L’articolo 5, comma 3, del
decreto legislativo 22 giugno 1999 n. 230, prevede che nel Progetto
obiettivo sono definiti gli indirizzi alle regioni, volti a garantire
gli obiettivi di salute dei detenuti e degli internati secondo i livelli
essenziali e uniformi di assistenza previsti dal Piano sanitario nazionale.
Tenuto conto della specificità
della condizione penitenziaria, il Progetto obiettivo individua le
aree prioritarie di intervento per la tutela della salute dei detenuti
e degli internati, indicando i programmi per la prevenzione, la cura
e la riabilitazione delle malattie maggiormente diffuse, volti al
superamento e/o al contenimento degli stati di invalidità e di cronicità
determinati da eventi interni o esterni alla condizione detentiva.
3.1 LE ATTIVITA’ DI PREVENZIONE
E’ noto che il carcere, per
molti aspetti, è causa di rischi aggiuntivi per la salute fisica e
psichica dei detenuti, degli internati e del personale addetto alla
sorveglianza e all’assistenza. Nella condizione di restrizione della
libertà personale, i problemi della quotidianità risultano determinanti
per lo stato di salute, inteso come benessere psico-fisico di ciascuno
e di tutti. I problemi ambientali costituiscono, pertanto, il primo
campo di intervento per la tutela della salute dei detenuti e degli
internati. Non a caso il decreto legislativo n. 230 del 1999 prevede
il trasferimento delle funzioni di prevenzione prima di tutte le altre,
a decorrere dal 1° gennaio 2000.
Il regime alimentare, gli ambienti
malsani, la mancanza di movimento e di attività sociale, l’inedia,
gli atti di violenza e di autolesionismo sono le questioni cui con
priorità deve essere rivolta l’attenzione e l’iniziativa dei servizi
sanitari.
Anche lo stato delle strutture
edilizie, con vecchi edifici impropriamente adattati a carceri e degradati
dal tempo e dall’uso e con stabilimenti di più recente costruzione
ma ugualmente inadatti e nocivi, costituisce una specificità cui deve
rivolgersi l’azione preventiva del Servizio sanitario nazionale.
In ragione di queste specifiche
condizioni, è necessario definire programmi di prevenzione primaria
finalizzati alla riduzione o rimozione di una sofferenza che ha radici
strutturali.
Entro tre mesi dall’entrata
in vigore del Progetto obiettivo, i dipartimenti di prevenzione delle
aziende sanitarie locali predispongono per gli istituti penitenziari
ubicati nei relativi ambiti territoriali, coinvolgendo anche gli operatori
penitenziari e i detenuti, una ricognizione dei rischi per la tutela
salute in ambito carcerario, con l’obiettivo di realizzare gli interventi
strutturali necessari per il ripristino, eventuale, di idonee condizioni
ambientali e ai fini della individuazione di soluzioni che incidano
sul miglioramento della qualità della vita in carcere, ivi compreso
il regime alimentare. In particolare, si ritiene importante verificare
l’applicazione della normativa sulla sicurezza negli ambienti di lavoro
in un ambito, quale quello penitenziario, in cui devono essere conciliati
ordinamenti diversi.
Le aziende sanitarie locali
predispongono, sulla base delle informazioni e dei dati disponibili,
programmi mirati di educazione alla salute, con particolare riguardo
alle malattie infettive (tubercolosi, infezione da HIV, epatiti, ecc.)
e parassitarie, alla prevenzione della tossicodipendenza, della sofferenza
mentale dell’abuso di psicofarmaci, del fumo e dell’alcoldipendenza
e delle più diffuse patologie sociali, sensibilizzando la popolazione
detenuta e gli operatori sanitari e penitenziari.
Le suddette aziende attivano,
altresì, programmi pluriennali di prevenzione secondaria, articolati
annualmente, con screening riguardanti le malattie infettive e psichiatriche,
i tumori, le malattie cerebro e cardiovascolari, il diabete, ecc.,
con il fine di raggiungere gli obiettivi di salute indicati nel Piano
sanitario nazionale.
3.2 LE ATTIVITA’ DI CURA
Le aziende sanitarie locali
nel cui ambito territoriale è ubicato uno o più istituti penitenziari
individuano, secondo le indicazioni regionali, modelli organizzativi
atti ad assicurare il soddisfacimento della domanda di cura dei detenuti
e degli internati e organizzano percorsi terapeutici che garantiscano
la tempestività degli interventi, la continuità assistenziale, l’appropriatezza
e la qualità delle prestazioni, la verifica dei risultati, anche attraverso
apposite linee-guida.
Le principali aree di intervento
sono:
- la medicina generale;
- la medicina specialistica;
- la medicina d’urgenza;
- l’assistenza ai detenuti tossicodipendenti;
- l’assistenza sanitaria alle persone
immigrate detenute;
- le patologie infettive.
- la tutela della salute mentale
3.2.1 La medicina generale
L’assistenza medico-generica deve
poter essere applicata superando l’attuale frazionamento degli interventi
secondo un modello che preveda:
- visite mediche e colloquio con l’operatore
di salute mentale per tutti i nuovi giunti al loro ingresso in
istituto;
- visite programmate alle persone detenute
che ne facciano richiesta;
- il raccordo con la medicina generale
presente sul territorio, anche mediante la redazione puntuale
della cartella clinica del detenuto durante la permanenza in carcere
e la raccolta delle indicazioni che consentano di proseguire idonei
ed appropriati trattamenti in altri istituti o al ritorno in libertà;
- strumenti idonei a rilevare i dati necessari
ad alimentare i flussi informativi sanitari nella logica della
continuità assistenziale garantita dalle strutture previste dai
livelli uniformi ed essenziali di assistenza
3.2.2 La medicina specialistica
In stretta correlazione con
l’assistenza medico-generica, la medicina specialistica deve garantire
gli interventi di tipo specialistico su indicazione e richiesta del
medico di medicina generale.
