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Memorie di un insegnante, venticinque.
Aldo Ettore Quagliozzi
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Dalla bella prosa di Andrea Maietti tratta dal suo lavoro “Eskimo blu“ emerge la solitudine propria dell’educatore, allorquando i fatti della “vita scolastica“ lo chiamano ad un giudizio che travalichi l’aspetto puramente tecnico di una arida valutazione di abilità e conoscenze acquisite.
E’ che nella quotidiana “vita scolastica“ non sembra poter esistere una linea netta di demarcazione tra l’insegnante esperto e tecnico delle discipline e l’insegnante-uomo-maestro, che si faccia carico dei problemi propri del navigare tormentoso delle giovani generazioni.
E l’aspirazione e l’impegno ad essere “insegnante-uomo-maestro“ predomina, per fortuna, nella stragrande maggioranza dei docenti della scuola pubblica italiana, per la qualcosa oggi la scuola si trova a dover affrontare crisi generazionali delle più complesse, nel quadro di una società in rapida trasformazione sotto tutti gli aspetti economici, di rapporti parentali, di organizzazione del lavoro, che si riflettono poi inevitabilmente sulla vita stessa delle famiglie e dei giovani con l’insorgere spesso di gravissime crisi motivazionali ed identitarie.
“( … ) Quando arrivò il turno della 4a B, Archimede, il vicepreside, si rimboccò le maniche: lo scrutinio prometteva tempi lunghi e chissà cos'altro. La complicazione per lui era che per la 4a B doveva fare da preside, essendovi pure docente di matematica e fisica. Il sole di mezzo giugno stava calando, ma davanti ai cancelli chiusi del "Gorini" un manipolo di studenti ancora alzava lo striscione di cui erano stati distribuiti centinaia di volantini: "Jimmy 6 libero!". Paolo si era costituito e stava da qualche giorno in una cella a San Vittore, in attesa del processo. Lo striscione voleva essere un monito a liberare Paolo dal carcere e a promuoverlo con un sei politico. Passò una gazzella della polizia, si fermò nei pressi degli studenti: "A casa, ragazzi, a casa", disse il brigadiere dal finestrino abbassato. I ragazzi non erano più di una decina: arrotolarono lo striscione e, masticando tra i denti "fascisti, schiavi" nei confronti dei poliziotti, si avviarono per la strada della stazione. Orwell era del gruppo e, all'arrivo della gazzella, aveva messo in tasca il suo inseparabile taccuino.
"Professor Raboni, possiamo cominciare?" disse Marilyn, che cominciava a spazientirsi. "Non caleremo le brache, perché quattro perdigiorno ci minacciano?" rincalzò la Pezzulli.
Aldo aveva fatto i calcoli: il consiglio di classe era formato, oltre che da lui e dal vicepreside, da Tex, Marilyn, Maria Goretti (così gli studenti avevano ribattezzato la Pezzulli), don Romeo, Miglio e Redefossi, delegato a sostituire il supplente di storia e filosofia, assente per indisposizione. Perché Paolo se la cavasse poteva contare sul voto a favore di Tex, don Romeo e Redefossi (per quanto su quest'ultimo non avrebbe giurato), mentre temeva che avrebbero votato contro la Pezzulli, Marilyn e Miglio. Tutto dipendeva dal voto di Archimede.
"Colleghi" disse il vicepreside "lasciamo per ultimo il caso Boriani". Gli altri alunni furono liquidati in poche battute. "Come mai la Vistarino è passata dall'otto del primo quadrimestre al sei del secondo, professor Ferrari?".
Tex fissò Aldo con intenzione. Aldo si meravigliò lui stesso di quel sei. Evidentemente non lui lo aveva scritto sul prospetto del prescrutinio, ma il suo Es più vigliacco.
"È un errore, mi scuso: resta otto" replicò, dopo aver finto di controllare il registro e non senza una vampata di rossore.
"La ragazza è calata, da quando si è messa con quel Jimmy" disse Miglio, aspirando a fondo la sua ennesima Marlboro, tra l'indice e il medio gialli di nicotina.
Era stato grande amico del professor Roboli, Miglio: la sua battuta anticipava senza possibilità di dubbio il suo voto contro.
