Eibl-Eibesfeldt distingue anzitutto fra l’aggressività in generale -
che è fenomeno biologico, individuale e interno al gruppo - e la guerra,
la quale rappresenta invece un prodotto dell’evoluzione culturale. Il
paradosso, rispetto a tante semplificazioni e pregiudizi antietologici,
è che «al filtro di norme biologiche, che anche nell’uomo costituisce
un freno alla distruttività, viene sovrapposto un filtro di norme culturali,
che impone di uccidere» (Etologia della guerra, pag. 129). In quanto
fenomeno storico, la guerra è quindi superabile e la pace mondiale non
è soltanto una bella utopia, a patto che della guerra si comprendano
funzione e struttura.
L’universalità dei conflitti fra gli esseri umani è data soprattutto
da tre fattori: lo "spacing"
o mantenimento delle distanze tra gruppi culturali, il reperimento delle
"risorse" necessarie
alla sopravvivenza, il rafforzamento dell’identità
tribale. Territorialismi, tecnologie belliche, diplomazie
sono delle strutture funzionali a questi scopi.
Partendo da questa intenzione, diventa possibile cogliere l’effettiva
struttura di molti fenomeni. Contrariamente alla guerra, l’aggressività
è innata ma lo è perché indispensabile alla sopravvivenza (aggressività
difensiva), all’evoluzione (aggressività
adattiva), alla maturazione del
singolo (aggressività esplorativa).
Quest’ultima consiste nella necessità, da parte del bambino, di saggiare
l’ambiente e valutare se stesso, scoprendo in tal modo i limiti fino
ai quali gli è concesso spingersi.
«non è l’aggressività che si è sviluppata allo scopo di costituire una
gerarchia di rango, bensì è quest’ultima che si è sviluppata come un
meccanismo per venire a capo dell’aggressività interna al gruppo, aggressività
che da altri punti di vista è vantaggiosa» (Etologia della guerra, 54).
Sottolineando la culturalità della guerra e l’istintività della pace,
Eibl-Eibesfeldt sfata alcuni pregiudizi e mostra l’aggressività per
quello che è: un impulso innato ma funzionale e orientabile verso l’evoluzione
come verso l’autodistruttività. La scelta dipende da noi, dal coraggio
della cultura.
«...c'è del marcio nella specie Homo Sapiens» (Otto peccati, 127). Questa
è la semplice, financo banale, ma importantissima constatazione da cui
parte Konrad Lorenz per descrivere i rischi e le storture di cui è vittima
l'umanità contemporanea. I più importanti fra essi sono: la sovrappopolazione
che scatena aggressività , la devastazione dello spazio vitale, la competizione
esasperata fra gli uomini, il venir meno dei sentimenti, il deterioramento
dello stesso patrimonio genetico, il rifiuto violento della tradizione,
l'indottrinamento esasperato, le armi nucleari (Otto peccati, 137).
Con aggressività si intende il conflitto intra-specifico,
diretto contro membri della stessa specie e non quello (delle varie
specie fra di loro inter-specifico).
La lotta per la sopravvivenza, di cui parla Darwin, è appunto questa
ed è la sola che faccia progredire l'evoluzione. Senonché tale lotta
è diventata «nell'attuale situazione storico - culturale e tecnologica
dell'umanità il più grave di tutti i pericoli» (Aggressività, 66). La
concorrenza sfrenata fra gli uomini per l'utilizzo delle risorse rischia,
infatti, di cacciare l'evoluzione in un vicolo cieco non-funzionale
e dunque potenzialmente autodistruttivo.
Lorenz cerca prima di tutto di spiegare i nessi causali che hanno condotto
a un simile risultato. Tutti i grandi predatori hanno dovuto sviluppare,
nel corso della filogenesi, una radicale inibizione a usare le loro
potenti armi naturali contro membri della stessa specie, pena l'inevitabile
estinzione. Un lupo, ad esempio, non ucciderà mai un altro lupo che
gli offre la gola in segno di sottomissione, e basterebbe un semplice
morso. Qui l'inibizione è fortissima e agisce sistematicamente. Nell'uomo
invece essa è assente in quanto egli è privo di armi naturali con le
quali possa, in un sol colpo, uccidere una grossa preda: «nessuna pressione
selettiva si formò nella preistoria dell'umanità per generare meccanismi
inibitori che evitassero l'uccisione di conspecifici finché, tutto d'un
tratto, l'invenzione di armi artificiali portò lo squilibrio fra la
capacità omicidiale e le inibizioni sociali» (Aggressività, 314-315).
Da qui il proliferare patologico di una violenza senza freni, esercitata
mediante armi che colpiscono da lontano e in modo anonimo, rafforzata
dall'evidente contrasto fra la nobiltà dei valori etici -come la tolleranza
e il cosmopolitismo- e il permanere di istinti fondamentali e atavici
come la difesa del proprio gruppo e del proprio territorio contro qualunque
invasore e ogni possibile minaccia.
«La violenza è il destino della nostra specie. Ciò che cambia sono le
forme, i luoghi e i tempi, l’efficienza tecnica, la cornice istituzionale
e lo scopo legittimante» (Sofsky, 193).
Indicazioni bibliografiche
Elias
Canetti, Massa e Potere, Adelphi
Konrad
Lorenz,
Gli otto peccati capitali della nostra civiltà, Adelphi
Konrad
Lorenz,
L'aggressività, Mondadori
Irenaeus
Eibl-Eibesfeldt,
Etologia della guerra, Bollati Boringhieri
Wolfang
Sofsky,
Saggio sulla violenza, Einaudi
Jared
Diamond,
Armi, acciaio e malattie, Einaudi
Alberto
Biuso, Antropologia e Filosofia, Guida
Prof.
Alberto Biuso
mail: biusoal@mclink.it
http://www.beccaria.mi.it/beccarioti/biuso/filosofia.htm
fax: 02.700.425.619