziale di L. 1800 e col grado di reggente, per non parlare degl'incaricati che stanno anche peggio e dei quali parleremo in seguito. io, che pur sono stato fra i più fortunati, ho cominciato il mio insegnamento in Palermo nel 1895, con lo stipendio di L.1800 e insegnando per 18 ore settimanali nella seconda classe del ginnasio. Durante il primo anno dovevo rilasciare sullo stipendio il 25% di ritenuta straordinaria, e così la mia remunerazione mensile si riduceva a L. 116. Ne spendevo 30 per la stanza, non essendomi lecito andare a dormire in una stalla come il divin redentore; 75 lire erano assorbite da una pensione - ahimè - troppo inferiore al formidabile appetito dei miei 22 anni; dieci centesimi di latte per la colazione mattutina, prima delle 3 ore di lezione, mi portavano via tre lire al mese; il giornale (L.1,50 al mese) e la lavandaia mi ipotecavano altre 5 lire mensili. Mi rimanevano dunque tre lire mensili per acquistar carta da scrivere, francobolli, libri, per vestirmi, calzarmi, curarmi in caso di malattia, ritornare a casa per le vacanze. Ed io, che avevo lavorato accanitamente negli anni più belli della mia vita per conquistarmi questa terra promessa dell'insegnamento, e speravo, di compensare la mia famiglia di tutti i sacrifizi che aveva fatti per me, io - il signor professore! - dovetti scrivere ancora ai miei per essere soccorso; e feci anche dei debiti!
Quando si è giovani, questi malanni non sembrano mai pesanti abbastanza; ma trascorrono gli anni con rapidità vertiginosa e si portano via le illusioni e le speranze; e sopravviene invece la famiglia, sopravvengono i figli. Già, sopravvengono la famiglia e i figli; perché i professori non possono certo, in nome della pedagogia e del bilancio dello Stato, essere condannati al celibato perpetuo o assoggettati alla operazione di Origene! Crescono dunque gli anni e i figli; ma gli stipendi son sempre, più o meno, gli stipendi miserabili di prima. Un professore di ginnasio inferiore e di scuola tecnica dalle 1.800 lire annue sale alle 2.000, alle 2.200, alle 2.400, alle 2.700: e qui si ferma; ma per arrivare a questa invidiabile cuccagna, ha dovuto consumare 38 anni, dico 38 anni di servizio... almeno. Un professore di ginnasio superiore sale da L. 2.000 a L. 2.800 dopo 36 anni di lavoro. Il professore di liceo deve veder trascorrere sulle sue misere spalle 38 anni per salire penosamente da L. 2.200 al massimo di 3.000 lire!
E questi costituiscono l'aristocrazia delle scuole secondarie; ma al disotto di questa c'è nelle scuole il vero proletariato dei pezzenti, immersi in una miseria tanto più squallida quanto più è obbligata a dissimularsi sotto false parvenze di agiatezza e di decoro. Gli insegnanti di disegno nelle scuole normali sono retribuiti con L. 1.500 annue senza speranza di carriera. I professori di scienze naturali nei ginnasi staccati dai licei, sono, benché forniti di laurea e sottoposti alla prova del concorso, condannati in perpetuo da un R. Decreto del 16 agosto 1900 al grado d'incaricato e allo stipendio invariabile di L. 113 mensili. Le insegnanti di francese nelle scuole complementari hanno uno stipendio di L. 800 annue per tutta la vita, e sono anch'esse sbalzate di qua e di là secondo le esigenze del servizio. E' lecito al governo di un paese, che dovrebbe voler essere rispettabile, esporre tante donne ai pericoli e alle tentazioni della miseria in paesi sconosciuti? Moltissimi maestri di ginnastica son pagati con L. 500 annue, e abbiam dovuto assistere noi, che ci pretendiamo civili, alla tragedia di una maestra di ginnastica, la Elvira De Sanctis di Napoli, che si uccise perché non riusciva a sfamare col suo stipendio di impiegata governativa le sue quattro creature.
