Disabilità, finalmente si volta pagina

Vita del 07/11/2023

Progetto di vita, un unico soggetto per la certificazione della disabilità, una valutazione multidimensionale: sono i pilastri del cambiamento disegnato dai nuovi decreti della legge delega sulla disabilità. A due condizioni, dice Roberto Speziale, presidente di ANFFAS: «Che le regioni e le autonomie locali facciano fino in fondo la loro parte e che ci siano più risorse nel nuovo Fondo unico per la disabilità».

ROMA. Venerdì 3 novembre il Consiglio dei ministri ha licenziato i due decreti attuativi più attesi della delega sulla disabilità. Il progetto di vita, la valutazione multidimensionale e le necessità di rivedere tutto il sistema della valutazione iniziale sono da anni temi cari all’Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo-ANFFAS. Il presidente nazionale di Anffas, Roberto Speziale, che è anche vicepresidente vicario della Fish e coordinatore della Consulta Welfare del Forum Terzo Settore, ha coordinato diversi tavoli di lavoro su questi temi: è la persona giusta per capire davvero la portata del cambiamento.

Possiamo dire che questi due decreti sono un po’ il cuore della riforma?  
  I decreti che andranno a dare attuazione alla legge 227/2021 sono quattro: semplificazione della Pubblica amministrazione; istituzione del Garante; valutazione di base e valutazione multidimensionale; istituzione della Cabina di regia per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni in favore delle persone con disabilità. Tra questi assume particolare rilievo il decreto che prevede la riunificazione e la semplificazione degli accertamenti esistenti (tra cui quello per l’accertamento dell’invalidità civile, dell’handicap e della disabilità ai fini lavorativi) e che disciplina il nuovo sistema di valutazione multidimensionale della disabilità per la realizzazione del progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato, entro il quale individuare i supporti e coordinarli per lo sviluppo unitario del percorso di vita. Quello prefigurato da questo decreto è un cambiamento epocale che, se correttamente attuato, porterà tre risultati importantissimi:
– una nuova definizione della condizione di disabilità, nonché di “persona con disabilità” nel rispetto di quanto sancito dalla convenzione Onu;
– la revisione integrale dell’attuale sistema di certificazione della condizione di disabilità, introducendo sia la valutazione di base che la valutazione multidimensionale;
– sarà effettivo il diritto a richiedere ed ottenere il proprio progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato, per rimuovere gli ostacoli e per attivare i sostegni utili alle persone con disabilità affinché possano godere del pineo esercizio, su base di uguaglianza con gli altri cittadini, delle libertà e dei diritti civili e sociali nei vari contesti di vita, liberamente scelti.

Partiamo dalle definizioni? 
   È un aspetto di fondamentale importanza perché per la prima volta nel nostro ordinamento vengono inserite definizioni coerenti con quanto previsto dalla convenzione Onu. La definizione di «condizione di disabilità» ora è una duratura compromissione fisica, mentale, intellettiva o sensoriale che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione nei diversi contesti di vita su base di uguaglianza con gli altri. Mentre la «persona con disabilità» è la persona che presenta durature compromissioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione nei diversi contesti di vita su base di uguaglianza con gli altri, accertate all’esito della valutazione di base. Viene fatto espresso divieto di continuare a usare vecchie definizioni quali handicap, persona handicappata, portatore di handicap, persona affetta da disabilità, disabile e diversamente abile, sostituite da «condizione di disabilità» e «persona con disabilità». Anche espressioni come «disabile grave», deve essere sostituito da «persona con necessità di sostegno intensivo».

