Le barriere culturali
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Le barriere culturali


 


Le frontiere culturali sono in realtà delle barriere che delimitando l’ambiente sociale operando una netta divisione nelle sue varie componenti: etnie, classi, popoli, gruppi religiosi.


Le barriere sociali sono utilizzate per distinguere, per affermare un’identità e sono principalmente utili strumenti di indagine sociologica. La realtà che ci circonda, infatti, appare composta da molteplici variabili, sfuggente e complessa. La divisione in categorie, seppur semplicistica, assume il ruolo di strumento di indagine, in quanto smembrandola in più settori e scomparti, permette uno studio più agevolato, anche se parziale. Si cerca, cioè, di capire il funzionamento di ogni singolo fattore, i suoi meccanismi di azione, per poi analizzare le sue interazioni con le altre parti.


 


Ma, quando la barriera sociale e culturale, da mero strumento di indagine diventa parte del pensiero con cui ci si rapporta con l’esterno, le cose non solo cambiano prospettiva, ma, rischiano di trasformarsi in fattori altamente patologici.


L’identità culturale, che si esplica in una serie di atteggiamenti, scale di valori civili, religiosi, orientamenti di pensiero, viene rafforzata ed esaltata proprio da questa divisione binaria che pere sua intrinseca natura viene stratificata in senso verticale, inferiore/superiore, amico/nemico. Inoltre, la società di appartenenza,attua sugli attori sociali un’ulteriore pressione, sicché questi orientamenti di pensiero, risultano sempre più radicati dentro di noi.


 


Le barriere di tipo fisico, sono in qualche modo superabili, le barriere culturali restano, perciò, più difficili da superare poiché, spesso, risultano inconsce. Le si apprendono, infatti, fin dall’infanzia e si manifestano tramite atteggiamenti aggressivi verso gli altri ( in particolare il diverso, l’estraneo), e con una comunicazione patologica imperniata sul controllo, sulla manipolazione della realtà, e sugli stereotipi.


 


Per superare le barriere culturali, occorre fare una vera e propria destrutturazione della personalità sociale, agire sui suoi modi di pensare,di approcciarsi al reale, e di costruire la propria realtà. Se non si agisce modificando gli assunti culturali corrotti o patologici, si rischia di mettere in campo comportamenti che tendono non solo alla segregazione, ma anche alla distruzione dell’intero corpus sociale. Le barriere culturali, infatti, mettono in antagonismo parti che in realtà sono interdipendenti tra di loro; si tratta cioè di minare le basi della civiltà stessa, frutto di una fondamentale cooperazione, e collaborazione tra più parti. L’eterno antagonismo, il desiderio che la parte dotata i un atteggiamento di superiorità sottometta la parte che di riflesso assume una connotazione inferiore, innescano una reazione di causa ed effetto che  nel lungo periodo diverranno sempre più esplosive e pericolose, portando la civiltà sull’orlo del collasso.


 


Come rimediare? In una situazione patologica, di solito, si tende a curare il sintomo ma non la causa. Ed è questo il sentimento che agisce come benzina sul fuoco. Curare e modificar la causa, è sicuramente un processo lungo e difficile ma necessario. Significa andare a ricercare il famoso bandolo della matassa e ristabilire, se non l’unità originaria, il senso di comune appartenenza, di reciproca interdipendenza, di cooperazione che , caratterizza da sempre la specie umana. Significa porre la concorrenza non sul piano dell’annientamento totale dell’altro, ma sulla sana spinta al miglioramento costante. Questa diversa concezione della competizione, assumendo come propria l’ottica della crescita e dell’evoluzione, presuppone il riconoscimento formale dell’avversario, come dotato degli stessi diritti, delle stesse potenzialità, delle stessa capacità dell’altro. Riconoscere l’altro da se come oggetto avente diritti, doveri e potenzialità, è il primo passo verso una trasformazione del pensiero sociale, e rappresenta un requisito imprescindibile per l’attuazione di una vera a propria convivenza multietnica.


 


Questo riconoscimento però non va confuso con l’atteggiamento di tolleranza. Se io riconosco l’altro come mio pari posso anche non tollerarlo, posso condividerlo o meno ma il confronto si sposterà comunque e sempre sul piano del rispetto. Da un dialogo così improntato potranno nascere nuove modalità di convivenza, potranno usciere fuori delle nuove civiltà, dei nuovi assunti culturali. Il risultato sarà, comunque, il cambiamento e l’evoluzione non la distruzione. Confrontarsi sui grandi temi del multiculturalismo significa porsi in uno stato di ascolto, di predisposizione alla trasformazione, alla flessibilità. Potrà prendere per modello la civiltà che reputo più omogenea o armonica, oppure potrà indurre una modifica dei principi portanti di una civiltà senza però, apparire come una distruzione e come una perdita di identità.


 


La tolleranza, invece, viene usata, nel contesto multiculturale, in modo improprio. Nel caso dell’immigrazione,si tratta di un approccio banale per affrontare una situazione delicata come quello dell’incontro tra due culture diverse. La tolleranza presuppone un ipocrita atteggiamento di passiva accettazione, che in realtà nasconde una sottile e pericolosa forma di razzismo. Tollerare tutto significa porsi comunque, in un atteggiamento di superiorità; chi assume questo atteggiamento si ritiene tanto superiore da sopportare o lasciar correre, le stravaganze dell’altro considerato così inferiore da insistere con atteggiamenti o assunti primitivi o nel peggior caso infantili.


 


Tollerare tutto senza fermarsi a capire è solo una pericolosa forma di leggerezza. L’incontro con l’altro che è sempre diverso da noi, significa uscire da se stessi, essere curiosi, disposti a capire ed accettare le diversità ma senza assumere l’atteggiamento paternalista che spesso accompagna l’atteggiamento di tolleranza. Significa anche che non necessariamente bisogna accettare ciò che si scontra con i cosiddetti valori universali. Ci sono valori che si protraggono nei secoli e che rappresentano l’essenza stessa dell’essere umano. Il rispetto della vita, l’altruismo, l’armonia la coscienza di una legge non scritta ma impressa nel nostro DNA, significa che ognuno di noi, nell’incontro con l’altro deve aspirare alla stessa armonia che gli antichi ritrovavano nel cielo. Significa ricreare la divinità in terra, con lo stesso meccanismo di proporzione mirabile, di corrispondenza e di equilibrio.


 


Significa che l’uomo è investito del sacro compito di portare avanti la creazione, di creare egli stesso forme nuove. Ma significa anche che per la sua natura essenzialmente divina quelle forme nuove non possono esulare dalla famose proporzioni divine, dai dettami del libro del cielo, o semplicemente da quelli che Sant’Agostino chiamava le Verità Eterne.


 


Micheli Alessandra


 

email:alessandramicheli@virgilio.it

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