Gli obiettivi specifici sono:
1) uniformare in tutti gli
istituti penitenziari gli standard di assistenza specialistica;
2) garantire interventi immediati
in sintonia con le esigenze di salute;
3) integrare le singole e specifiche
competenze nell’ambito di una visione globale del paziente detenuto,
anche tramite l’organizzazione di momenti di raccordo e confronto
tra le varie figure specialistiche;
4) avviare programmi di trattamento
adeguati e compatibili con lo stato di detenzione.
3.2.3 La medicina d’urgenza
La popolazione detenuta per
la eterogeneità e per l’alta prevalenza di stati morbosi necessita
che vengano assicurati gli interventi urgenti.
Sulla base di tale considerazione
è possibile definire i seguenti obiettivi specifici:
- garantire la possibilità
di un pronto intervento nell’ambito del sistema di emergenza-urgenza
(interno o del pronto soccorso);
- effettuare, quando necessario,
iniziative di aggiornamento obbligatorio del personale in tema di
patologie urgenti;
- prevedere l’integrazione
tra le strutture intramurarie e quelle esterne per la medicina d’urgenza;
- disporre di adeguate attrezzature
che consentano di fronteggiare le urgenze senza dover ricorrere con
frequenza all’avvio in luoghi esterni di cura.
3.2.4 L’assistenza ai tossicodipendenti
I tossicodipendenti sono, secondo
i dati del Ministero della giustizia, circa il 30% dei detenuti presenti
nelle carceri italiane. L’assistenza ai detenuti tossicodipendenti
ha fino ad ora avuto luogo mediante l’integrazione tra i servizi territoriali
di assistenza (SerT) e gli analoghi presidi intramurari. Il trattamento
del tossicodipendente prevede l’attuazione delle misure di prevenzione,
diagnostiche e terapeutiche che riguardano sia l’aspetto della sfera
psicologica che quello clinico.
I programmi da sviluppare devono
garantire la salute del tossicodipendente detenuto e assicurare, contemporaneamente,
la tutela complessiva della salute all’interno delle strutture carcerarie;
ciò comporta la ridefinizione del modello assistenziale, in un’ottica
che concili le strategie più tipicamente terapeutiche con quelle preventive
e di riduzione del danno.
Tra gli obiettivi di lungo
periodo si pone, in primo luogo, la formulazione di percorsi capaci
di una corretta individuazione dei bisogni di salute, in particolare
tramite la raccolta di dati attendibili:
- sulle reali dimensioni della
popolazione tossicodipendente detenuta, ottenuti con metodologie scientificamente
accreditate;
- sul "turnover" della popolazione
tossicodipendente detenuta;
- sull’incidenza dell’alcolismo
e di problemi correlati all’uso di sostanze (patologie psichiatriche,
malattie infettive).
- sullo stato dei presidi per
l’assistenza ai detenuti tossicodipendenti presenti negli istituti
penitenziari, compreso il personale ivi operante.
Tra gli obiettivi di assistenza
da garantire primariamente vanno ricordati:
- l’immediata presa in carico
dei detenuti da parte del SERT competente sull’istituto penitenziario,
al fine di evitare inutili sindromi astinenziali ed ulteriori momenti
di sofferenza del tossicodipendente, assicurando la necessaria continuità
assistenziale;
- la implementazione di specifiche
attività di prevenzione, informazione ed educazione mirate alla riduzione
del rischio di patologie correlate all’uso di droghe;
- la richiesta ed effettuazione
delle indagini chimico-cliniche e sierologiche ritenute importanti
ai fini diagnostici e/o di screening (prelievi ematici, dosaggi urinari),
previa consenso dei detenuti, quando richiesto dalla legge;
- l’effettuazione (attraverso
i servizi dell’azienda sanitaria locale) delle indagini chimico-cliniche
e sierologiche ritenute importanti ai fini diagnostici e/o di screening
previo consenso dei detenuti quando richiesto dalla legge;
- la effettuazione di ogni
eventuale intervento specialistico necessario per l’approfondimento
diagnostico;
- la predisposizione di programmi
terapeutici personalizzati, predisposti a partire da una accurata
diagnosi multidisciplinare dei bisogni del detenuto, in particolare
per quanto riguarda i trattamenti farmacologici (metadone, ecc.),
anche di mantenimento.
- la disponibilità di trattamenti
farmacologici sostitutivi tenendo conto del principio della continuità
terapeutica (in particolare per le persone che entrano in carcere
essendo già in trattamento), concordati e condivisi con il tossicodipendente
detenuto;
- la attuazione di trattamenti
farmacologici con antagonisti, quando indicati, in particolare nella
fase di avviamento e preparazione all’assistenza post-detentiva.
Per quanto riguarda il modello
organizzativo dovrà essere individuato dalla azienda sanitaria locale
competente per territorio, sulla base delle indicazioni regionali,
tenendo conto dei seguenti elementi:
- la titolarità dell’ intervento
terapeutico da parte del SERT competente sull’istituto, da coordinare,
tramite i dipartimenti delle dipendenze, con il complesso degli interventi
territoriali sui tossicodipendenti e assicurando, altresì, la possibilità
di comunicazione rapida ed efficace tra servizi intramurari e territoriali;
la sistematica segnalazione al SERT, da parte dei sanitari addetti
alle visite dei nuovi giunti, dei possibili nuovi utenti;
- la costituzione di un’area
di osservazione necessaria ad una migliore capacità diagnostica dei
bisogni del detenuto; in ogni caso, la individuazione di locali adeguati
allo svolgimento delle attività terapeutico riabilitative intra-murarie
e ad esse riservati in via esclusiva;
- l’indirizzo dei detenuti,
ovunque indicato e compatibilmente con le caratteristiche dei singoli,
a istituti penitenziari "a custodia attenuata", idonei per setting
terapeutici più efficaci; in ogni caso dovranno essere previsti precisi
meccanismi per facilitare l’accesso ai colloqui e/o visite del detenuto
da parte degli operatori.