"Ci siamo" disse finalmente Archimede: "Boriani è sufficiente soltanto in inglese ed educazione fisica. Chi si sente di alzare il proprio voto? Lei, professor Miglio, vedo che il suo è un cinque".
"E cinque resta" disse Miglio, con il suo sguardo fisso lontano, schiacciando il mozzicone della Marlboro sul portacenere che gli aveva portato Giuseppe.
"Gli altri voti sono tutti tre e quattro" sospirò Archimede. "È un caso delicato" aggiunse. "Chi è contrario alla bocciatura?".
Aldo alzò la mano: aveva preparato la sua arringa con grande cura:
"Ho controllato" disse. "Boriani, lo scorso anno, era più o meno in queste condizioni ed è stato rimandato in tre materie. Perché dovrebbe essere bocciato quest'anno?".
"Tu non c'eri lo scorso anno" lo interruppe Marilyn "qualcosa aveva fatto. Hai controllato che aveva cinque in scienze? Quest'anno è tre!".
"Lo stesso vale per le mie materie" l'appoggiò la Pezzulli. "Sentite colleghi" aggiunse "io non vorrei che ci accapigliassimo fino a mezzanotte. Per me le cose sono chiarissime. Due sole sufficienze, con tutto il rispetto per l'educazione fisica che non è una materia di studio e con la considerazione che per il collega Ferrari non esiste l'insufficienza".
"Potevate dirmelo che la mia materia non conta nulla" disse Tex, senza alzare la voce, come fosse assorto dietro altri pensieri "sarei rimasto volentieri coi miei cavalli".
Aldo non aveva bisogno che di quel fiammifero della Pezzulli.
"Mi spiace" disse "che qualche collega pensi che io sia per il sei politico. Qui il problema è un altro. Bocciare un ragazzo che sta vivendo un momento drammatico della sua giovane vita, proprio adesso che ha preso la decisione più coraggiosa".
Aldo continuò per qualche minuto rimarcando che la scuola non poteva più permettersi valutazioni avulse dal retroterra politico-sociale di quegli anni di grande confusione e sofferenza per tutto il mondo, non solo per quello della scuola.
"Colleghi" concluse "io non sono dalla parte di quegli studenti appena allontanati dalla polizia. Io soffro come tutti voi la mia condizione di "disintegrato": bocciando Boriani lo sarei ancora di più".
"Io mi sentirei disintegrata soltanto se si promuovessero alunni come Boriani" disse la Pezzulli.
Nel calore della battuta si slacciò il bottone della camicetta di seta rosa, il primo in alto. Tex aveva ragione: Maria Goretti doveva nascondere seduzioni da far invidia a Marilyn.
"Disintegrati o no" disse quest'ultima "il nostro compito è quello di giudicare competenze tecniche, non di rubare il mestiere ai sociologi. Era così prima, e non sono cambiate le cose semplicemente perché abbiamo ingoiato quell'intruglio dei Decreti Delegati".
"Se permettete, le cose sono cambiate, eccome" ribatté Archimede, grande utopista della partecipazione.
Si alzò e andò alla lavagna che aveva alle spalle. "Prima" scrisse: "scuola = preside-docenti-alunni (e Archimede scrisse i nomi a scalare di fianco a una piramide). Ora: scuola = alunni-genitori-docenti-Consiglio d'Istituto", (e scrisse stavolta i nomi intorno a un cerchio tracciato in un solo tratto, come Giotto). Poi si pulì le mani sporche di gesso contro la camiciola blu e tornò a sedersi al suo posto.
"Questo non significa" chiarì "promuovere o bocciare Boriani. Semplicemente bisogna giudicare tenendo conto della globalità della questione".
Aldo stava già assaporando il decisivo voto favorevole, quando Archimede aggiunse:
"Sono venuto qui oggi, dopo aver pensato molto al caso Boriani. Tutto considerato, professor Ferrari, personalmente trovo che la non bocciatura sarebbe un cedimento ingiustificato alla pressione della parte più estremista e irresponsabile degli studenti".
Aldo si sentì perduto. Lo sollevò Redefossi.
"Sono qui nella posizione ingrata del delegato: non conosco personalmente l'alunno e devo comunicarvi che il supplente non deve averlo mai interrogato, perché non ci sono voti sul registro per l'alunno Boriani. In questo caso io sono per l'adagio latino: in dubio pro reo".
