L’educazione interculturale
Alessandra Micheli
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L’educazione interculturale


 


L’incontro tra culture diverse, favorito dal fenomeno sociale delle migrazioni e dal progresso dei mezzi di comunicazione e di trasporto, ha portato a coniare un nuovo termine nuovo per descrivere la società post-moderna: interculturalità. In questa parola si racchiudono tutti i fenomeni della modernità, la globalizzazione , interdipendenza economica tecnologica ed ecologica fra le diverse componenti di un mondo in cui i problemi  e le scelte di una parte dell’umanità coinvolgono tutti in maniera più meno diretta. L’interculturalità si propone alle varie culture umane e ai loro membri come un nuovo modo di essere in relazione. Implica un approccio che abbandoni l’aggressività della logica egoistica e competitiva e una reale disponibilità a capire le ragioni degli altri affrancandosi da pregiudizi e posizioni etnocentriche. L’interculturalità richiede formazione per poter sviluppare ed acquisire:


1.  una nuova intelligenza politica delle questioni mondiali,


2.  una nuova capacità relazionale nei rapporti con gli altri


3.   una nuova maturità etica che portino l’uomo a svincolarsi da logiche legate ai rapporti di forza e all’interesse immediato.


Si tratta in sostanza di individuare un nuovo patto di convivenza che possa opporsi efficacemente all’ipotesi attuale di uno scontro di civiltà e prevenga anche i conflitti di dimensione locale tra gruppi umani di diversa appartenenza etnica e religiosa. L’educazione interculturale si rivolge a tutti i sistemi educativi che si devono proporre di guidare le persone (ragazzi genitori, insegnanti) alla covivialità delle differenze. Per fare ciò  deve operare una revisione critica dei saperi insegnati e dei valori considerati fondamento dell’attuale civiltà. Questo perché i valori devono adattarsi non solo alle esigenze dei tempi ma anche perché valori e persone di influenzano a vicenda. Ponendosi come obiettivo l’educazione alla convivenza deve necessariamente modificare e trasformare i valori precedenti in cui l’identità era sentita come un fattore da ricercarsi all’esterno di se stessi come marchio che distingueva i nemici dagli amici, il diverso come minaccia dal cittadino integrato. In questa fase storica la logica binaria amico/nemico non ha più la sua ragione d’esistere e il diverso deve necessariamente essere considerato come un fattore di crescita e non di ostacolo. Di conseguenza l’immigrazione deve essere studiato e considerato un fenomeno complesso che per essere pienamente compreso ha bisogno di servirsi di discipline differenti:


a)      un fenomeno psicologico, individuale ed esistenziale


b)      sociologico collettivo statistico-demografico


c)studio di taglio antropologico delle diverse civiltà umane la loro nascita evoluzione   e il contributo che esse hanno appartato alla storia globale.


d)      Va vista come un elemento di crescita e di evoluzione che non può intaccare l’intergità morale di uno stato qualora esso si fondi sui cosiddetti principi del diritto naturale( quello che in sostanza riconosce e difende la specificità umana personale e umana globale morale e fisica), ma può apportare benefici di cambiamento allo stato ospitante che risente di una certa staticità e chiusura culturale.


L’immigrazione gioca tutto sul terreno del confronto tra culture e valori. Questo confronto può apportare sia benefici se è effettuato con apertura e flessibilità sia chiusure quando è impostato sulla superiorità  culturale. Se ci riconosciamo parti di uno stesso tutto allora possono nascere ibridi e clonazioni che appontano benefici evolutivi all’umanità; sulla base di una visone del rispetto e della crescita il confronto porta ad abbandonare abitudini che si oppongono al libero sviluppo umano. E alla conoscenza. Ma se invece una parte tende ad considerarsi superiore all’altro senza quindi stimolare il bisogno di crescita tenderà a sopraffare e sottomettere la parte considerata inferiore con il conseguente risultato di scatenare una reazione più o meno violenta. Ognuno dunque resterà sulle proprie posizioni cosicché si avrà un ristagno culturale. In realtà educare le persone a vivere tra due mondi (immigrato e paese ospitante) e a considerare la doppia identità come una ricchezza piuttosto che come una patologica schizofrenia significherebbe riconoscere l’uomo come essere multiplo e complesso. Come un’entità in grado di prendere i valori elaborarli e creare forme nuove; in questo caso l’identità doppia è l’intraprendere il viaggio eterno dentro di se e tra le mille possibilità umane. Significa esaltare la flessibilità a scapito della staticità.


Per ottenere tali risultati flessibilità a discapito della chiusura culturale si deve pertanto effettuare una revisione critica dei saperi insegnati a scuola. La prospettiva storica attuale infatti soffre di etnocentrismo; ossia ogni sapere viene interpretato, analizzato, studiato da una prospettiva dei cosiddetti vincitori a discapito dei vinti. Questa ha la pecca di valorizzare a volte la cultura di origine dei paesi di appartenenza di alcuni immigrati quasi a voler sottolineare come la civiltà, la cultura intesa come crescita evolutiva della conoscenza sia esclusivo appannaggio soltanto di alcuni paesi il cospetto occidente. Oltre ad abbassare l’autostima tale nefasto meccanismo innesca sentimenti di rivalsa, tali sentimenti uniti al desiderio di appartenenza a una civiltà superiore spinge spesso a rifugiarsi in risentite affermazioni fondamentaliste. L’immigrato che si sente provenire da una cultura svantaggiata sarà spinto a esasperare il suo senso di appartenenza eliminando ogni stimolo al confronto e alla crescita. Oppure sarà spinto a rinnegare la priorità cultura di origine senza pertanto essere mai del tutto accettato da quella ospitante in quanto sarà sempre l’altro fuori dallo schema dei vincitori, questo provocherà disagi sempre più crescenti fino ad causare un vero e proprio shock culturale


Decentrare la propria prospettiva invece consente di analizzare in modo chiaro e netto gli impedimenti alla comprensione reciproca. E’ un osservare al di fuori  e assorbire il concetto di complessità culturale. Si parte dalla propria cultura con l’intento di farla evolvere, ampliarla e in un certo senso superarla. Spostando il proprio punto di vista consente di capire che nessuna diversità è minaccia insuperabile ma rappresenta una possibilità di incontro e dialogo. Il dialogo in quanto scambio permette non solo di far crescere una cultura o una civiltà ma permette anche di trovare elementi in comune che prima sembravano impossibili da reperire. Mettere in discussione se stessi e i presupposti culturali è il mezzo icon cui la educazione interculturale si propone di avvicinare le persone, persone e non etichette o stereotipi privi di senso. La formazione del carattere è pertanto importante nel controllo di fenomeni come lo scontro/incontro tra culture e può essere ottenuta indebolendo la tendenza ala rivalità e alla competizione. Queste componenti sono deleterie perché influenzano la percezione che noi abbiamo nei confronti dell’altro. Spesso sono causate da una cultura che ha in se tali componenti patologiche che provocano fraintendimenti e pregiudizi spesso inconsci.

L’apprendimento di abitudini apercettive avviene  in una zona della coscienza inaccessibile alla razionalità; ogni pregiudizio sull’altro pertanto comprometterà ogni futuro incontro. Si avrà così una semplificazione delle idee a scapito della complessità della vita e della realtà e di conseguenza una semplificazione delle persone impedendo l’evolversi naturale di un contatto. L’educazione interculturale in sintesi deve poter riuscire a spezzare il cerchio della logica formale occidentale aprendo il cerchio fisso del concetto.


 

Alessandra Micheli
email: alessandramicheli@virgilio.it  

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