Il modello organizzativo dovrà,
altresì, consentire un migliore coordinamento con i programmi svolti
all’esterno, in particolare con quelli svolti in regime di misura
alternativa alla detenzione.
Un elemento, infine, di notevole
rilevanza per il conseguimento di un costante miglioramento qualitativo
della assistenza penitenziaria ai tossicodipendenti dovrà essere la
realizzazione di iniziative di formazione permanenti che coinvolgano
congiuntamente sia i dipendenti delle aziende sanitarie locali che
quelli del Ministero della giustizia.
3.2.5 L’assistenza sanitaria
alle persone immigrate detenute
La popolazione immigrata detenuta
(P.I.D.), ha subito nell’ultimo decennio un incremento sostanziale
legato anche alla presenza di frange di criminalità proveniente dagli
ambienti degli immigrati. Molti di questi soggetti vengono a contatto
per la prima volta nella loro vita con un sistema sanitario organizzato
solo all’ingresso in carcere. L’entità del fenomeno suggerisce di
prevedere specifiche raccomandazioni per gli immigrati detenuti.
In primo luogo è necessario
che le conoscenza circa le condizioni di salute della P.I.D vengano
al più presto approfondite con adeguate indagini conoscitive.
Propedeutico a qualsiasi intervento
migliorativo delle condizioni di salute degli immigrati in carcere
è, infatti, la conoscenza delle caratteristiche della popolazione
di cui trattasi. E’ quindi necessario:
- conoscere i reali bisogni di carattere
sanitario della popolazione immigrata detenuta;
- rendere fruibili le risorse sanitarie
esistenti;
- adottare i programmi di prevenzione
esistenti per le malattie trasmissibili in carcere tenendo conto
della specificità della P.I.D..
Tra i punti critici da superare
e su cui occorre incentrare l’attenzione si evidenziano:
- la pressochè totale mancanza
di conoscenze sullo stato di salute degli immigrati detenuti, eccezion
fatta per alcune patologie (tubercolosi, lue, HIV), oggetto di una
pur parziale sorveglianza da parte del Ministero della giustizia.
- La carenza, anche nella letteratura
internazionale, di esperienze specifiche di prevenzione o studio che
possano costituire modelli di riferimento.
- La carenza, nella maggior
parte degli istituti penitenziari, di protocolli organizzativi volti
ad una gestione sanitaria mirata della P.I.D..
- L’assenza di formazione specifica
del personale sanitario, di custodia, di supporto (educatori, assistenti
sociali, psicologi) negli istituti penitenziari.
- La non comprensione della
lingua italiana di molti detenuti al loro primo ingresso in carcere.
- La non conoscenza delle lingue
straniere da parte del personale.
- La non conoscenza dell’immigrato
delle norme e dei regolamenti che disciplinano le attività sanitarie
negli istituti penitenziari.
- L’assenza di informazioni
relative alle opportunità offerte dalla legislazione sanitaria italiana
alle persone detenute malate di uscire dal carcere (affidamento in
prova per i tossicodipendenti ai servizi sociali, ai SERT, alle comunità
terapeutiche, gli arresti domiciliari in caso di AIDS o di altre gravi
patologie).
- La scarsità e la non uniformità
sul territorio nazionale di aiuti esterni su cui contare una volta
usciti dall’istituzione.
- La frammentarietà e la disomogeneità
degli interventi (opuscoli informativi multilingue, sportelli d’ascolto
ecc.) spesso di iniziativa regionale, a volte addirittura locale.
- L’assenza di mediatori culturali.
3.2.6 Le patologie infettive
Le malattie infettive
costituiscono un problema rilevante in tutte le comunità chiuse. Assumono
una particolare rilevanza nelle condizioni particolari che si determinano
nelle comunità penitenziarie in cui si verificano situazioni abitative,
alimentari e comportamentali che facilitano la diffusione e l’acquisizione
delle infezioni/malattie infettive. Inoltre, l’eterogeneità della
provenienza della popolazione detenuta costituisce un rischio rilevante
per l’importazione e la successiva diffusione di patologie non presenti
o non più attuali/comuni nel nostro Paese.
Va anche considerata la difficoltà
di inquadramento e di attribuzione etiologica di segni e sintomi che
entrano nella diagnosi differenziale delle malattie infettive, ma
che potrebbero essere determinati da altri fattori, tra cui vanno
ricordati l’abuso di sostanze e la simulazione.
L’analisi delle patologie infettive
più frequentemente segnalate in carcere indicano che:
-
la prevalenza massima
di infezioni è determinata dalle epatiti virali non A e dall’infezione
da HIV in diversi stadi di evoluzione;
-
le malattie più frequenti
in carcere sono la scabbia, le dermatofitosi, la pediculosi l’epatite
A e la tubercolosi;
-
le sintomatologie associate
ad etiologie infettive sono febbre e diarrea.
L’analisi del tempo di incubazione
e delle modalità di trasmissione delle patologie sopra riportate fornisce
importanti informazioni ai fini della definizione degli interventi
necessari.
Le patologie del gruppo a)
sono prevalentemente acquisite al di fuori del carcere, anche se casi
di trasmissione potrebbero verificarsi durante la detenzione attraverso
rapporti sessuali, procedure di tatuaggio, scambio di siringhe e taglienti,
etc.
Le patologie del gruppo b)
sono prevalentemente acquisite in carcere per trasmissione persona-persona
a seguito dell’ingresso nel sistema di un soggetto infetto/infestato
(con o senza segni e sintomi di infezione al momento dell’ingresso).