La ministra Locatelli – che in questa intervista aveva anticipato l’imminente arrivo dei due decreti – punta molto sulla semplificazione delle procedure che la riforma garantisce, sia nella valutazione iniziale che poi nell’eliminazione in moltissimi casi delle fastidiosissime visite periodiche per confermare la condizione di disabilità. Che altro c’è, a livello di macro-cambiamento? 
   Il decreto individua nell’Inps l’unico soggetto a cui è affidato tutto il nuovo sistema di riconoscimento della condizione di disabilità e il procedimento unitario (e unificato) di valutazione di base. Si parte dal 1° gennaio 2026. Un unico punto di accesso per la certificazione della condizione di disabilità, che sarà unificata al processo dell’accertamento dell’invalidità civile, della cecità civile, della sordocecità, degli alunni con disabilità, degli elementi utili alla definizione della condizione di non autosufficienza. Il procedimento è attivato da un certificato medico introduttivo ed è distinto dalla successiva valutazione multidimensionale volta alla predisposizione di un progetto di vita della persona con disabilità. Una grande novità consiste nel fatto che l’intero processo valutativo medico-legale si baserà sull’ICD (International Classification of Diseases) e sugli strumenti descrittivi dell’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute), con particolare riferimento all’attività e alla partecipazione della persona. Verranno quindi impiegati nuovi strumenti, scientificamente validati dall’Organizzazione mondiale della sanità, che prevedono anche partecipazione della persona. Al fine di accertare le necessità di sostegno, di sostegno intensivo o delle misure volte a compensare la restrizione della partecipazione della persona verranno prese in debita considerazione le attività della persona, facendo ricorso alle tabelle medico-legali solo per rilevare la condizione conseguente alla compromissione duratura e non più per le residue capacità lavorative generiche. Tutte le fasi del percorso di riconoscimento della condizione di disabilità dovranno essere improntate ai requisiti di tempestività, prossimità, efficienza e trasparenza. Le visite di verifica circa la permanenza del requisito viene limitata solo a quei casi in cui, rispetto alla situazione che ha dato luogo all’originario riconoscimento, sia prevedibile un miglioramento o una regressione.

Una nuova definizione di disabilità, una nuova valutazione di base, una nuova valutazione multidimensionale, il progetto di vita individuale. Vediamo per i tre o quattro pilastri della riforma, quali sono le novità concrete? Cominciamo da che cos’è il progetto di vita e cosa cambia il fatto che diventi lo strumento di base per individuare sostegni/servizi ecc? 
   Il progetto di vita è lo strumento diretto a realizzare gli obiettivi della persona con disabilità, per migliorare le condizioni personali e di salute nei diversi ambiti di vita, facilitandone l’inclusione sociale e la partecipazione nei diversi contesti di vita su base di uguaglianza con gli altri. La persona che ne richiede l’attivazione concorre – in prima persona o con il supporto di chi ne cura gli interessi – a determinarne i contenuti del progetto stesso  e poi ad apportarvi le modifiche e le integrazioni, secondo i propri desideri, le proprie aspettative e le proprie scelte. Più nello specifico il progetto di vita individua – per qualità, quantità ed intensità – gli strumenti, le risorse, gli interventi, i benefici, le prestazioni, i servizi e gli accomodamenti ragionevoli, volti anche ad eliminare le barriere e ad attivare i supporti necessari per l’inclusione e la partecipazione della persona stessa nei diversi ambiti di vita, compresi quelli scolastici, della formazione superiore, abitativi, lavorativi e sociali. Nel progetto di vita sono comprese anche le misure per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale, nonché gli eventuali sostegni erogabili in favore del nucleo familiare e di chi presta cura ed assistenza. Il progetto di vita deve essere, infine, sostenibile nel tempo ovvero garantire continuità degli strumenti, delle risorse, degli interventi, dei benefici, delle prestazioni, dei servizi e degli accomodamenti ragionevoli.

A livello di risorse, cosa garantirà che ci siano effettivamente per ciascuna persona le risorse necessarie e realizzare quello che il progetto di vita disegna, così che non sia solo un “libro dei sogni”?  
   Questo rappresenta il vero nodo cruciale da risolvere. Un progetto di vita ed un connesso budget di progetto senza la garanzia di adeguate risorse rischia realmente di rappresentare un “libro dei sogni”. Questa ipotesi va scongiurata in tutti i modi. Si sta facendo sempre più strada l’ipotesi di costituire un “fondo unico nazionale per la disabilità”, cosa che già si sta prefigurando nell’attuale legge di bilancio, ma occorre rendere disponibili ulteriori e consistenti risorse aggiuntive. Ad oggi, infatti, il fondo unico è costituito dalle risorse già presenti a sistema e diversamente denominate. Certamente è positivo avere iniziato a prevederlo, ma il tutto deve essere visto nella prospettiva di una cospicua implementazione dello stesso per gli anni a venire. 

