E'
iniziata la scuola in molte città d'Italia. Potremmo fare una lezione
di storia.
Come docente della materia inviterei i colleghi e gli studenti a riflettere
su come nascono le guerre e a compiere una ricerca per vedere quante
guerre sono iniziate con le stesse dinamiche con cui sta nascendo la
guerra attuale, per ora solo dichiarata sui giornali.
Spesso le guerre scoppiano nello stesso modo: un indizio diviene una
prova e un atto di terrorismo viene scambiato per un atto di guerra.
Ma nonostante si vada a scuola non si impara mai abbastanza e non si
sfogliano neppure i libri quando l'Impero ci chiama a combattere. E
di Impero vorrei parlare, quello dell'Austria-Ungheria di 87 anni fa.
In questi giorni l'Afghanistan è accusato di coprire il terrorismo
e si dà per certo ciò che si deve dimostrare: la regia di quello Stato
dietro l'attentato. Vi invito a leggere questo testo qui sotto in cui
si analizza come una superpotenza dell'inizio del secolo scorso (l'Impero
austroungarico) dette per certa la copertura della Serbia per l'attentato
terroristico in cui perì l'erede al trono. E' la storia di come è scoppiata
la prima guerra mondiale, guerra scaturita da un atto di terrorismo
che venne considerato atto di guerra. E' la storia di indizi che dovevano
risultare certezze. Alla fine gli indizi si persero per strada e rimasero
solo le cannonate. Evidenzio in grassetto le parti che mi sembrano piu'
interessanti.
"Il 28 giugno 1914 nella città di Sarajevo, capitale della Bosnia (la
regione che l'Austria-Ungheria aveva annesso nel 1908), uno studente
nazionalista impugnò la pistola e sparò contro l'erede al trono austro-ungarico,
l'arciduca francesco Ferdinando, che restò ucciso insieme con la moglie
(...) Il governo austro-ungarico
attribuì immediatamente la responsabilità dell'attentato alla Serbia
e cercò di sfruttare il tragico avvenimento per infliggerle un
colpo definitivo. La Serbia era la maggiore
indiziata perché aveva sempre condannato l'annessione della
Bosnia da parte dell'Impero austro-ungarico e manifestava nei confronti
di questo un'ostilità irriducibile. Oggi noi sappiamo che il governo serbo
non aveva responsabilità dirette nell'attentato: era al corrente che
un gruppo di terroristi stava preparandolo, ma non riuscì ad impedirlo.
Il
governo austro-ungarico ritenne tuttavia che gli indizi fossero sufficianti
e lanciò un ultimatum:
entro due giorni la Serbia avrebbe dovuto sciogliere tutte le formazioni
antiaustriache e consentire a funzionari austriaci di
compiere ispezioni sul suo territorio per accertare
le responsabilità dell'attentato. La Serbia accettò il primo punto ,
ma rifiutò le ispezioni,
ordinando contemporaneamente la mobilitazione generale
(cioè la chiamata alle armi della popolazione). Era la guerra: quando
il 28 luglio la capitale della Serbia, Belgrado, fu bombardata dai cannoni
austriaci, si scatenò una reazione a catena che trascinò nel conflitto,
una dopo l'altra, tutte le grandi potenze europee".
Calvani, Giardina - "La storia dall'Illuminismo ai giorni nostri", Arnoldo
Mondadori
Ho cercato varie definizioni di guerra e tutte danno torto a Bush
che tenta di convincere noi e il mondo che l'orrenda serie di attentati
negli Usa siano un "atto di guerra". Una guerra può causare meno morti
di un atto di terrorismo, non è nella enorme e mostruosa lista dei morti
americani di questi giorni che troviamo la ragione per dire "guerra".
Ecco come è definita la "guerra" sui libri che usiamo a casa e a scuola.
"Lotta armata tra due popoli o fra due o più Stati divisi in campi opposti".
- Enciclopedia
Generale De Agostini Compact. Edizione 1988
"Contesa
armata tra due o più Stati".
- Pittano
Giuseppe, Bidizionario italiano linguistico e grammaticale
. Edizione 1981
"La
lotta armata tra due o più Stati o tra fazioni di uno stesso Stato".
- Dizionario
Garzanti della lingua italiana. Edizione 1980
"Lotta
tra due stati o all'interno di uno stato, condotta con le armi, con
o senza l'osservanza del diritto internazionale in materia".
- Sabatini
Francesco, Coletti Vittorio, DISC Dizionario Italiano Sabatini
Coletti. Edizione 1997
Sorge
a questo punto il dubbio se siano ancora validi i dizionari e se noi
insegnanti serviamo ancora a qualcosa. E se la cultura e la guerra possano
convivere senza che l'una elimini l'altra. La guerra del Golfo fu definita
"operazione di polizia internazionale" per non confliggere con l'articolo
11 della Costituzione Italiana. La guerra in Kossovo venne definita
"operazione umanitaria" per la stessa ragione. Vennero cambiate le parole
perché non potevano cambiare le leggi. Ora che la parola guerra dovrebbe
essere abolita dai giornalisti e dai politici in quanto non corrispondente
al significato codificato nella lingua dai discorsi (di terrorismo e
non di guerra si tratta e le definizioni qui sopra sono limpide)
ecco che invece salta fuori la parolaccia: guerra. La ragione? Un terrorista
si deve arrestare e processare, un nemico lo si può ammazzare senza
bisogno di processo. Di guerra parlò il Movimento Sociale Italiano di
Giorgio Almirante al tempo delle Brigate Rosse, chiedendo l'uso dell'esercito
e invocando la pena di morte, tanto per intenderci. Ma in quel caso
Almirante aveva una ragione in più di Bush: considerava le BR come promotrici
di una guerra civile. E la "guerra" aveva una sua pretestuosità semantica
nella retorica di Almirante. Ma Bush ci chiede di metter da parte i
libri, la cultura, il significato delle parole e ci dice semplicemente:
nulla sarà più come prima.
Prof.
Alessandro Marescotti
Docente di Italiano e Storia