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La guerra dei bimbi
Altrenotizie - 30-04-2007
ALLE GUERRE, CON MEZZO MILIONE DI BAMBINI IN ARMI

Le guerre dei grandi - oltre venti conflitti in tutto il mondo - vedono impegnati mezzo milione di bambini e bambine. E' la tragedia del secolo con ragazzini che sono utilizzati in combattimento sia da parte delle forze governative che di quelle dei movimenti di opposizione. Piccoli armati di kalashnikov e di bombe a mano, impegnati al fronte o come killer e kamikaze. Spesso restano feriti o sottoposti ad efferati abusi. Molti sono fuori del conto delle guerre e dei morti. Personaggi "minori" dei quali non si parla e sui quali è steso un velo di silenzio. I paesi della vergogna sono tanti. Afghanistan, in primo luogo. E poi Angola, Sierra Leone (dove già 40mila sono stati smobilitati), Costa d'Avorio, Sudan, Kosovo, Cecenia, Burundi, Ruanda e Myanmar nazioni, tutte, che hanno mandato bambini sulla linea del fronte. Altri governi, come quelli di Colombia, Uganda e Zimbabwe, hanno appoggiato formazioni paramilitari che impiegano bambini soldato. E in paesi come Indonesia e Nepal i bambini sono usati come informatori, spie o messaggeri.

Alcuni governi - tra cui quelli di Burundi, Indonesia e Russia (per quanto concerne il territorio ceceno) - hanno arrestato, arbitrariamente, bambini sospettati di far parte dei gruppi di opposizione armata. Per non parlare poi dei bambini palestinesi che sono regolarmente arrestati dalle autorità israeliane. C'è poi il "caso" della Repubblica Democratica del Congo dove le ultime "stime" riferiscono di 11.000 bambine e bambini attivi nei gruppi armati e dei quali non si ha più nessuna notizia.

E' appunto sulla situazione nel Congo che si concentra l'attenzione di Amnesty International che, in un suo rapporto diffuso all'Onu, rileva: "In alcune zone del paese, le bambine costituiscono meno del due per cento del totale dei minori rilasciati dai gruppi armati e registrati nel programma "Ddr" (Disarmament, demobilization and reintegration) nonostante esse costituissero circa il 40 per cento dei bambini arruolati dalle forze armate e dai gruppi armati". Nel corso di una missione nella Repubblica del Congo molte fonti hanno riferito ad Amnesty che i comandanti e i combattenti adulti non si sentono obbligati a rilasciare le bambine soldato, poiché le considerano come una loro proprietà sessuale.

Questa discriminazione è perpetuata da alcuni funzionari statali che descrivono, senza porsi problemi, queste bambine come "persone alle dipendenze" dei combattenti adulti, anziché come persone aventi diritto a beneficiare del "programma Ddr".
Alcune bambine sentono di non avere alternativa se non rimanere con un gruppo armato, poiché se provassero a scappare sarebbero torturate o uccise. E qui le testimonianze sono numerosissime e figurano tutte nel dossier di Amnesty. Le bambine arruolate nelle forze armate e nei gruppi armati sono spesso vittime di traumi prolungati, causati da anni di abusi, e diventano madri a un'età precoce. Ciò nonostante, niente è fatto dalla società civile mondiale.

Secondo Amnesty, la maggior parte delle bambine e dei bambini soldato - alcuni dei quali arruolati quando avevano 6 anni - rilasciati e tornati nelle loro famiglie o comunità non sono stati aiutati pressoché in alcun modo a rientrare nella vita civile, nel campo dell'educazione o del lavoro. Molti bambini incontrati dai ricercatori di Amnesty hanno ammesso, rassegnati, che nonostante gli orrori della vita militare, potrebbero essere costretti a rientrare nei gruppi armati perché è l'unico modo per sopravvivere. Alcuni gruppi armati sono ancora pronti a riprendere il conflitto in caso di fallimento dell'attuale processo di pace e, da questo punto di vista, ritengono che rilasciare le bambine e i bambini soldato indebolirebbe la loro forza militare.

Intanto Amnesty sollecita il nuovo governo della Rdc e la comunità internazionale a dare massima priorità agli investimenti nel sistema educativo statale e a realizzare, nel modo più rapido possibile, il diritto umano all'educazione primaria gratuita. Attualmente, solo il 29 per cento dei bambini del Congo termina il ciclo della scuola primaria; circa 4,7 milioni di bambini in età scolare, tra cui 2,5 milioni di bambine, restano fuori del sistema scolastico. Almeno 6 milioni di adolescenti non ricevono alcun tipo di educazione formale.