Lei parla da anni della necessità di rivedere la valutazione iniziale e di garantire a tutti quel progetto di vita previsto dall’articolo 14 della legge 328 fin dal 2000, ma ancora così poco diffuso. Qual è il senso di questa battaglia? Rispetto agli obiettivi e alle urgenze che il movimento associativo ha individuato, cosa è stato accolto nel decreto e su cosa invece c’è stato un compromesso/c’è ancora da lavorare?
   Il progetto di vita redatto ai sensi e per gli effetti dell’art. 14 della legge 328 del 2000 ha rappresentato, per Anffas, un impegno costante tanto da spingere l’associazione a dotarsi di uno specifico sistema per la costruzione dei progetti denominato “matrici ecologiche e dei sostegni”. Purtroppo, non si può negare che, tranne rari casi, nonostante gli oltre vent’anni trascorsi dall’emanazione della legge 328, le pubbliche amministrazioni non sono state in grado di organizzarsi per realizzare i progetti. Questo ha influito negativamente anche sull’applicazione della legge 112/2016 che vede proprio nel progetto di vita lo snodo centrale attraverso il quale individuare le misure da attivare già nel durante noi. A causa di ciò molte famiglie sono state costrette a ricorrere ai tribunali per vedere riconosciuto tale diritto, ma anche laddove si è ottenuta giustizia è risultata ugualmente poco concreta l’applicazione di quanto contenuto nelle sentenze. La legge delega prima ed il decreto applicativo ora, sembrano volersi fare carico di tali storiche e croniche carenze. In particolare, attraverso il decreto sulla valutazione multidimensionale vengono molto ben fissati e chiariti tutti i passaggi da compiersi da parte dei vari soggetti a ciò preposti e vengono ben definiti ruoli, compiti e responsabilità. È anche previsto un necessario percorso formativo ed un periodo di sperimentazione. Anche il ruolo del Terzo Settore è stato individuato e valorizzato. Inoltre, la scrittura del decreto è stata realizzata con il contributo di tutti i soggetti a vario titolo coinvolti. Quindi sì, sembrano esserci tutte le premesse affinché, nel nostro intero Paese, si possa veramente cambiare pagina. In gioco ci sono i diritti delle persone con disabilità e dei loro familiari ed il miglioramento della loro qualità di vita.
Vero è tuttavia che la legge delega e i suoi decreti attuativi toccano alcuni aspetti fondamentali della vita delle persone con disabilità, ma non si occupano di molti altri temi come il lavoro, la scuola, la salute, i caregiver, etc. In effetti sarebbe necessario pervenire ad una più ampia e complessiva riforma attraverso una legge quadro e un testo unico sulla disabilità. Il lavoro del ricostituendo Osservatorio sulla condizione delle persone con disabilità in merito alla predisposizione del Terzo programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità (oggi abbiamo solo il secondo, approvato nel lontanissimo 2016, ndr) potrebbe rappresentare, anche in tale prospettiva, una grande opportunità.