Le malattie infettive del gruppo
c) possono essere prevalentemente correlate nel primo caso alla circolazione
all’interno della comunità carceraria di influenza ed altre infezioni
respiratorie acute a carattere epidemico, e nel secondo a problemi
legati all’igiene dell’alimentazione, inclusa la conservazione di
cibi all’interno delle celle.
L’analisi sopra riportata,
l’esperienza della estrema pericolosità della circolazione in ambito
carcerario di malattie come la tubercolosi multiresistente, la circolazione
di nuovi agenti infettivi o di agenti già noti con nuove modalità
o veicoli di trasmissione confermano la rilevanza del fenomeno e l’esigenza
di attuare interventi efficaci di prevenzione e controllo.
Gli obiettivi specifici da
raggiungere possono essere così sintetizzati:
- predisporre strumenti di
informazione per i detenuti e per il personale (con particolare riferimento
agli addetti alla preparazione e distribuzione dei cibi) sulle infezioni/malattie
infettive, al fine di ridurre comportamenti che possano facilitare
l’acquisizione/diffusione di patologie infettive;
- costruire mappe di rischio
per le diverse modalità di trasmissione delle infezioni al fine di
sviluppare ed attuare misure di prevenzione efficaci per controllare/ridurre
le patologie infettive. La mappatura dei rischi deve contenere un’analisi
di aspetti che vanno dalla salubrità degli ambienti e alla ventilazione
di essi per la patologia aereotrasmessa alla densità abitativa delle
celle e alla disponibilità/idoneità di servizi igienici per le infezioni/infestazioni
cutanee e le infezioni a trasmissione oro-fecale, alle modalità di
preparazione, distribuzione e conservazione degli alimenti per le
infezioni trasmesse attraverso il cibo;
- definire procedure standardizzate
di valutazione dei nuovi ingressi prima dell’immissione nel sistema
penitenziario, anche attraverso una osservazione attenta, per quanto
possibile, per un periodo pari a quello di incubazione delle principali
patologie infettive;
- sperimentare procedure di
screening per l’identificazione dei soggetti infetti al momento dell’ingresso,
attuando anche una valutazione costo-efficacia delle procedure adottate;
- sviluppare protocolli per
l’inquadramento e la gestione delle infezioni/malattie infettive clinicamente
evidenti, con una dettagliata guida delle misure di barriera e delle
procedure di isolamento;
- garantire ai detenuti l’accesso
ai trattamenti antinfettivi (compresi quelli appartenenti alla fascia
H) anche attraverso il ricorso a strutture esterne specializzate per
le malattie infettive;
- sperimentare la fattibilità
di interventi di immunizzazione primaria e di terapie preventive per
soggetti già infetti (ad esempio per la tubercolosi), attuando anche
una valutazione costo-efficacia;
- adottare attraverso il ricorso
a strutture specialistiche in diagnostica molecolare delle malattie
infettive, procedure diagnostiche che consentano di definire la trasmissione
intracarceraria delle infezioni, anche al fine di identificare precocemente
possibili cluster di infezioni e mettere prontamente in atto misure
per bloccare eventi epidemici;
- sviluppare un sistema di
sorveglianza che consenta di monitorizzare a livello nazionale le
dimensioni del fenomeno, fornendo informazioni attendibili sul piano
epidemiologico ed etiologico in quanto costruiti con metodologie standardizzate
e con l’utilizzo di tecniche appropriate di diagnosi etiologica. Tale
sistema deve consentire di identificare con sufficiente attendibilità
i casi prevalenti da quelli incidenti;
- costruire modelli di intervento
psico-sociale e comportamentale per far aumentare la consapevolezza
dei rischi di infezione, per favorire la riduzione dei comportamenti
a rischio e per determinare una maggiore aderenza alle prescrizioni
terapeutiche.
3.2.7. LA TUTELA DELLA SALUTE
MENTALE
E’ ormai riconosciuta a livello
internazionale l’esistenza di un disagio psichico maggiore e diffuso
negli istituti penitenziari. Nel nostro Paese non esistono stime epidemiologiche
attendibili, ma l’esperienza dei medici psichiatri che operano negli
istituti da tempo evidenzia il problema, sollecitando più mirati interventi
di prevenzione, cura e riabilitazione dei disturbi mentali.
La promozione e la tutela della
salute mentale negli istituti penitenziari vanno riguardate come obiettivi
che nell’immediato e in ogni caso il Servizio sanitario nazionale
deve porsi, non solo ai fini più strettamente sanitari, ma anche ai
fini della sicurezza negli istituti. Un maggiore benessere psichico,
consentito da una risposta complessivamente più consona alla domanda
che i cittadini del carcere formulano, non potrà che ridurre lo stillicidio
di piccole e grandi emergenze che soffocano la vita penitenziaria
e danno luogo ad un incessante disordine operativo. Il miglioramento
del servizio reso nel settore della salute mentale, ad esempio, ha
potenzialmente un ruolo decisivo nella prevenzione dei fenomeni di
autolesionismo più o meno gravi e della protesta che il disagio sostiene,
con indiscutibili effetti positivi anche sulla custodia.
Ciò premesso, occorre pensare
ad una risposta in questo settore che attraversi l’intero assetto
sanitario del carcere, coinvolgendo tutte le professionalità a vario
titolo chiamate a rispondere alle esigenze di cura e trattamento delle
persone recluse (agenti di polizia pentienziaria, assistenti sociali,
educatori professionali, infermieri, psicologi, medici, psichiatri
e neuropsichiatri) in un progetto di complessiva presa in carico e
in stretto collegamento con gli assetti della salute mentale esterni,
specifici delle varie realtà. Un collegamento funzionale e organizzativo
necessario affinchè il carcere assuma una identità sanitaria in tale
ambito non separata dal resto del territorio, con cui dovrà inevitabilmente
articolarsi.
