ADHD, il disturbo interessa tra il 25 e il 45% della popolazione carceraria
Psichiatria e disturbo da deficit di attenzione e iperattività, se ne parla il 25 marzo in un convegno a Milano. Gollner (presidente Aifa Lombardia): “Se non trattato, peggiora il
quadro clinico”.
MILANO. “Da un po’ di tempo aumentano le richieste di aiuto da parte di genitori con figli maggiorenni, giovani adulti, con ADHD in quadri clinici complessi aggravati da diverse
comorbilità, che sono entrati in conflitto con la giustizia a causa delle conseguenze dei loro problemi comportamentali”. Così Astrid Gollner, presidente di Aifa Lombardia Aps –
Associazione Italiana Famiglie ADHD presenta un problema molto sentito dai familiari delle persone con disturbo da deficit di attenzione e iperattività, al centro del convegno
“ADHD e Psichiatria – Comportamenti devianti e conseguenze giuridiche”, previsto per il prossimo 25 marzo a Milano (Aula Sant’Agostino
dell’Ateneo in largo Gemelli 1, dalle ore 8.00 fino alle ore 18.00). Il convegno, organizzato da Aifa Lombardia in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore, intende
aprire una riflessione su quei disturbi psichiatrici associati all’ADHD che possono determinare, se non adeguatamente trattati, comportamenti devianti e potenzialmente pericolosi come atti di
autolesionismo, dipendenze, rischio di suicidio e, in alcuni casi, portare a commettere reati.
Sarà possibile seguire gli interventi dei relatori anche in un secondo momento tramite il canale YouTube dell'Associazione Italiana Famiglie ADHD.
Gollner: "Manca il dialogo tra l’ambito della giustizia e quello della salute mentale"
“Si tratta di problemi che sono a volte causati dall’abbandono delle terapie oppure da una diagnosi molto tardiva, da terapie mai messe in atto per le lunghe liste d’attesa, per
mancanza di un accompagnamento nel passaggio dai servizi di Neuropsichiatra infantile ai servizi per gli adulti – prosegue Gollner –. Sappiamo bene che l’ADHD, se non trattato
adeguatamente, soprattutto in casi più gravi può causare un peggioramento dei sintomi e accompagnarsi ad altre patologie psichiatriche più gravi, come i disturbi di personalità, l’abuso di
sostanze, i disturbi antisociali e borderline”. Talvolta il peggioramento dei sintomi può sfociare anche in episodi di violenza nei confronti dei genitori. “Nel corso degli anni è
generalmente mancato un adeguato supporto sia per la famiglia per il soggetto stesso: la tutela è difficile e le famiglie si sentono abbandonate, lasciata a sé stesse, nell’impossibilità di
aiutare i propri figli”, prosegue la presidente di Aifa Lombardia, rimarcando le carenze del sistema socio-sanitario nel trattamento del disturbo: “Mancano adeguate strutture di
accoglienza con progetti riabilitativi o rieducativi ed è molto difficile trovare un equilibrio tra cura e tutela, dove il diritto alla cura andrebbe a beneficio di tutti, anche della società.
Inoltre, manca spesso un fattivo dialogo tra l’ambito della giustizia e quello della salute mentale”.
Sgroi: “La diagnosi indispensabile per affrontare i comportamenti disfunzionali”
“L’ADHD è un disturbo che si presenta spesso associato ad altre condizioni patologiche come il disturbo oppositivo provocatorio nell’infanzia e il disturbo antisociale
nell’adolescenza fino a disturbi più francamente psichiatrici, come il disturbo borderline di personalità, il bipolarismo, le dipendenze nell’età adulta – spiega Francesca Sgroi,
psicologa esperta di ADHD nell’arco della vita e collaboratrice di Aifa –. Si parla, in questo caso, di comorbilità e la diagnosi di ADHD, benché resa più ardua dall’età e
dalla presenza di disturbi associati, diventa indispensabile per affrontare i comportamenti disfunzionali con i corretti interventi terapeutici (farmacologici e non). Quando questo non avviene la
persona può andare incontro a una deriva della sua esistenza che può portarla, a volte, verso conseguenze estreme come suicidi o forme di delinquenza”.
Gori: “Aderenza terapeutica più difficile in presenza di disturbi associati”
“La traiettoria evolutiva dell’ADHD per sé non sempre espone a difficoltà sul piano giuridico, circostanza ben più frequente in caso di associazione con gravi comorbilità come disturbi
di personalità, disturbi bipolari e disturbi da abuso di sostanza – rimarca Chiara Gori, specialista in Neurologia e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale in formazione –. In tali
situazioni vi è maggiore probabilità di mancanza di aderenza terapeutica da parte dei pazienti, essa stessa parte di una percezione alterata della propria situazione clinica e di una difficoltà di
lettura da parte del paziente della propria compromissione patologica. In parallelo vi è il problema della transizione cioè il passaggio dai servizi di Neuropsichiatria infantile ai servizi
psichiatrici per adulti – conclude –. È importante lavorare con i pazienti quindi nella comprensione delle loro scelte, del loro stato emotivo e del significato associato alle loro
azioni”.
