Come intercettare e affrontare la schizofrenia

Le Scienze del 7 luglio 2023

Includendo il vissuto dei pazienti come parte integrante della ricerca, emerge come la schizofrenia sia in realtà una moltitudine di disturbi che hanno alcune caratteristiche in comune. E se può esserci una predisposizione genetica, l'ambiente, come l'eventuale uso di droghe, sono determinanti nello scatenare i sintomi. Ma le terapie ci sono, e in alcuni casi si può anche guarire

“Quando ero più giovane, fissavo le parole sulle pagine di un libro finché non diventavano così poco familiari da risultare praticamente incomprensibili per me anche se ne avevo appreso il significato prima. Allora mi chiedevo perché le parole significassero qualcosa comunque. Erano ai miei occhi solo lettere messe insieme da qualche regola non detta. Ma che cos'è questa regola nascosta che agli altri sembrava cosi evidente?” ricorda Marco. “La prima esperienza disturbante è stato il disagio nel mio stesso corpo. Perché non lo sentivo, il corpo: era come se non mi sentissi viva. Il mio corpo non mi sembrava mio” dice Anna. “Ero solo una ragazzina, ma da allora non ho mai sentito una sensazione di fusione o armonia tra 'me' e il 'mio' corpo: mi è sempre sembrato un veicolo, qualcosa che dovevo guidare come una macchina”. Per Giulio invece il primo ricordo è sentirsi “inetto riguardo a cose banali come lavarmi, alzarmi al mattino, farmi tagliare i capelli quando ne avevo bisogno, tutte cose che devono essere fatte davvero, solo per andare avanti con la vita”.

L’esperienza della schizofrenia, nonostante sia accomunata da sintomi che ritornano con frequenza, è diversa per ognuno di noi. Esistono i pazienti e il loro quotidiano, più che la schizofrenia in sé. Come spesso accade nelle diverse condizioni che siamo soliti chiamare “malattia mentale”, a leggere le storie dei pazienti, i racconti delle loro sensazioni, non è insolito ricordare, anche in modo offuscato, non sicuro, di aver percepito una volta quella sensazione descritta. Un processo proustiano di elaborazione e centellinato riconoscimento delle micro o macro sensazioni che in una vita spesso si percepiscono. 

Quando però più sensazioni, ben descritte oggi dalla letteratura medica, si verificano in concomitanza, in una certa persona, più predisposta, e che vive un certo contesto di difficoltà, si manifesta la “malattia”. 

Una condizione non rara
Statisticamente l’uno per cento delle persone manifesta nel corso della propria vita un insieme di sintomi che appartengono allo spettro della schizofrenia, il più severo tra i disturbi psicotici. Si tratta di una condizione non rara, dunque, ma soprattutto reversibile, in almeno un terzo dei casi. “Da qualche tempo sappiamo che la schizofrenia può essere la manifestazione di un periodo di grave difficoltà, che può finire. Non è una sentenza senza appello, è una richiesta di aiuto che dobbiamo intercettare, riconoscere e cogliere”. Parliamo a lungo con Pierluigi Politi, psichiatra e psicoterapeuta, professore ordinario all’Università di Pavia e direttore del Dipartimento di salute mentale e dipendenze, dell’ASST Pavia.

Spesso la persona che sperimenta sintomi psicotici pensa di avere qualche cosa che non va nel proprio “sistema operativo”, un bug che porta la mente a non funzionare come dovrebbe. Che si sia nati con qualcosa di rotto, dove il pensiero può triggerare quel senso di non riconoscimento di sé. In realtà le cose non stanno proprio così. “Se su due gemelli monozigoti uno è schizofrenico, l’altro ha grosso modo il 50 per cento di probabilità di esserlo”, spiega Politi. Che cosa significa questo? Vuol dire che se l’insorgenza della schizofrenia fosse dovuta solo a fattori genetici, ci aspetteremo il 100 per cento di concordanza fra i due gemelli identici; mentre se l’origine fosse solo ambientale, cioè legata a traumi, infezioni o altre cause durante le prime fasi della vita, la probabilità che il secondo gemello sviluppi schizofrenia sarebbe dell’uno per cento, come quella della popolazione generale. Il 50 per cento è spiegato meglio dal concorso di fattori genetici e ambientali. 