Affermare che il disegno del sistema non parte più da una offerta predeterminata, uguale per tutti, a cui il singolo deve adattarsi ma al contrario dai “sogni e bisogni” del singolo implica certamente una rivoluzione sui territori. Che poi spesso sono il punto in cui legge bellissime si inceppano. Servono nuove sperimentazioni, capacità di immaginare nuovi servizi e nuove forme organizzative o le esperienze pilota che sono già state fatte sono sufficienti?
   Lo sforzo corale da compiersi da parte di tutti per il prossimo futuro è quello di non adattare le persone a servizi precostituiti e standardizzati ma far sì che siano i servizi ad adattarsi agli specifici e reali bisogni delle persone, appunto attraverso la predisposizione e l’attuazione del progetto di vita. In tale ottica occorre anche mettere in atto una transizione inclusiva dei servizi, sia di quelli attuali che di quelli futuri in modo da garantire alle persone con disabilità di vivere in condizione di pari opportunità con gli altri e di essere realmente posti nella condizione di poter scegliere dove, come e con chi vivere senza essere mai adattati ad una specifica sistemazione. Per fare ciò diventa centrale il ruolo delle comunità nelle quali le persone con disabilitò vivono. Lo stesso Terzo settore è chiamato a cogliere questa nuova ed esaltante sfida, ponendosi nella prospettiva di promuovere un nuovo sistema di welfare basato sui diritti delle persone e generativo anche in termini di innovazione sociale. In molti luoghi quelli che storicamente erano i centri semiresidenziali si stanno evolvendo, divenendo vere e proprie “palestre” per potenziare le autonomie e consentire di vivere appieno le opportunità presenti nelle comunità. Anche le soluzioni alloggiative vedono sperimentare numerose nuove soluzioni: dagli appartamenti di civile abitazione, ai coohousing, a condomini solidali.

Sappiamo che anche in presenza di una legge disegnata molto bene non sempre nell’attuazione concreta si riesce a realizza quel che la legge si proponeva. Abbiamo citato la 328/2000, potremmo citare la legge sul dopo di noi. A quali condizioni questo nuovo disegno del sistema cambierà davvero concretamente la vita delle persone con disabilità?         Purtroppo, questo lo sapremo solo vivendo. Certo i precedenti, compresa la legge 112/2016 non giocano a nostro favore. Comunque, oggi ci sono e diversi strumenti che in passato non erano ancora strutturati: un ministro delle disabilità; un dipartimento; un garante nazionale; un neocostituito osservatorio; un fondo unico, ancorché da implementare. Ma tutto questo non sarà sufficiente se anche le regioni e le autonomie locali non faranno fino in fondo la loro parte e se non si riuscirà a portare e termine la mai completata, forse neppure avviata integrazione sociosanitaria e connessi Lep e Leps, previo aggiornamento dei Lea.

Il secondo decreto approvato il 3 novembre punta alla definizione di LEPS per la disabilità: perché è importante e quali dovrebbero essere i primi due a suo parere? Introdurre dei LEPS sulla disabilità cosa cambierebbe? Ci sposterebbe finalmente da un approccio prevalentemente sanitario? 
   Il tema dei Leps è più che mai cogente. Disporre, infatti, di livelli essenziali delle prestazioni sociali è “la conditio sine qua non” per vedere garantiti, in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale, parità di servizi e prestazioni e quindi per avere certezza di risorse provenienti dalla fiscalità generale. Senza di essi l’esigibilità dei diritti rimarrà una chimera. Inoltre, con l’entrata in vigore della riforma dell’autonomia differenziata senza aver prima definito LEP e LEPS sicuramente la situazione non potrà che peggiorare.

Da settimane assistiamo ad una accesa polemica sulle risorse previste per l’attuazione della riforma: quelle non utilizzate nel 2023 sono state spostate sul Superbonus. Lei che ne pensa? 
   Lo considero un falso problema. Infatti, le risorse che c’erano, continuano e continueranno ad esserci, anche se diversamente denominate ed allocate. Anzi a regime ci sarà qualche risorsa in più. Tra l’altro questo lo ha anche confermato lo stesso Ministro. Piuttosto ci dovremmo unire tutti per trovare nuove ed ulteriori risorse per implementare in fondo unico sulla disabilità che deve essere in grado di dare continuità nel tempo ai progetti di vita, a partire da quelli sul durante e dopo di noi. Sui temi legati alla disabilità non ci aspettiamo polemiche o divisioni ma una convergenza trasversale anche tra tutte le forze politiche, sia di maggioranza che di opposizione, in quanto in gioco c’è la vita di milioni di persone con disabilità e loro familiari.

di Sara De Carli
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