Fatta questa breve premessa si
riportano, di seguito, gli obiettivi da raggiungere nel triennio:
-
valutare con urgenza
entità e distribuzione dei disturbi mentali nella popolazione
reclusa nei diversi luoghi, compito da affrontare quanto prima,
attraverso progetti concordati tra Servizio sanitario nazionale
e Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, ad iniziare
dalle regioni coinvolte nella fase sperimentale.
-
Curare la formazione
e l'aggiornamento degli operatori coinvolti secondo moduli che
tengano conto delle specificità del contesto in cui si opera.
-
Assicurare che l’attività
di tutela e promozione della salute mentale sia coordinata dal
Dipartimento della salute mentale del territorio di appartenenza,
individuando un' apposita articolazione organizzativa. Ciò affinchè
anche i malati detenuti possano usufruire di tutte le possibilità
di cura e riabilitazione garantite dai servizi del territorio.
-
Adottare in carcere
strumenti che consentano la domiciliazione della cura, il lavoro
multidisciplinare, la formulazione di progetti di trattamento
individuali, la continuità del trattamento, la presa in carico
personalizzata del caso in luogo della risposta limitata all’urgenza.
-
Prevedere che vengano
istituite, per i soggetti con disturbi mentali, sia zone di
osservazione e intervento clinico sia di riabilitazione, tali
da non determinare una separazione, bensì da consentire un livello
maggiore di integrazione.
-
Ricercare strumenti
di cooperazione tra Servizio sanitario nazionale e Dipartimento
dell’Amministrazione penitenziaria al fine di favorire l’assegnazione
dei soggetti con disturbi mentali a sedi penitenziarie ubicate
nello stesso ambito regionale o confinante rispetto alla residenza
che avevano prima di essere reclusi.
-
Attivare scambi e cooperazione
tra area sanitaria e area trattamentale, al fine di evitare,
fin dove possibile, duplicazioni e sovrapposizioni sfavorevoli
al benessere psichico. Uno dei terreni sui quali sperimentare
questa possibilità è costituito dal servizio nuovi giunti, dove
gli psicologi che vi operano lavoreranno di concerto con gli
psichiatri. Sarà da completare l’attivazione, comunque, in ogni
istituto, di un’area nella quale la questione del trattamento
incontri quella della tutela e della promozione della salute
mentale, al fine di definire la forma migliore di trattamento,
nell’interesse della persona e dell’istituzione.
- Considerando necessario un riordino
del settore dell’internamento psichiatrico giudiziario occorre
definire protocolli e modalità di collaborazione tra gli operatori
del Dipartimento di salute mentale e gli operatori del Dipartimento
del’Amministrazione penitenziaria, ai fini della definizione di
interventi terapeutici e riabilitativi a favore degli internati.
3.2.7.1. Istituti o sezioni
speciali per infermi e minorati psichici. Centri di osservazione e
istituti minorili.
Sono assegnati agli istituti
o servizi speciali per infermi e minorati psichici gli imputati e
i condannati, ai quali nel corso della misura detentiva sopravviene
una infermità psichica che non comporti, rispettivamente, l’applicazione
provvisoria della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico
giudiziario o l’ordine di ricovero in O.P.G. o in case di cura o custodia
nonché, per l’esecuzione della pena, i soggetti condannati a pena
diminuita per vizio parziale di mente.
Sono da prevedere, per questi
luoghi, una speciale attenzione alla salute mentale degli ospiti e
quindi una specifica dotazione di risorse e una stretta integrazione
con le strutture deputate alla tutela della salute mentale.
I centri di osservazione, oltre
a svolgere le attività di osservazione previste dall’ordinamento penitenziario,
ospitano periziandi e svolgono attività di ricerca scientifica.
Sono da prevedere, per questi
luoghi, una speciale attenzione alla salute mentale degli ospiti,
qualora sottoposti a perizia psichiatrica e comunque affetti da turbe
psichiche, in stretto collegamento con gli assetti organizzativi esterni
della salute mentale specifici di un certo territorio, da estendere
al territorio carcere, nonché forme di collaborazione dei Ministeri
della sanità, della giustizia e dell’università e della ricerca scientifica,
finalizzate alla ricerca nei settori delle carenze psichiche e delle
cause di disattivamento sociale e queste riferibili.
Anche per gli istituti minorili
la tutela della salute mentale deve prevedere una speciale attenzione
e il collegamento stretto con gli assetti organizzativi esterni specifici
di un certo territorio, da estendere al territorio carcere.
3.3 LE ATTIVITA’ DI RIABILITAZIONE
Le condizioni di prevalente
immobilità proprie della condizione carceraria, gli stati di invalidità
congenita o acquisita, richiedono una ricognizione dei bisogni riabilitativi
in ciascun istituto penitenziario, in modo da predisporre programmi
mirati che prevedono, comunque, un approccio multidisciplinare e l’integrazione
di interventi di diverse professionalità (sanitarie, sociali, educative)
avendo a riferimento l’unitarietà della persona e il principio della
continuità e della integrazione dei trattamenti sanitari.
La riorganizzazione e l’implementazione
delle attività riabilitative (spesso assenti), richiedono uno specifico
progetto elaborato d’intesa tra gli assessorati alla sanità delle
regioni ed i provveditorati dell’Amministrazione penitenziaria, per
realizzare in ogni istituto penitenziario spazi attrezzati per lo
svolgimento delle attività di riabilitazione.
Qualora i trattamenti riabilitativi
dovessero svolgersi in centri esterni, si applicano le procedure previste
per i ricoveri in day-hospital o in regime ordinario esterni al carcere.