Siccome tutti noi siamo il risultato di un intreccio profondo fra aspetti biologici, psicologici, sociali e mediatici, esiste un continuo gioco di rimandi fra tali dimensioni. “L’idea di fondo è che un delirio non sia una sorta di opera d’arte patologica che compare ex-novo nella mente di una persona – prosegue Politi – quanto invece una risposta difensiva di una mente che non riesce a spiegare altrimenti il terremoto, il disastro che gli sta accadendo dentro. Non si riconosce più in ciò che era e dunque struttura una spiegazione esterna.”

Il vissuto di una persona schizofrenica
Nel 2022 un gruppo di ricercatori, che include alcuni nomi di grande rilievo della psichiatria italiana come Paolo Fusar-Poli e Mario Maj, ha pubblicato un lavoro per certi versi rivoluzionario: per la prima volta, psicopatologi e pazienti hanno co-descritto efficacemente insieme il vissuto della schizofrenia nelle sue diverse fasi. L’articolo si intitola The lived experience of psychosis: a bottom-up review co-written by experts by experience and academics, ed è stato pubblicato sulla rivista scientifica "World Psychiatry", ed è da lì che sono tratti i racconti in apertura di questo pezzo. “Prima, le descrizioni di questa condizione erano essenzialmente quelle degli specialisti, oppure descrizioni naive di alcuni pazienti – spiega Politi – mentre in questo caso il contributo dei pazienti è divenuto parte integrante del disegno dello studio, che rappresenta un grande cambiamento a livello metodologico nella ricerca clinica”.

I resoconti in prima persona all'interno e all'esterno del campo medico sono stati vagliati e discussi in workshop collaborativi che hanno coinvolto numerose persone con esperienza vissuta di psicosi, inclusi i loro familiari e i caregiver. Questo lavoro ha fatto emergere con maggiore vigore che usiamo un termine al singolare – schizofrenia – per una forma di pigrizia intellettuale, al fine di semplificare una galassia di disturbi che hanno alcune caratteristiche in comune. 

Quello che è emerso è che le prime fasi della psicosi (cioè le fasi premorbose e prodromiche) sono caratterizzate da temi esistenziali fondamentali tra cui la perdita del senso comune, la perplessità rispetto alle proprie convinzioni, e la mancanza di immersione nel mondo con un contatto vitale compromesso con la realtà. In questa fase le persone raccontano la sensazione inquietante che qualcosa di importante stia per accadere, sentono una perturbazione nel senso di sé ma al tempo stesso manifestano grande autoreferenzialità, disinteresse reale per il circostante; tutte dinamiche che comportano la necessità in queste persone di nascondere agli altri questo caos interiore che si percepisce e che porta ad allontanarsi dagli altri, al ritiro sociale. 

Il vissuto delle fasi successive, come i periodi di ricaduta, è stato raccontato dai partecipanti come un sentirsi “divisi”, come una lotta costante per accettare il costante caos interiore, il nuovo sé che si presenta davanti dopo l’ufficialità di una diagnosi di schizofrenia. Un futuro incerto. Da una parte la speranza di “guarire”, che significa poter ricostruire un percorso duraturo del senso di sé e ristabilire i legami perduti.

Non irreversibile
Da tempo abbiamo lunghi studi di follow-up che ci dicono che, quando la schizofrenia viene trattata farmacologicamente, con la psicoterapia, e con il necessario supporto sociale, per adeguato periodo di tempo, circa un terzo delle persone guarisce completamente, cioè torna a una vita piena senza sintomi, dove la schizofrenia resta solo il ricordo di un periodo difficile e superato. Un altro terzo dei pazienti riesce a tenere la malattia sotto controllo, talvolta avendo delle ricadute, ma grosso modo riuscendo – con una corretta terapia occupazionale – ad avere una vita normale; mentre un terzo dei pazienti rimane in una condizione limitata, pesante e deficitaria. Non si tratta, ovviamente, di individuare solo, in breve tempo, la molecola più indicata per quella persona; entra in gioco la capacità dell'equipe multiprofessionale di fare rete con le persone che devono supportare il paziente in questo delicato periodo della sua vita.