Cinquant'anni fa questi stipendi non erano certamente un gran lusso, ma si potevano fino ad un certo punto giustificare. Allora i bisogni erano più limitati, il valore del denaro era più alto e perciò era minore il costo della vita. Inoltre nei primi anni del risorgimento nazionale, quando in fretta e in furia furono gettate le basi dei nostri ordinamenti scolastici, gl'insegnamenti furono molto spesso affidati o a reduci dalle patrie battaglie, che avevano già la pensione militare, oppure a preti più o meno liberali, che ricavavano un reddito supplementare anche dalla loro professione ecclesiastica. Oggi, invece, ai veterani delle patrie battaglie si sono sostituiti i preparatori di altre non meno importanti battaglie future, e ai preti senza figli... legittimi son succeduti i professori con moglie e figli. Si aggiunga ancora che cinquant'anni fa gl'insegnanti erano pochi, e i giovani, che sentivano il bisogno di lezioni private, si rivolgevano in generale agli insegnanti delle scuole governative, mentre oggi gli insegnanti non governativi, numerosissimi, fanno una vivissima concorrenza ai governativi; inoltre nei tempi andati l'insegnante era l'amico delle famiglie dei suoi alunni, le quali, senza secondi fini e perché così voleva la vecchia patriarcale consuetudine, si facevano un dovere di compensare con regali le cure che il maestro aveva per i suoi alunni, ed aggiungevano così, senza che ne essi ne gli insegnanti ne avessero coscienza, un supplemento in derrate allo scarso stipendio in denaro. Ma dopo che la licenza liceale è diventata per sventura della nazione il titolo necessario per entrare in qualsiasi impiego, il maestro ha aggiunto alla vecchia qualità di educatore quella di giudice: egli oramai, concedendo o negando la promozione e la licenza, assolve e condanna per tutta la vita come un magistrato giudicante. I doni, quindi, nella intenzione delle famiglie si sono trasformati a poco a poco in armi spesso sfacciate di corruzione che è dovere in tutti i casi respingere, e non di rado sotto l'offerta di una lezione privata si dissimula un invito immorale, che la coscienza e l'onore ci impongono di rifiutare. Ed ecco delle fonti di reddito una volta notevolissime, che si sono andate via via esaurendo, almeno per tutti coloro - e sono per fortuna ormai la maggioranza - che hanno raggiunto la piena consapevolezza dei loro doveri e della loro dignità.
La condizione misera e disagiata degli insegnanti è, poi, inasprita e resa addirittura intollerabile da una congerie di irregolarità, di arbitri, di abusi, di soprusi, d'ingiustizie, che, aggiunte al fondamentale disagio economico, acuiscono il malcontento e l'hanno ormai portato a tal punto, che un rimedio radicale e definitivo è diventato una urgentissima necessità.
Si comincia anzitutto con la piaga dolorosa degl'incaricati e dei comandati. L 'aumento costante della popolazione scolastica rende necessario lo sdoppiamento e il triplicamento di molte classi ordinarie; ma poiché i ruoli organici sono immutabili e corrispondono a un numero di scuole molto inferiore all'attuale, così il Ministero, non potendo provvedere ai bisogni crescenti col personale di ruolo, deve assumere in servizio, col titolo d'incaricati, tutte le persone occorrenti. Inoltre i ministri non di rado, premuti dai troppi aspiranti e sospinti dai troppo potenti protettori, non osando introdurre nei ruoli persone senza concorso e magari senza alcun titolo accademico o didattico, le relegano per favorirle in qualche modo nel limbo dell'incarico. E poiché nelle classi aggiunte dei grandi istituti non si possono mandare dei novellini, così vi si destinano come comandati i professori di ruolo degli istituti minori, e in questi si mandano dei comandati da altri istituti, e questi altri posti si coprono anche essi alla lor volta con altri comandati o incaricati. Si forma così un circolo vizioso e fraudolento, che nessuna legge autorizza, ma in grazia del quale è lecito al Ministero fare sensibili economie a danno di molti insegnanti, messi in una umiliante e dolorosa condizione di fronte ai loro colleghi di ruolo, e condannati a vivere una triste vita di ansie ad ogni fine d'anno, mentre attendono il nuovo decreto che li confermi nell'incarico o nel comando, e largisca ancora per un anno l'incerto pane alla spaurita famiglia. E quando finalmente la conferma agognata arriva, credete che si riscuota subito lo stipendio? oibò, spesso passano due, tre, cinque mesi, prima che quelle sciagurate poche lire mensili trovino la via per arrivare da Roma alle affamate province. Ora tutto questo è illegale, è immorale! La classe degl'incaricati e dei comandati deve sparire, e i ruoli devono essere proporzionati ai crescenti bisogni dell'insegnamento. È ingiusto tenere degli infelici per anni ed anni in una condizione così dolorosa ed umiliante: se quest'incaricati sono idonei al loro ufficio, si mettano in condizione stabile; se non sono idonei, si mandino pure via; ma soprattutto non si faccia mai alcuna nomina senza concorso e per illecite inframettenze parlamentari.
Finalmente dopo la dolorosa aspettazione, che per alcuni infelici dura per quattro, cinque, dieci anni, l'incaricato è ammesso nei ruoli: dignus est intrari; diventa reggente. Ed eccoci alla seconda lunghissima stazione! In nessun impiego esiste la reggenza, ma per le scuole essa si giustifica con la considerazione che è un periodo di prova, durante il quale lo Stato vuole sincerarsi dell'attitudine didattica dell'insegnante. E sia! ma la prova deve avere dei limiti di tempo: un anno, due anni, tre anni al massimo. Invece la reggenza non dura quasi mai per tre anni, sale per i più a cinque o sei anni, tocca non di rado i dieci anni. A furia di provarlo questo povero insegnante, il governo finisce per consumarlo!