Le aziende sanitarie locali
valutano l’entità del lavoro svolto, il livello e l’adeguatezza tecnica
e tecnologica delle strutture, la qualità delle prestazioni erogate,
i risultati ottenuti anche coinvolgendo nella valutazione i soggetti
interessati, avendo a riferimento le linee-guida del Ministero della
sanità per le attività di riabilitazione approvate con provvedimento
della Conferenza Stato-regioni del 7 maggio 1998.
4. I MODELLI ORGANIZZATIVI
Il decreto legislativo n. 230
del 1999, prevede che gli obiettivi per la tutela della salute dei
detenuti e degli internati sono precisati nei programmi delle regioni
e delle aziende sanitarie locali e realizzati mediante l’individuazione
di specifici modelli organizzativi, anche di tipo dipartimentale,
differenziati in rapporto alla tipologia e alla consistenza degli
istituti penitenziari ubicati in ciascuna regione.
Ai fini di una uniforme organizzazione
dell’assistenza sanitaria negli istituti penitenziari, si forniscono,
di seguito, indirizzi in merito ai modelli organizzativi:
a) per gli istituti
penitenziari con una popolazione fino a 200 detenuti, alla data del
30 giugno 1999, l’indicazione è di istituire, nell’ambito del distretto
sanitario, un servizio sanitario multiprofessionale, diretto da un
dirigente medico nominato secondo le procedure previste dalla normativa
vigente in materia di conferimento degli incarichi dirigenziali. Il
medico responsabile coordina le prestazioni erogate dalle strutture
e dal personale dell’azienda. Il servizio assicura le prestazioni
di base e specialistiche.
b) per gli istituti penitenziari
con una popolazione ristretta da 200 a 700 detenuti, alla data del
30 giugno 1999, l’indicazione è di istituire una unità operativa multiprofessionale,
ovvero un dipartimento funzionale, ai fini della erogazione delle
prestazioni di base e specialistiche. L’unità operativa è diretta
da un dirigente medico nominato secondo le procedure previste dalla
normativa vigente in materia di conferimento degli incarichi. Il medico
responsabile coordina la medicina generale e quella specialistica,
promuove gli interventi necessari da parte delle competenti articolazioni
organizzative delle aziende sanitarie locali, assicura l’integrazione
tra le prestazioni sanitarie e quelle sociali in collaborazione con
il responsabile dei servizi sociali.
c) per gli istituti penitenziari
con oltre 700 detenuti, alla data del 30 giugno 1999, o per più istituti
penitenziari anche di diversa tipologia (minorili, femminili), l’indicazione
è di istituire un apposito dipartimento strutturale per la tutela
della salute dei detenuti, articolato in più unità operative, dotato
di uno specifico budget, con un direttore responsabile, con personale
medico, tecnico e infermieristico nonchè con psicologi, assistenti
sociali e educatori professionali. Il direttore del dipartimento è
nominato dal direttore generale secondo le procedure previste dalla
normativa vigente in materia di conferimento degli incarichi. Egli
predispone il programma annuale, coordina le attività di base e specialistiche,
promuove gli interventi delle strutture e del personale.
d) per gli istituti penitenziari
minorili l’indicazione è di istituire nell’ambito del dipartimento
per la tutela della salute dei detenuti, ove esistente, una specifica
unità operativa, ovvero, in assenza del dipartimento, uno specifico
servizio multidisciplinare. L’unità operativa o il servizio multidisciplinare
comprendono tutte le professionalità necessarie allo svolgimento dello
specifico tipo di assistenza e collaborano con i servizi sociali dell’istituto
con il compito precipuo di sottrarre il minore al circuito penitenziario.
e) per gli istituti penitenziari
femminili l’indicazione è di istituire, nell’ambito del dipartimento
per la tutela della salute dei detenuti, ove esistente, una specifica
unità operativa multidisciplinare ovvero, in assenza del dipartimento,
uno specifico servizio multiprofessionale, tenuto conto delle specifiche
professionalità che tale tipo di assistenza richiede.
In ogni caso, qualunque sia
il modello organizzativo adottato, l’azienda sanitaria locale deve
garantire, in analogia con quanto prescritto per i cittadini in stato
di libertà dall’articolo 8, comma 1, lettera e), del decreto legislativo
n. 229 del 1999, l’attività assistenziale per l’intero arco della
giornata e per tutti i giorni della settimana, attraverso il coordinamento
operativo e l’integrazione professionale tra i medici di medicina
generale, i medici specialisti ambulatoriali e le strutture operative
del Servizio sanitario nazionale. Tale Servizio si avvale di mediatori
culturali per le attività sanitarie destinate ai detenuti o agli internati
stranieri.
Al termine della fase sperimentale,
prevista dall’articolo 8, comma 2, del decreto legislativo n. 230
del 1999, sulla base dell’esperienza e dei risultati conseguiti, si
procederà agli eventuali interventi di ridefinizione dei modelli organizzativi.
5. IL RICOVERO NELLE UNITA’
OPERATIVE DI DEGENZA
Il ricovero in una unità operativa
di degenza esterna al carcere è previsto per la cura degli stati acuti
di malattia dei soggetti detenuti.
Le ragioni della sicurezza
dell’Amministrazione penitenziaria evidenziano l’esigenza di limitare
il ricorso al ricovero esterno ai soli casi necessari e l’impegno
a qualificare in misura sempre maggiore la rete dei servizi diagnostici
e terapeutici e dei presidi all’interno degli istituti penitenziari.
La regione, sentito il provveditorato
dell’Amministrazione penitenziaria, secondo quanto previsto dall’art.
8 - quater del decreto legislativo n. 502 del 1999 e successive modificazioni
e integrazioni, stabilisce i requisiti per l’accreditamento delle
strutture e dei presidi di ricovero interni al carcere, a partire
dagli esistenti reparti clinici e chirurgici dell’Amministrazione
penitenziaria (cosidetti Centri diagnostici e terapeutici). In ogni
caso, mai le ragioni della sicurezza possono mettere a rischio la
salute e la vita dei detenuti.
