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Libri di viaggio
Mario Amato
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Nel 1978 dalle vetrine di tutte le librerie delle città italiane l’immagine dell’autoritratto di Egon Schiele guardava i passanti. Quella figura era riprodotta sulla copertina del libro di Joseph Roth “Il profeta muto”(1), romanzo che l’autore austriaco dedicò a Lev Trockij. Capita raramente che un grande scrittore abbia un clamoroso successo editoriale. Era già accaduto a Hermann Hesse, divenuto uno dei simboli della rivoluzione studentesca e della beat generation. L’apoteosi dello scrittore proveniente da una lontana provincia dell’impero austroungarico continuò con il racconto “La leggenda del santo bevitore”, che ha ispirato il film di Ermanno Olmi, il quale dichiarò che quel libro era vera poesia. Come tutte le grandi passioni, il trionfo di Roth si affievolì, nonostante tutti i suoi romanzi e racconti siano degni di lettura.
Il professor Claudio Magris, eccelso germanista, ha esaminato la letteratura di Joseph Roth segnalandone il polo ebraico e quello austro-ungarico. Del primo fa parte il meraviglioso romanzo “Giobbe. Storia di un uomo semplice” ed altri racconti, del secondo “La marcia di Radetzskj” e “La cripta dei cappuccini”.
Esiste anche un altro aspetto della letteratura di Roth che esula dai campi prima indicati e riguarda la sua attività di giornalista e di viaggiatore.
La casa editrice Adelphi ha pubblicato “Viaggio in Russia”(2) e “Le città bianche”(3).
Bisogna chiedersi se abbia ancora senso viaggiare nel mondo moderno, nel quale è possibile visitare città e perfino musei semplicemente premendo un tasto del computer.
Viaggiare era fino a pochi anni fa’ avventura, era scoprire luoghi, meravigliarsi, ascoltare idiomi diversi, incontrare nuovi amici, era veramente peregrinare nel senso antico del termine.
Oggi le agenzie di viaggio offrono divertimenti.
Come possiamo allora recuperare l’incanto dei posti che ci erano sconosciuti, l’ entusiasmo per il brusio di una lingua straniera?
La letteratura può soccorrerci, può nuovamente donare all’uomo moderno l’estasi della partenza e la trepidazione per quanto è ancora ignoto. Non si afferma forse che la letteratura in fondo racconta soltanto due tipi di storia, di coloro che tornano a casa e di coloro che lasciano la propria dimora?
La scrittrice inglese Vita Sackville-West afferma che scrivere impressioni di viaggio è un piacere per chi viaggia, ma è noioso per i lettori (4), ed è anche inutile, poiché quelle impressioni sono per chi le vive emozioni di un tempo particolare che sarà ormai trascorso nell’ora in cui un’altra persona le legge.
È difficile essere in accordo con la scrittrice inglese, poiché i libri di viaggio di grandi scrittori non si limitano alle descrizioni dei paesaggi visti, ma esplorano mondi diversi, spesso interiori, e possono essere di grande aiuto nella scoperta di aspetti sconosciuti di una città, di un paese o di un popolo.
Durante l’itinerario nelle città della Provenza, Joseph Roth scrive:
«Ma a Tournon il centro non c’era. Tournon era fatta di strade inestricabilmente intrecciate le une alle altre. Fui preso da un’angoscia terribile. Non sono giunto in una città straniera, pensavo. Sono finito in un secolo straniero. Voglio tornare nella mia epoca. E come a volte un banale luogo comune, negato e rifiutato alla critica raziocinante, può in un sogno confuso riempirsi di realtà, una realtà vera che incombe su di noi e minaccia di opprimerci, così ad un tratto l’espressione <> diventò pericolosamente viva e prese ad angosciarmi davvero»(5).
Questo passo suggerisce il pensiero che non si viaggia soltanto nello spazio, ma anche nel tempo.
Si viaggia nel tempo, non certo nel senso proposto dai libri e dai film di fantascienza, ma nel significato che indica anche Thomas Mann all’inizio de “La montagna incantata”, quando narra del viaggio di Hans Castorp alla volta del sanatorio di Davos-Dorf e rammenta che partire è lasciare una parte di sé stessi.
Il tempo di ognuno di noi è in genere fatto di problemi quotidiani e di abitudini, è il tempo del nostro lavoro, della nostra casa, dei nostri amici. Tutto ciò cambia allorché saliamo su un treno o ci imbarchiamo, perché siamo non solo in uno spazio diverso, ma pure in un tempo altro.