Saltata la siepe della reggenza, si arriva alla titolarità, la quale rappresenta sulla reggenza il lautissimo guadagno di lire 200 annue! E incominciano allora le promozioni di classe, lente, lente, lente come l'eternità: 32 anni, 36 anni, per vedere aumentare lo stipendio iniziale di 840 0 di 890 lire! E vengono anche i sessenni, che per gli altri impiegati cominciano a decorrere al principio della carriera, e per gli insegnanti cominciano a decorrere dopo la titolarità. Ma anche su questi il Ministero ha trovato modo di fare economia: cerca di far coincidere il sessennio con la promozione di classe, magari dando generosamente la promozione per merito; e così la promozione per merito assorbe il sessennio, e l'insegnante si avvede che il suo merito gli ha fruttato un paio di centinaia di lire di danno! Sono piccole taccagnerie usuraie, punto dignitose per chi le compie e fonti di torvo scontento per il disgraziato che n'è vittima.
Dopo tanti anni di lavoro, di ansie, di pene, l'insegnante, stanco dalla lunga via, avrebbe ben diritto al riposo. Ma in Italia per gl'insegnanti non esistono limiti di età: e così si vedono professori decrepiti trascinarsi a stento alla scuola, salire quasi boccheggianti sulla cattedra, dare di se agli alunni lacrimevole e non sempre onorato spettacolo. Perché non chiedono il ritiro? Non lo chiedono perché esso significherebbe una diminuzione di stipendio; e lo stipendio è così magro, che ogni riduzione significa miseria! Finalmente, se la morte non è stata frattanto pietosa, quando non ne può proprio, proprio, proprio più, il disgraziato chiede la pensione; allora il Ministero, nell'atto di sbarazzarsi di quel cadavere, sente il dovere di premiarlo dei suoi lunghi servizi e lo fa nientemeno nominare cavaliere! Guardate invece all'Austria, che per molti ignoranti è sempre il covo delle barbarie e dell'oscurantismo: un'ordinanza imperiale del 9 dicembre 1866 assicura ad ogni impiegato, dopo dieci anni di servizio, una pensione pari al terzo dell'ultimo stipendio annuale: dopo 40 anni si ha diritto a una pensione eguale all'ultimo intero stipendio; ma una legge speciale del 9 aprile 1870 stabilisce che tre anni di servizio nell'insegnamento vanno valutati per quattro anni; perché il lavoro dell'insegnante richiede uno spreco di energia intellettuale e fisica non paragonabile con quello di qualunque altro pubblico funzionario.
( … ) Ma voi, si sentono dire gl'insegnanti, voi lavorate poco, e quindi , non potete chiedere gli stipendi eguali a quelli degli altri funzionari che hanno tutta la giornata legata all'ufficio. Compiute le vostre ore di lezione, al massimo tre al giorno, - e taluni non lavorano che sei o magari quattro ore per settimana! - siete liberi cittadini. Poi avete le vacanze di natale, di carnevale, di pasqua, poi le vacanze estive. Quale impiegato dello Stato ha tante comodità?
A queste considerazioni si può anzitutto rispondere che anche nei giorni di carnevale, di pasqua, di natale e nelle vacanze estive si mangia e si paga la pigione di casa. Dipende forse dalla volontà degli insegnanti se ci sono le vacanze, se i programmi di studio non chiedono a taluno di essi che sei ore settimanali di lavoro? Che cosa volete che faccia un professore quando abbia compiuto il lavoro che gli chiedete? deve fare il venditore di cerotti o l'accalappiacani per guadagnarsi da vivere? Il Governo tiene gli insegnanti ai suoi ordini per tutta la vita, li sbalza di qua e di là per le esigenze del servizio, impedisce che si procurino un'occupazione stabile fuori della scuola, perché nei paesi, dove la fortuna li sbalestra a caso e per un tempo spesso assai breve, non hanno relazioni di sorta, né a un laureando in filosofia si può consigliare che faccia il dentista o l'estirpatore di calli. Come devono risolvere, dunque, gli insegnanti il problema della vita?