Anche in riferimento alle particolari
responsabilità e ai gravosi impegni di traduzione, di trasferimento
e di piantonamento che il ricovero esterno richiede all’Amministrazione
penitenziaria il ricovero ospedaliero, fatte salve le competenze della
Autorità giudiziaria e della suddetta Amministrazione, deve essere
motivato e coordinato dal Servizio sanitario nazionale.
Nell’immediato, per il ricovero
all’esterno del carcere va utilizzata la rete dei presidi ospedalieri
o delle aziende ospedaliere esterni; a medio termine, ci si avvarrà
anche di "sezioni ospedaliere specifiche" ricavate negli ospedali.
Entro sei mesi dall’entrata
in vigore del Progetto obiettivo per la tutela della salute in ambito
penitenziario, con decreto del Ministro della sanità di concerto con
il Ministro della giustizia, sono individuati i presidi ospedalieri
o le aziende ospedaliere nei quali istituire appositi reparti riservati
ai detenuti che abbisognano di cure in ambito ospedaliero.
Del pari alle strutture sanitarie,
il Ministero della sanità censisce e verifica le strutture a custodia
attenuata, programmando, d’intesa con il Ministero della giustizia,
l’attivazione di almeno una struttura in ogni regione.
6. L’ORGANIZZAZIONE PER
IL GOVERNO DELLA SANITA’ IN AMBITO PENITENZIARIO
Il trasferimento dell’assistenza
sanitaria negli istituti penitenziari al Servizio sanitario nazionale,
consente di superare una separatezza storica tra culture ed esperienze
diverse che hanno una finalità comune: la salute delle persone, sempre
e in ogni caso, tenendo conto della specificità delle condizioni ambientali.
La ricomposizione di questa
separatezza consente, oggi, di mettere a disposizione dei programmi
per la salute dei detenuti e degli internati tutto il potenziale del
Servizio sanitario nazionale, dalla ricerca alla sperimentazione,
dalla formazione degli operatori alla rete dei servizi territoriali
e ospedalieri, dalla prevenzione alla riabilitazione.
Cionondimeno, deve essere salvaguardato
il patrimonio di esperienze e di conoscenze fino ad oggi acquisite
dal personale in materia di assistenza sanitaria negli istituti penitenziari.
Il governo della sanità in
carcere deve trovare una puntuale organizzazione a livello nazionale,
nella individuazione di comitati tecnici interministeriali per indirizzare
e coordinare l’attività sanitaria in ambito penitenziario. A livello
regionale possono essere istituiti analoghi comitati di indirizzo
e coordinamento.
Il Ministero della sanità e
gli assessorati alla sanità delle regioni istituiscono, secondo i
rispettivi ordinamenti, con apposito provvedimento, entro tre mesi
dall’entrata in vigore del Progetto obiettivo, uno specifico ufficio
ai fini della organizzazione, della programmazione e del coordinamento
dell’assistenza sanitaria negli istituti penitenziari. Con il medesimo
provvedimento sono individuati il personale, le risorse e i compiti.
7. COMPITI DELLO STATO,
DELLE REGIONI E DELLE AZIENDE SANITARIE
7.1 LO STATO
Il Ministero della sanità esercita
le competenze in maniera di programmazione, indirizzo e coordinamento
del Servizio sanitario nazionale negli istituti penitenziari.
Per le attività previste nel
Progetto obiettivo, utilizza le risorse finanziarie trasferite dal
bilancio del Ministero della giustizia secondo quanto previsto dall’articolo
7 del decreto legislativo n. 230 del 1999.
Le risorse sono trasferite
annualmente dal Ministero della sanità alle regioni, sulla base di
criteri concordati in sede di Conferenza unificata, tenendo conto
degli istituti penitenziari presenti in ciascuna regione, della consistenza
e della composizione della popolazione detenuta e internata, dei presidi
e dei servizi sanitari interni agli istituti penitenziari presenti
nella regione, con particolare riferimento ai reparti clinici e chirurgici
degli istituti medesimi, agli ospedali psichiatrici giudiziari, ai
reparti ospedalieri per detenuti, ai presidi per l’assistenza ai detenuti
tossicodipendenti, ai malati di mente e ai malati di AIDS.
Il Ministero della sanità provvede
a rendere disponibili, nell’ambito delle risorse destinate all’adeguamento
delle strutture di ricovero, apposite risorse per la ristrutturazione
dei presidi all’interno degli istituti penitenziari e per l’istituzione
di nuovi reparti per detenuti nei presidi e nelle aziende ospedalieri
esterni.
A livello nazionale e regionale
è assicurata la rilevazione epidemiologica dello stato di salute della
popolazione detenuta e internata, dei rischi, della morbilità e delle
cause di morte, mediante l’istituzione di nuove strutture ovvero l’utilizzazione
di quelle già esistenti, finalizzato a rendere disponibile al Servizio
sanitario nazionale ogni informazione utile alla programmazione e
al governo delle attività di prevenzione, di cura e riabilitazione
in carcere.
In applicazione dell’articolo
5, comma 3 lettera c) del decreto legislativo n° 230/99, il Ministero
della sanità, in collaborazione con quello della giustizia, organizza
appositi corsi per la formazione specifica e l’aggiornamento degli
operatori sanitari, degli agenti di polizia penitenziaria e dei mediatori
culturali che operano in carcere.
Il Ministero della sanità stipula
accordi con il Ministero dell’università e della ricerca scientifica
per istituire corsi post-laurea dedicati all’aggiornamento dei medici
che operano nei servizi sanitari in carcere.
La relazione sullo stato sanitario
del Paese che il Ministero della sanità è tenuto a presentare al Parlamento
in base all’articolo 1, comma 10 del decreto legislativo n. 229/99
prevede un apposito capitolo riguardante lo stato di salute negli
istituti penitenziari italiani, a norma dell’articolo 5, comma 7,
del decreto legislativo n. 230/99.