Strada: “La diagnosi importante anche tra la popolazione detenuta”
“L’ADHD è un quadro clinico altamente rappresentato nella popolazione detenuta, infatti la letteratura internazionale individua una prevalenza dell’ADHD in carcere tra il 25 e il
45% – rende noto Irene Strada psicoterapeuta presso Asst Santi Paolo e Carlo e autrice di uno studio preliminare su ADHD e carcere realizzato presso la casa di reclusione di
Milano-Bollate –. A oggi, sono limitati gli studi che indagano la presenza del disturbo nel campione ristretto italiano: la nostra ricerca si pone l’obiettivo di valutare la
prevalenza dell’ADHD e l’associazione tra il disturbo e l’abuso di sostanze e la lunghezza della condanna. Seppur preliminare, lo studio sottolinea l’importanza della
diagnosi di ADHD anche nella popolazione detenuta – prosegue la psicoterapeuta – al fine di evitare un effetto negativo cumulativo sul funzionamento del soggetto ristretto. Si evidenzia
inoltre la necessità di individuare programmi terapeutici specifici, che possano implementare le capacità interpersonali e intervenire sul rischio di recidiva e, non da ultimo, sull’abuso di
sostanze".
Di Nicola: “Esiste correlazione tra ADHD in età infantile e dipendenze in età adulta”
“È stata riportata una correlazione tra l’ADHD in età infantile e lo sviluppo in età adolescenziale di problematiche correlate all’uso di nicotina, alcol e stupefacenti, in primis
cannabinoidi, con la definizione di un vero e proprio disturbo da uso di sostanze entro l’età adulta – afferma Marco Di Nicola, psichiatra presso il Policlinico Gemelli di Roma –.
Altrettanto rilevante appare la co-occorrenza con un utilizzo problematico di Internet e il gioco d’azzardo patologico, in particolare tra gli studenti universitari. I casi di comorbilità con
dipendenze da sostanze o comportamentali tendono a una maggiore complessità clinica, generalmente con un impatto negativo in termini di funzionamento e outcome a lungo termine. Pertanto, risultano
necessarie una valutazione approfondita dei fattori di rischio multipli sottostanti la vulnerabilità a sviluppare addiction e la definizione di approcci diagnostico-terapeutici maggiormente
specifici e personalizzat,i che possano migliorare i livelli di funzionamento e la qualità di vita nei soggetti con ADHD”.
Varraso: “Occorrono specifici protocolli difensivi per la tutela nel processo penale”
“L’esigenza di assicurare, nel procedimento penale, le fondamentali garanzie di difesa personale e tecnica non può ignorare le condizioni soggettive dell’accusato e della persona
offesa, soprattutto in presenza di patologie definibili come psichiche – sottolinea Gianluca Varraso, avvocato e professore di Diritto processuale penale e di Diritto penitenziario presso la
Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano –. Da qui, l’opportunità di specifici protocolli difensivi per la tutela nel procedimento penale dei
soggetti psichiatrici. L’imputato affetto da patologie psichiatriche potrebbe addirittura non essere in grado di partecipare con piena consapevolezza al processo, ancor prima di poter
ottenere il riconoscimento in sentenza della propria malattia, ai fini dell’assoluzione o di una diminuzione di pena. Spetta, anzitutto, al difensore vigilare affinché tale stato patologico
venga conosciuto dall’autorità procedente, profilo essenziale anche nell’ottica di garantire che eventuali misure limitative della libertà personale siano conformi alla sua situazione
personale”.
Sarno: “L’avvocato deve fare il possibile per evitare discriminazioni e pregiudizi”
“Nell’ambito dei casi di imputato psichiatrico, l'avvocato deve essere particolarmente attento alla tutela dei diritti del proprio assistito, considerando le particolari esigenze e
difficoltà che possono emergere nel corso del processo – sostiene Ernesto Sarno, avvocato penalista, membro della Commissione Diritto dell'Unione Europea –. Uno dei principali obiettivi
dell’avvocato in questi casi è garantire l’accesso del proprio assistito a un trattamento equo e giusto. Ciò significa che l'avvocato deve fare tutto il possibile per evitare
discriminazioni e pregiudizi nei confronti dell'imputato a causa del suo stato di salute mentale. Inoltre, l’avvocato deve essere consapevole delle limitazioni cognitive e comunicative del
proprio assistito, e fare in modo che il giudice e le altre parti coinvolte nel processo siano informati di queste limitazioni. Un altro aspetto importante della deontologia dell’avvocato in
questi casi è la tutela della riservatezza e della privacy del proprio assistito. L’avvocato deve evitare di divulgare informazioni confidenziali riguardanti la salute mentale del proprio
assistito, se non strettamente necessario per la difesa”.
di Antonella Patete
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