La mancanza di opportunità educative contribuisce fortemente all'insicurezza sociale ed economica dei bambini congolesi ed è questo uno dei fattori determinanti del diffuso arruolamento e dell'impiego delle bambine e dei bambini soldato nella Rdc. Quanto alle tragiche statistiche che si rilevano sul campo risulta che il perdurante conflitto nella Rdc ha devastato intere comunità nelle zone orientali del paese, provocando complessivamente 3,9 milioni di vittime. Ogni giorno, 1200 persone muoiono di violenza, fame o malattie facilmente curabili. Nell'ambito del processo nazionale di pace e della transizione politica, il governo della Rdc - sostenuto da un contributo internazionale di 200 milioni di dollari - ha lanciato il "programma Ddr" per restituire alla vita civile 150.000 combattenti, tra cui circa 30.000 bambine e bambini soldato. Ma l'attuazione del programma è pregiudicata dalla mancanza di volontà politica e militare, da gravi problemi tecnici e di gestione e dalla crescente insicurezza nell'est del paese. Nel giugno 2006, ad esempio, la commissione governativa responsabile del "programma Ddr" annunciò di aver smobilitato appena 19.000 bambine e bambini soldato.

Sulla base del diritto internazionale, l'arruolamento e l'impiego di persone al di sotto dei 18 anni di età sono proibiti: in caso di età inferiore ai 15 anni, si tratta di crimini di guerra. Si stima che i bambini e le bambine soldato costituiscano fino al 40 per cento delle forze militari in campo e che le bambine soldato rappresentino a loro volta il 40 per cento dei minori combattenti.

Tutto questo porta infine a mettere l'accento anche sulla tragica "novità" di questa situazione dei piccoli mandati al fronte. Sta, infatti, aumentando il numero delle bambine inquadrate nelle formazioni militari e paramilitari. Sono ragazzi¬ne un terzo dei minori costretti non solo a subire, ma a fare la guerra in diverse parti del mondo. Tale percentuale è forse il dato più inquietante che emerge dalla bozza di un nuovo rapporto dell'Onu sui bambini ed i conflitti armati (dopo quello del 2004), atteso nella sua stesura definitiva e sul quale si sta discutendo al Palazzo di vetro di New York, nell'ambito della sessione della Commissione ad hoc sulla situazione femminile.

Le testimonianze al riguardo riportate nella bozza del rapporto sono terrificanti e concordi nel riferire di atrocità sistematiche (non solo nei conflitti in Africa) alle quali le bambine sono sottoposte anche più dei minori maschi, come loro costretti a fare la guerra. Le indagini condotte dall'Onu confermano, di conseguenza, che «le ragazzine soldato sono tra gli individui più vulnerabili nelle aree colpite dalla guerra» come spiega Radhika Coomaraswamy, rappresentante del Segretario generale delle Nazioni Unite e responsabile dell'apposito ufficio dell'Onu che, dall'aprile 2006, si occupa appunto della situazione dei bambini nei conflitti armati, lamentando che "purtroppo queste violenze sono date per scontate e spesso sono accettate".

L'ufficio guidato dalla Coomaraswamy intende ora proporre di deferire automaticamente chi commette delitti di questo tipo alla Corte Penale Internazionale (Cpi) dell' Aja, il tribunale permanente voluto dall'Onu per giudicare sui crimini di genocidio, di guerra e contro l'umanità. Ed è di fronte a questa Corte che si trova uno dei massimi responsabili del traffico di minori impegnati in azioni di guerra: Thomas Lubanga Dyilo (46 anni), fondatore di una milizia e che è accusato di crimini di guerra, crimini contro l'umanità e genocidio. E' lui ad aver organizzato l'addestramento di bambini-soldato reclutati per combattere nelle guerre per il controllo delle miniere d'oro del Congo.

La vergogna, quindi, continua in un mondo dove non hanno diritto di cittadinanza le regole più elementari dell'umanità e dell'etica. Ecco perché le dimensioni assunte dal "fenomeno dei piccoli soldati" deve essere bloccato subito eliminando dall'arena della diplomazia internazionale quel delicato esercizio di equilibri che copre solo la drammatica realtà di un'emergenza umanitaria.

Elena Ferrara

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