7.2 LE REGIONI
Le regioni esercitano le competenze
in ordine alle funzioni di programmazione e di organizzazione dei
servizi sanitari negli istituti penitenziari e il controllo sul funzionamento
dei servizi medesimi.
A tale scopo la regione:
- approva, entro 60 giorni dall’approvazione
del Progetto obiettivo per la tutela della salute in ambito penitenziario,
sentito il Provveditorato dell’Amministrazione penitenziaria,
il Progetto obiettivo regionale. Tale Progetto, indica gli obiettivi
di salute da raggiungere nel triennio, i modelli organizzativi
da adottare in ciascuno degli istituti penitenziari presenti nella
regione, anche di tipo dipartimentale; gli strumenti di supporto
alle aziende e il controllo per la verifica della qualità e dell’efficacia
delle prestazioni; le procedure e i tempi che le aziende sanitarie
locali devono seguire nella predisposizione del piano attuativo
locale per la tutela della salute dei detenuti e degli internati;
- prevede le risorse finanziarie
da assegnare alle aziende sanitarie locali per la costituzione
e il funzionamento dei modelli organizzativi per la salute dei
detenuti e degli internati e per la realizzazione del piano attuativo
locale;
- organizza il piano di riordino della
rete ospedaliera per il ricovero dei detenuti;
- predispone il programma dei corsi di
formazione e di aggiornamento del personale sanitario e dei mediatori
culturali, cui possono accedere, sulla base di intese con il provveditorato
dell’Amministrazione penitenziaria, anche gli agenti di polizia
penitenziaria;
- redige una relazione sullo stato di
salute nelle carceri presenti nella regione. La relazione è inviata
al Ministero della sanità e all’Amministrazione penitenziaria;
- esercita il controllo sull’operato
delle aziende sanitarie locali e adotta i provvedimenti previsti
dalle leggi nei confronti del direttore generale in caso di inadempienza
nell’attuazione delle misure previste dalle norme di legge;
- concorda con il Provveditorato dell’Amministrazione
penitenziaria le sedi territoriali ove è più opportuno avviare
iniziative di custodia attenuata, sia come istituti riservati
che come sezioni annesse a grandi strutture penitenziarie.
7.3 I COMPITI DELLE AZIENDE
SANITARIE LOCALI
In riferimento agli obiettivi
di salute indicati nel Progetto obiettivo nazionale e in quello regionale,
le aziende sanitarie locali svolgono compiti di gestione e di controllo
dei servizi sanitari che operano negli istituti penitenziari.
Il direttore generale risponde
della eventuale mancata applicazione e degli eventuali ritardi nell’attuazione
delle misure previste nei suddetti progetti obiettivo.
A tale scopo il direttore generale:
- predispone, sentito il direttore dell’istituto
penitenziario, nell’ambito del piano attuativo locale, specifici
progetti di intervento nelle carceri, coinvolgendo il comune o
la conferenza dei sindaci nell’esame e nella definizione;
- approva i modelli organizzativi individuati
nei progetti obiettivo nazionale e regionale e nomina i responsabili;
- formula alla regione, sentito il direttore
dell’istituto penitenziario interessato, le proposte di riordino
delle strutture sanitarie interne ed esterne al carcere, ai fini
della predisposizione del piano di riordino dei presidi sanitari
e del loro ammodernamento strutturale e tecnologico;
- attua le intese con la direzione degli
istituti penitenziari;
- assicura che le risorse finanziarie
assegnate dalla regione siano correttamente ed esclusivamente
impiegate per l’assistenza sanitaria in ambito penitenziario;
- approva la carta dei servizi per i detenuti
e gli internati, previa consultazione con le loro rappresentanze,
ai sensi dell’articolo 1, comma 3, del decreto legislativo n.
230 del 1999.
8. LA FORMAZIONE E L’INFORMAZIONE
Nell’ambito del processo di
trasferimento delle funzioni sanitarie al Servizio sanitario nazionale,
una importanza particolare riveste la formazione permanente e specifica
degli operatori sanitari e del personale di polizia penitenziaria.
I programmi di formazione del
suddetto personale dovranno essere tenuti nella massima considerazione
alla luce della rilevanza del rapporto quotidiano con i detenuti ed
in particolare con le persone portatrici di sofferenza psichica. Una
formazione reale ed efficace dovrà prevedere nella verifica il momento
quotidianamente privilegiato, soprattutto se questa sarà, come auspicabile,
estesa ed omogenea su tutto il territorio nazionale e non incentrata
sulle iniziative locali.
In particolare, nell’ambito
dei programmi di prevenzione dell’infezione da HIV e dell’abuso di
droghe deve essere prevista la messa in atto di opportuni momenti
di informazione attraverso l’utilizzazione di adeguati supporti, non
rigidamente connessi ad un unico modello, ma applicabili e modificabili
secondo esigenze differenziate.
Opportuni programmi di educazione
sanitaria in tema di droga, alcool, AIDS e salute mentale, appaiono
essere prioritari nell’ambito della comunità detenuta. L’informazione
su questi temi attraverso un’opera di sensibilizzazione diretta rappresenta
un valido strumento di prevenzione.
I programmi informativi dovranno
privilegiare forme differenziate di comunicazione se indirizzate a
detenuti italiani o stranieri, tenendo conto delle specifiche esigenze
etniche e religiose.
E’ auspicabile la sempre maggiore
presenza della figura del mediatore culturale, persona, questa qualificata
sul piano non solo linguistico ma soprattutto culturale, che consenta
di superare le difficoltà nei rapporti con i detenuti provenienti
da paesi stranieri. Tali persone vanno formate in modo sempre più
appropriato al procedere delle conoscenze.