Portare un libro di viaggio, quando si parte, è consigliabile, perché possiamo confrontare le nostre impressioni con quelle di un grande letterato.
Leggiamo un altro passo di Roth, scritto forse dinanzi al castello di Le Baux:
«Ah, da queste parti bisognerebbe essere muti come la pietra e ricordare che questo castello fu un tempo il simbolo di un’epoca dell’umanità. I signori del castello – della stirpe degli Huges a quel che si dice – erano i più potenti della zona. Possedevano ottanta castelli e per tutta la giornata avevano un gran daffare con le guerre, gli assedi, e le piccole imboscate tese ai mercanti. Ma le loro bellissime donne restavano a casa, e in quell’epoca grandiosa l’ ”essere servizievoli” non aveva ancora un significato volgare, ma indicava al contrario una stimata qualità femminile. I trovatori, e cioè i colleghi dei nostri Minnesänger, probabilmente un poco più galanti e meno profondi di loro, erano attirati da ogni dove al castello di Le Baux. Ma a quell’epoca tutte le belle parole d’amore e l’intero seguito di concetti che si pongono al servizio dei sentimenti erano smaglianti e nuovi di zecca, sbocciati appena dalla bocca del popolo e non ancora sciupati dall’uso(6)».
Come non vedere, leggendo queste parole e per di più trovandosi in uno di quei castelli, uno di quei cantori d’amore nell’atto di srotolare lo scritto dove aveva inciso le parole della sua passione? Come non pensare a quanto la poesia europea deve ai trovatori provenzali? Come non avere reminiscenza di qualche ora scolastica in cui il professore spiegava la nascita della lirica del nostro continente o leggeva una di quelle poesie ed in essa riconoscevamo il nostro innamoramento adolescenziale.
I bei libri di viaggio sono grande letteratura e giacché tale stimolano la riflessione e la fantasia e la scrittura.
Il grande Joahnn Wolfgang Goethe avrebbe forse scritto le poesie intitolate “Elegie Romane” se non avesse visto con i suoi occhi la città che fu un tempo caput mundi? Uno dei versi goethiani più celebri è dedicato alla Sicilia: «Kennst du das Land wo die Zitronen blühen (Conosci la terra dove crescono i limoni). ». La poesia forse fu scritta ricordando la Sicilia, ma l’emozione era probabilmente ancora viva e nelle narici Goethe respirava ancora il profumo dei limoni e delle arance(7).
Vi sono tuttavia libri di viaggio che rivelano mondi inquietanti, come “Emigrante per diletto”(8) di Robert Louis Stevenson. Il narratore inglese è famoso soprattutto per “Lo strano caso del Dottor Jekyll e di M. Hyde” e fra i ragazzi per “L’isola del tesoro”. Egli intraprese un viaggio verso l’America e scrisse il suo resoconto: sulla nave incontrò viaggiatori che fuggivano dall’Europa con il loro bagaglio di disperazione e dolore. Giunto a New York salì su un treno alla volta del Mississippi. Gli Stati Uniti non gli apparvero come la terra promessa, bensì come un luogo pieno di contraddizioni ed inospitale. Certamente agiva in lui uno spirito inglese non propenso a considerare l’ex-colonia quale nuovo polo di civiltà, ma è pur vero che molti furono spinti verso il nuovo continente da miseria o da persecuzioni con speranze quanto mai incerte.
Non rifiutiamo i libri di viaggio, apriamoli e se li portiamo con noi seguiamo il consiglio di MargueriteYourcenare «Bisogna viaggiare con la devozione del pellegrino e la curiosità dello straniero».
Note
[1] 1) Roth, Joseph, Il profeta muto, Adelphi, Milano, 1978
[2] 2) Roth, Joseph, Viaggio in Russia, Adelphi, Milano, 1981
[3] 3) Roth, Joseph, Le città bianche, Adelphi, Milano, 1986
[4] 4) Sackville-West Vita, Diari di viaggio, Persia 1926-27, Milano, Garzanti 1992
[5] 5) Roth, Joseph, Le città bianche, pag. 46, op. cit.
[6] 6) Ivi, pag. 73
[7] 7) Goethe, Joahnn, Wolfgang, Viaggio in Italia, Mondadori, Milano, 1983 (ora negli Oscar 1993)
[8] 8) Stevenson, Robert, Louis, Emigrante per diletto, Torino, Einaudi
aprile 2005
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