E poi, pur ammettendo che di alcune categorie d'insegnanti si possano e si debbano aumentare le ore di lezione, non bisogna dimenticar mai che il lavoro del maestro non si può - per chi abbia lume di ragione - misurare a ore. Non avete mai pensato all'esaurimento, che produce un'ora di scuola davanti ad una scolaresca, a cui il maestro non può farsi amare e rispettare se non schiacciando sotto il peso della propria costante superiorità intellettuale e morale le birichinate non sempre innocenti, che la età farebbe insorgere ad ogni minuto? Per il professore non esiste solo il lavoro della scuola: egli ha i compiti da rivedere a casa, ha le lezioni da preparare giorno per giorno; oltre alla preparazione immediata, deve curare la preparazione lontana, deve seguire i progressi della scienza, comprar libri e riviste, allargare il suo sapere per distribuirlo poi in moneta spicciola agli scolari. Ma sapete voi quanto costi di lavoro prossimo o remoto ognuna di quelle undici o dodici ore settimanali, che voi paragonate con le otto ore giornaliere dell'impiegato che passa la giornata scrivendo lettere all'impiegato della stanza vicina, certificando, bollando, timbrando, numerando e protocollando?
È vero! ci si obbietta a questo punto dagli sfiduciati e dai fiacchi; voi avete mille volte ragione di chiedere che lo Stato vi assicuri una meno indecente condizione economica; è giusto che il vostro lavoro sia meglio rimunerato. Ma a soddisfare le vostre domande occorre un notevolissimo aumento nel bilancio della Pubblica Istruzione: si tratterebbe di accrescere la spesa subito di tre o quattro milioni annui, e negli anni successivi l'aumento dovrebbe andare gradatamente elevandosi fino a 6 o 7 milioni. Si fa presto a chiedere milioni, il difficile è ottenerli! E aver ragione di chiederli non basta: bisogna aver anche la forza necessaria per far prevalere la ragione in questa società, in cui ognuno non pensa che a sé e il più forte finisce sempre col prevalere sul più debole. Ora voi siete pochi: alcune migliaia, sperduti in una nazione di trenta milioni; chi vi aiuterà nella vostra conquista? chi si occupa di voi?
L'opinione pubblica - sarebbe follia illudersi - è indifferente a vostro riguardo: gli stessi padri di famiglia, che vi affidano i loro figli, non si curano affatto di voi. Alle famiglie, in questo triste periodo di lotta per l'esistenza, importa solo che i figli passino gli esami: studiando, se è possibile, ma passino a tutti i modi gli esami. Che importa ad esse se il professore è un uomo di genio o un arfasatto? Esse non distinguono che due categorie di professori: i buoni e i cattivi; buoni, quelli di manica larga; cattivi, gli altri. Il babbo non si occupa di quel che avviene a scuola, se non alla fine dell'anno, nei giorni degli scrutini e delle prove: allora la mammina non fa che annoiar tutti i santi colle novene e colle litanie, la sorella appena vede il pericolo della bocciatura si fa venir gl'isterismi, il babbo vuol la pace in famiglia e difende a spada tratta il poco intelligente rampollo. E guai se c'è di mezzo un deputato o un senatore o un elettore influente! Il professore cattivo e senza cuore viene sbalzato a 1.500 chilometri di distanza per ragioni di servizio. Vi è forse favorevole il Parlamento? I deputati e i senatori sono in tutt'altre faccende affaccendati, e non si preoccupano che di soddisfare le richieste dei gruppi sociali politicamente ed elettoralmente più forti, mentre voi siete pochi e deboli. Potete voi fare affidamento sulla buona volontà dei Ministri? I Ministri sono quel che è il Parlamento, come il Parlamento è fatto ad immagine e somiglianza del paese. Quale Ministro non sarebbe lieto di soddisfare i vostri desideri legando il suo nome a una riforma, che lo farebbe amare e benedire da voi tutti? Ma si tratta di chiedere quattrini, e quando si arriva ai quattrini le difficoltà sono enormi, e il Ministro non può fare miracoli, non può imporre ai colleghi e al Parlamento una grave spesa, di cui la opinione pubblica non sente l'assoluta necessità. Volete che un Ministro provochi una crisi politica sulla questione degl'insegnanti secondari? Sarebbe un atto donchisciottesco, in cui nessuno lo seguirebbe: egli perderebbe il portafoglio di ministro e voi continuereste a star male come prima. I Ministri, dunque, vi daranno belle parole, finché vi contenterete di comporre flebili giaculatorie e telegrammi apologetici; vi consiglieranno fra il lusco e il brusco ad occuparvi di questioni pedagogiche, le quali non costano nulla allo Stato, appena vedano che cominciate ad alzare un po' troppo la voce intorno alla questione economica; faranno gli occhiacci e minacceranno fulmini e dannazioni, quando vi vedano troppo intestati intorno a quelle brutte volgarità economiche, e specialmente se ardirete di proclamare che siete stanchi e non intendete sopportare ulteriori turlupinature. È inutile, dunque, farvi illusioni destinate ad essere smentite dai fatti. In chi volete sperare? ( … )“
settembre 2005
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