Il fallimento della riforma Gelmini

Erich Battistin e Daniela Vuri

I test Invalsi mostrano che la legge Gelmini ha avuto effetti negativi sugli apprendimenti dei bambini della primaria.
La scuola primaria è stata riordinata nel 2009 dalla riforma del “maestro unico” (legge Gelmini). Tra i vari interventi, la nuova normativa ha previsto una riduzione importante del numero di insegnanti agendo sull’orario scolastico e abolendo la compresenza in classe. L’obiettivo primo dell’intervento era chiaramente il contenimento della spesa pubblica, come indicato dalla legge 133/2008.
I test Invalsi raccolti su base censuaria nella seconda e nella quinta classe della scuola primaria permettono di valutare gli effetti della riforma Gelmini. L’evidenza empirica su cui ci basiamo nasce da una ricerca promossa dalla Fondazione per la Scuola e svolta da Irvapp-Fbk di Trento sulla base delle domande di ricerca concordate con il committente.
I cambiamenti introdotti dalla riforma Gelmini hanno riguardato
1) la riduzione dell’organico di fatto attribuito alle scuole (17 per cento da realizzarsi in tre anni) usando come riferimento l’organico a disposizione delle scuole all’inizio dell’anno scolastico 2007/2008;
2) l’eliminazione della compresenza a partire dall’as 2009/10 in tutte le classi;
3) l’introduzione di un nuovo profilo orario, quello delle 24 ore settimanali, che implica un solo insegnante in aula;
4) l’aumento del numero massimo di bambini in ogni classe, da 25 a 27.
La ricerca promossa dalla Fondazione per la Scuola mostra che le classi a 24 ore formate dopo la riforma rappresentano lo 0,5 per cento del totale, un numero pressoché trascurabile. In altre parole, l’opzione di un profilo orario a 24 ore settimanali è stata ignorata dalle scuole. Il numero di studenti per insegnante, spesso considerato come indicatore di qualità dell’insegnamento, è cresciuto di quasi un punto come meccanica conseguenza della riduzione di organico. Infine, la dimensione delle classi è aumentata in media di 0,3 studenti.
Con la riduzione degli insegnanti e l’eliminazione della compresenza, le scuole hanno dovuto riorganizzare i profili orari delle classi (o tempo-scuola). Il rapporto di ricerca di Fbk-Irvapp documenta come la riforma abbia causato un chiaro fenomeno di polarizzazione oraria, con una maggiore concentrazione di classi organizzate a modulo in 27 ore settimanali, un taglio dei profili orari “intermedi” tra il minimo di legge e il tempo pieno e un aumento del numero di classi a tempo pieno. La polarizzazione ha comportato un effetto medio trascurabile della riforma Gelmini sul tempo-scuola: secondo le stime della ricerca, si è ridotto di circa un’ora la settimana, ovvero circa 33 ore nell’intero anno scolastico, anche se con variazioni significative tra aree diverse del paese.
Arriviamo alla domanda più importante: il cambiamento degli input scolastici ha avuto un effetto sugli apprendimenti degli studenti? La ricerca isola l’effetto dell’abolizione della compresenza da quello dovuto al cambiamento degli altri input scolastici. Il distinguo è importante perché mentre l’eliminazione della compresenza è avvenuta immediatamente in tutte le classi, le altre componenti della riforma sono state introdotte in modo graduale a partire dalle classi prime dell’as 2009/10.
Confrontando i test Invalsi delle classi seconde e quinte tra l’as 2008/09 (quando la riforma ancora non era stata introdotta) e l’as 2009/10 (dopo l’introduzione della riforma, ma con le classi seconde e quinte toccate solo dall’eliminazione della compresenza), la ricerca promossa dalla Fondazione per la Scuola mostra che la mancata compresenza ha un effetto negativo sugli apprendimenti, penalizzando maggiormente gli studenti più giovani (cioè quelli delle classi seconde). Maggiori dettagli sull’entità degli effetti saranno disponibili nella pubblicazione on line. Il confronto dei test Invalsi delle classi seconde e quinte tra l’as 2008/09 e l’as 2010/11 coglie invece gli effetti di tutti i cambiamenti imposti dalla legge Gelmini: riduzione dell’organico, innalzamento della dimensione della classe ed eliminazione della compresenza. I risultati mostrano che la riforma nel suo complesso ha avuto effetti negativi sugli apprendimenti, pari circa al doppio di quelli dovuti all’eliminazione della compresenza, pur con modalità molto eterogenee tra diverse aree del paese. Nelle scuole del Nord e Centro-Italia, l’abolizione della compresenza contribuisce molto meno agli effetti negativi sugli apprendimenti, mentre, al contrario, nelle scuole del Mezzogiorno ha marcatamente sfavorito i bambini nelle seconde classi.
(fonte: lavoce.info)

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