“Oggi non ci perdiamo troppo in diagnosi: l’attenzione è focalizzata al riconoscimento precoce del disturbo. Abbiamo descrizioni sempre più precise dei segni da trattare, anche se spesso all’inizio sono sfumati. La grande sfida è quindi riuscire a cogliere questi primi segnali, che in genere insorgono in età adolescenziale, quando i ragazzi cambiano e possono provare esperienze al limite, a volte usando sostanze psicoattive – si legga droghe  – che sono un pessimo acceleratore di questi problemi. Di solito arriva a noi una persona in crisi con se stessa, che il più delle volte non dorme bene da tempo, che ci racconta che non riesce a ‘funzionare bene’, o che inizia a dubitare che qualcuno gli voglia male e che gli stia facendo qualcosa di strano”. Altri iniziano a pensare in maniera incoercibile di essere stati adottati, altri ancora che esistano progetti divini che li riguardano, in virtù di colpe o meriti accumulati in passato.

L’approccio ai sintomi schizofrenici è farmacologico, psicologico e sociale. È noto che alla base della schizofrenia, delle psicosi in genere, ci siano delle alterazioni neurochimiche che riguardano i neurotrasmettitori, in particolare i circuiti della dopamina e della serotonina. La ricerca scientifica ha capito che non esiste un gene della schizofrenia ma ve ne sono diversi coinvolti, come avviene per molte altre condizioni. Altrettanto importante per la riuscita dell’aiuto è che la persona non “rimanga indietro”. Purtroppo, uno dei primi elementi della vita che saltano è il lavoro, la partecipazione sociale, le relazioni individuali. Molte persone che non riescono a essere ben supportate nella gestione della terapia, possono avere delle ricadute e necessitare di un ricovero; tutto questo aumenta ancora di più l’isolamento, lo stigma, in un circolo vizioso.

Le sostanze stupefacenti come driver di sintomi schizofrenici
Un problema enorme per i disturbi mentali è la diffusione incontrollata delle sostanze psicotrope. “Queste sostanze sono in grado di scatenare quadri latenti, così come sono in grado di destabilizzare condizioni di compenso, moltiplicando la sintomatologia psicotica. Esistono molte sostanze dotate di queste potenzialità, purtroppo, e altre vengono continuamente immerse sul mercato. Per questo motivo, quando una persona si presenta in Pronto Soccorso con allucinazioni e deliri, viene in genere sottoposta ad un esame tossicologico” spiega Politi.  Stando ai dati sui sequestri riportati dalla Relazione europea sulla droga del 2023, ben 41 nuove sostanze stupefacenti sono state immesse sul mercato e segnalate dal sistema di allarme rapido dell’Unione Europea soltanto nell’ultimo anno. Significa tre nuove sostanze ogni mese, per un totale di 930 tipi diversi di sostanze stupefacenti vendute senza che se ne conoscano – cioè tramite studi scientifici seri, simili a quelli condotti per vendere un nuovo farmaco – gli effetti collaterali.

Oggi sappiamo che la chiave di volta terapeutica per lavorare in modo più descrittivo, è affrontare la malattia insieme ai pazienti. “L’approccio ai disturbi psicotici – io credo – non deve essere tanto assistenziale, con sussidi economici a lungo termine, ma riabilitativo fin dalle prime fasi: un intervento che preveda un supporto psicologico (non dimentichiamo come spesso ci siano difficoltà cognitive su cui intervenire), relazionale, lavorativo. Tutto ciò deve accompagnare la ricerca del farmaco più efficace per quella persona, insieme al dosaggio più adatto. Armandosi di grande pazienza, naturalmente: a volte occorrono mesi, a volte anni, prima di poter apprezzare i benefici di un antipsicotico. Senza dimenticare che, nel frattempo, la persona soffre: è quella la prima fase cruciale in cui non deve rimanere indietro.”

di Cristina Da Rold

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