La sfida della mediazione linguistico-culturale. Intervista a Gianfranco Bonesso Roberto Carnero*
L'arrivo dei ragazzi immigrati nelle scuole italiane ha stimolato domande e modelli di intervento che coinvolgono l'intero assetto didattico, giuridico, culturale, pedagogico. Tenendo conto che la migrazione di fatto si configura come un 'fatto sociale totale', trasversale a tutti i settori e ambiti della vita quotidiana, si comprende come le risposte debbano essere plurime e capaci di affrontare la complessità. Ne parliamo con un esperto, Gianfranco Bonesso.
Gianfranco Bonesso, esperto di immigrazione e interculturalità e responsabile di un gruppo operativo del Servizio Immigrazione del Comune di Venezia, ha coordinato progetti per l'inserimento scolastico, la mediazione linguistico-culturale, l'orientamento e la partecipazione dei 'nuovi cittadini' di origine immigrata. Docente a contratto di Etnografia all'Università Ca' Foscari di Venezia, è particolarmente interessato all'antropologia applicata nell'ambito dell'immigrazione.
Professor Bonesso, in cosa consiste la mediazione linguistica e culturale nelle scuole? Presente in Italia dagli anni '80, in sintonia con l'arrivo massiccio di immigrati adulti e successivamente di famiglie, 'mediazione linguistico-culturale' è un termine che qualifica varie funzioni. La più semplice concettualmente, ma non operativamente, è quella della comunicazione. 'Mediare' vuol dire favorire la comunicazione e la comprensione reciproca. Il primo utilizzo dei mediatori nella scuola ha risposto, quindi, alla esigenza fondamentale di comunicare, collegata al diritto-dovere all'istruzione per i ragazzi, qualunque sia la loro condizione (italiani/immigrati, regolari/irregolari ecc.).
Quali sono, dal punto di vista operativo, le principali funzioni della mediazione linguistico-culturale nella scuola? La costruzione di un momento specifico di accoglienza per il ragazzo neo-arrivato e per la sua famiglia; la ricostruzione della biografia scolastica, del 'prima' rispetto al 'qui e ora'; la spiegazione delle regole del funzionamento scolastico e della frequenza; l'attenzione alla creazione di condizioni di benessere del bambino e del ragazzo straniero neo-arrivato come presupposto per l'apprendimento; la collaborazione per costruire un primo progetto individualizzato di didattica; il rapporto con la famiglia in questa fase di accompagnamento; un breve eventuale affiancamento nei primi giorni, in armonia con il modello di inserimento previsto dalla scuola; la presenza e la consulenza dei mediatori nei momenti critici (assenze prolungate, difficoltà ricorrenti ecc.); la garanzia di interpretariato e mediazione nei momenti cruciali (valutazioni, consegna schede, ricevimenti ecc.); la collaborazione nella costruzione di progetti interculturali; una specifica attenzione ai momenti di comunicazione e partecipazione dei genitori (specie neo-arrivati); il coinvolgimento nella redazione di materiali di valutazione, didattica (specie multilinguistici); la ricerca sui sistemi scolastici nei paesi di origine; l'orientamento dei genitori ancor prima dell'arrivo dei figli con i ricongiungimenti; la consulenza per comprendere quali difficoltà eventuali del ragazzo e della famiglia derivino da elementi legati alla migrazione. Risulta in ogni caso come il ruolo del mediatore sia concentrato sull'area della comunicazione, sugli aspetti socio-culturali e relazionali, con una azione limitata sul piano della didattica che rimane di pertinenza dell'insegnante e, eventualmente, dei facilitatori.