"Io il ragazzo credo di conoscerlo" disse don Romeo "e conosco anche la povera donna di sua madre. Condivido la posizione del professor Ferrari". E guardò Aldo, con vaga complicità, come dicesse: il prete dovevi fare.
Bussarono alla porta. Era Giuseppe con i caffè. "Prendiamoci 'sto caffè finché è caldo" disse Tex. Mancava soltanto il suo voto per stabilire una parità di quattro a quattro. La patata sarebbe allora tornata nelle mani di Archimede, cui il pareggio dei voti poteva anche suggerire di dissentire dal se stesso docente. Marilyn e la Pezzulli si alzarono un poco indispettite per l'interruzione. Miglio uscì a fumare in corridoio. Don Romeo si mise a dissertare con Redefossi sulla contraddizione di un prete che, dopo aver chiuso in chiesa il vangelo che ammonisce di "non giudicare", viene poi a scuola e gli si chiede di condannare.
Giuseppe prese in disparte Aldo: "C'è giù in guardiola la Vistarino" gli bisbigliò "vedesse che faccia. Non me la sono sentita di cacciarla. Vuole parlare con lei".
Silvia era pallida, gli occhi cerchiati. Portava una maglietta casual e jeans non firmati. Aldo la trovò più bella che mai. "Paolo?" le chiese. "Sono io che lo chiedo a lei". "Non lo so, stiamo discutendo. Mi stai chiedendo di tradire il segreto d'ufficio?". "Sì". "Non posso". "Paolo l'ha tradito il suo segreto, ed è in galera".
Aldo non aveva più argomenti. Silvia lo scavava con la forza dei suoi diciotto anni vibranti la sua grande romantica passione. Era una ninfa assai più seducente della Silvia innamorata del professor Ferrari. Aldo sapeva che quella nuova ninfa non avrebbe più danzato per lui e ne fu sollevato. Non trovava comunque parole.
"Ho capito, mi sono illusa a venire" disse Silvia, "ma almeno lei, come voterà?".
"Tu lo sai bene" disse Aldo, dopo qualche istante. Si pentì subito di aver ceduto.
"Tu sei bravo con le parole, prof. Provaci a convincere gli altri, provaci" disse Silvia. Stava per perdere il controllo: "Ti odierò se non ce la farai", aggiunse, correndo via.
Aldo non sapeva risolversi a tornare in aula. Giuseppe gli mise una mano sulla spalla: "Le dirò una cosa, professore. Il preside Roboli non boccerebbe Boriani".
Erano tutti seduti, impazienti, quando Aldo rientrò e riprese il suo posto. "Allora, professore" disse Archimede, rivolto a Tex "manca solo lei".
Marilyn e la Pezzulli confabulavano fra loro, rassegnate alla seconda ripresa: sopra il condominio di fronte sul viale dei liquidambar era spuntata la luna piena di mezzo giugno. Giuseppe aveva acceso le luci nell'aula e nel corridoio.
"No" disse Tex. Tutti presi in contropiede. Aldo riuscì persino a scrollarsi l'immagine di Silvia che aveva promesso di odiarlo.
"Che significa?" chiese Archimede. "Che non sono per la promozione" disse secco Tex. "E adesso sbrighiamoci con le firme che anche i cavalli hanno i loro diritti".
Aldo si sentì precipitare. Dunque aveva perduto, pugnalato proprio dall'alleato più sicuro in partenza. E adesso? E Silvia? A Paolo -chissà perché- non gli venne di pensare, così d'acchito.
Tex firmò il registro dello scrutinio e uscì senza salutare nessuno. Aldo lo raggiunse nell'atrio:
"A me lo devi spiegare!" gli disse, prendendolo per un braccio: non aveva paura che lui glielo spaccasse il braccio, se appena avesse voluto.
"Se devo spiegarti, mi deludi professore" disse Tex. "Spiegamelo" alzò la voce Aldo.
"Si vede che non conosci Paolo". E Tex si divincolò e uscì in cortile verso la sua Volkswagen piena di gnucche e di polvere. Aldo non aveva mollato la presa:
"Devi spiegarmi" ripete. "Paolo adesso ha la forza per crescere". "E tu hai fatto in modo che la perda". "No, il regalo della promozione: quello sì gliela avrebbe ammosciata". ( … )“
maggio 2005
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