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Lezione di storia
Alessandro Marescotti

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From: Alessandro Marescotti
To: pck-scuola@peacelink.it
Sent: Monday, September 17, 2001 12:15


AM Subject: Lezione di storia:
gli indizi bastano a dichiarare guerra?

E' iniziata la scuola in molte città d'Italia. Potremmo fare una lezione di storia.
Come docente della materia inviterei i colleghi e gli studenti a riflettere su come nascono le guerre e a compiere una ricerca per vedere quante guerre sono iniziate con le stesse dinamiche con cui sta nascendo la guerra attuale, per ora solo dichiarata sui giornali.
 
Spesso le guerre scoppiano nello stesso modo: un indizio diviene una prova e un atto di terrorismo viene scambiato per un atto di guerra.
 
Ma nonostante si vada a scuola non si impara mai abbastanza e non si sfogliano neppure i libri quando l'Impero ci chiama a combattere. E di Impero vorrei parlare, quello dell'Austria-Ungheria di 87 anni fa.

In questi giorni l'Afghanistan è  accusato di coprire il terrorismo e si dà per certo ciò che si deve dimostrare: la regia di quello Stato dietro l'attentato. Vi invito a leggere questo testo qui sotto in cui si analizza come una superpotenza dell'inizio del secolo scorso (l'Impero austroungarico) dette per certa la copertura della Serbia per l'attentato terroristico in cui perì l'erede al trono. E' la storia di come è scoppiata la prima guerra mondiale, guerra scaturita da un atto di terrorismo che venne considerato atto di guerra. E' la storia di indizi che dovevano risultare certezze. Alla fine gli indizi si persero per strada e rimasero solo le cannonate. Evidenzio in grassetto le parti che mi sembrano piu' interessanti.

"Il 28 giugno 1914 nella città di Sarajevo, capitale della Bosnia (la regione che l'Austria-Ungheria aveva annesso nel 1908), uno studente nazionalista impugnò la pistola e sparò contro l'erede al trono austro-ungarico, l'arciduca francesco Ferdinando, che restò ucciso insieme con la moglie (...) Il governo austro-ungarico attribuì immediatamente la responsabilità dell'attentato alla Serbia e cercò di sfruttare il tragico avvenimento per infliggerle un colpo definitivo. La Serbia era la maggiore indiziata perché aveva sempre condannato l'annessione della Bosnia da parte dell'Impero austro-ungarico e manifestava nei confronti di questo un'ostilità irriducibile. Oggi noi sappiamo che il governo serbo non aveva responsabilità dirette nell'attentato: era al corrente che un gruppo di terroristi stava preparandolo, ma non riuscì ad impedirlo.
Il governo austro-ungarico ritenne tuttavia che gli indizi fossero sufficianti e lanciò un ultimatum: entro due giorni la Serbia avrebbe dovuto sciogliere tutte le formazioni antiaustriache e consentire a funzionari austriaci di compiere ispezioni sul suo territorio per accertare le responsabilità dell'attentato. La Serbia accettò il primo punto , ma rifiutò le ispezioni, ordinando contemporaneamente la mobilitazione generale (cioè la chiamata alle armi della popolazione). Era la guerra: quando il 28 luglio la capitale della Serbia, Belgrado, fu bombardata dai cannoni austriaci, si scatenò una reazione a catena che trascinò nel conflitto, una dopo l'altra, tutte le grandi potenze europee".
Calvani, Giardina - "La storia dall'Illuminismo ai giorni nostri", Arnoldo Mondadori

Ho cercato varie definizioni di guerra  e tutte danno torto a Bush che tenta di convincere noi e il mondo che l'orrenda serie di attentati negli Usa siano un "atto di guerra". Una guerra può causare meno morti di un atto di terrorismo, non è nella enorme e mostruosa lista dei morti americani di questi giorni che troviamo la ragione per dire "guerra". Ecco come è definita la "guerra" sui libri che usiamo a casa e a scuola.

"Lotta armata tra due popoli o fra due o più Stati divisi in campi opposti".
Enciclopedia Generale De Agostini Compact.  Edizione 1988

"Contesa armata tra due o più Stati".
Pittano Giuseppe,  Bidizionario italiano linguistico e grammaticale .  Edizione 1981

"La lotta armata tra due o più Stati o tra fazioni di uno stesso Stato".
Dizionario Garzanti della lingua italiana.  Edizione 1980

"Lotta tra due stati o all'interno di uno stato, condotta con le armi, con o senza l'osservanza del diritto internazionale in materia".
Sabatini Francesco, Coletti Vittorio, DISC Dizionario Italiano Sabatini Coletti.  Edizione 1997

Sorge a questo punto il dubbio se siano ancora validi i dizionari e se noi insegnanti serviamo ancora a qualcosa. E se la cultura e la guerra possano convivere senza che l'una elimini l'altra. La guerra del Golfo fu definita "operazione di polizia internazionale" per non confliggere con l'articolo 11 della Costituzione Italiana. La guerra in Kossovo venne definita "operazione umanitaria" per la stessa ragione. Vennero cambiate le parole perché non potevano cambiare le leggi. Ora che la parola guerra dovrebbe essere abolita dai giornalisti e dai politici in quanto non corrispondente al significato codificato nella lingua dai discorsi (di terrorismo e non di guerra si tratta  e le definizioni qui sopra sono limpide) ecco che invece salta fuori la parolaccia: guerra. La ragione? Un terrorista si deve arrestare e processare, un nemico lo si può ammazzare senza bisogno di processo. Di guerra parlò il Movimento Sociale Italiano di Giorgio Almirante al tempo delle Brigate Rosse, chiedendo l'uso dell'esercito e invocando la pena di morte, tanto per intenderci. Ma in quel caso Almirante aveva una ragione in più di Bush: considerava le BR come promotrici di una guerra civile. E la "guerra" aveva una sua pretestuosità semantica nella retorica di Almirante. Ma Bush ci chiede di metter da parte i libri, la cultura, il significato delle parole e ci dice semplicemente: nulla sarà più come prima.

 

Prof. Alessandro Marescotti
Docente di Italiano e Storia
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