Se queste sono alcune funzioni ricorrenti della mediazione, naturalmente esistono specificità nei diversi contesti. Quali sono le differenze dello 'strumento mediazione' nelle scuole superiori? Nelle scuole superiori il mediatore deve prevedere un maggiore rapporto con il ragazzo interessato. Uno degli elementi centrali, per esempio, è la scelta del percorso scolastico. Perché quella scuola e non un'altra? Chi decide? Sulla base di quali elementi? Il tema della motivazione e del ri-orientamento a seguito di una scelta sbagliata sono azioni ricorrenti che, nella nostra esperienza, impegnano il mediatore e l'educatore. Nell'impatto con le superiori giocano maggiormente, rispetto agli altri ordini di scuole, le aspettative dell'adolescente rispetto al paese di arrivo, ma talvolta anche le sue frustrazioni per una scelta di migrazione che non è totalmente sua e che lo ha costretto a separarsi da relazioni significative nel paese di origine. Questi aspetti motivazionali incidono molto sulle carriere scolastiche di adolescenti stranieri e si inseriscono nel disegnare un contesto favorevole oppure ostacolante, che è condizione fondamentale dell'apprendimento, accanto alle difficoltà tecniche costituite, per esempio, dai linguaggi specialistici delle varie discipline. La mediazione e l'orientamento cercano di affrontare questi aspetti, bilanciando le richieste dei ragazzi con i desideri dei genitori, che in alcuni casi conoscono poco i figli, cresciuti in patria da parenti.
Vuole descrivere gli interventi messi in atto in tal senso dal Comune di Venezia? Tutte le funzioni indicate sopra sono state sperimentate dai mediatori del Servizio Immigrazione del Comune di Venezia, nell'ambito del progetto 'Tutti a scuola', attivo dal 1999 in poi. Il modello adottato a Venezia distingue la mediazione dalla facilitazione linguistica, dalla didattica, dalla progettazione pedagogica, e situa la mediazione nello spazio delicato, fragile e mobile, del rapporto tra la scuola e il territorio, tra gli insegnanti e la famiglia, tra il prima e il dopo l'arrivo in Italia. Le funzioni si sono evolute per importanza nei diversi anni. Inizialmente, l'attenzione è stata concentrata sul diritto all'istruzione e all'accoglienza. È stato ed è molto difficile affermare la priorità dell'iscrizione per età anagrafica (ricordo che in Italia abbiamo anche per questa ragione alti tassi di ritardo scolastico per i ragazzi immigrati), è stato complesso stimolare la creazione di apposite commissioni di accoglienza che avessero in mente il bambino e il ragazzo al suo arrivo e nelle sue 'destinazioni'. I docenti più attenti, anche con l'aiuto di operatori, mediatori e facilitatori sono poi riusciti a costruire quelli che ora si chiamano 'protocolli di accoglienza'.
Si tratta di esperienze 'esportabili' anche in altri contesti? Interventi di mediazione come i nostri sono esportabili in altre realtà ad alcune condizioni: avere o costruire un gruppo di intervento multidisciplinare, possibilmente in condizioni di terzietà rispetto ai soggetti in campo (scuole e famiglia). Questo facilita gli interventi tra scuola e territorio, in quanto consente una reciproca autonomia su interventi concordati e obiettivi comuni; nello stesso tempo stimola la collaborazione e il confronto. È poi essenziale la presenza di mediatori formati. Nel nostro caso abbiamo scelto mediatori con esperienza migratoria alle spalle, con un livello scolastico di base e una formazione come mediatori di almeno 300-500 ore (in corsi che noi stessi abbiamo organizzato). È necessario, comunque, assicurare un coordinamento periodico e una formazione/aggiornamento ricorrente. Serve, inoltre, un forte ancoraggio nel sociale e una comprensione dei fenomeni migratori in quel territorio: la mediazione a Venezia è garantita da un dispositivo incardinato presso il Servizio Immigrazione del Comune: è quindi possibile un confronto in tempi reali con le dinamiche del fenomeno a livello cittadino.
*Docente di Letteratura e cultura nell'Italia contemporanea all'Università Statale di Milano
Pubblicato il 10/10/2006
http://www.treccani.it/site/Scuola/nellascuola/area_lingua_letteratura/italiano/carnero.htm
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