breve di cronaca
Esame di Stato sotto accusa
Tuttoscuola - 08-03-2006
Se ormai la maturita' non viene nemmeno presa in considerazione nei test di ingresso alle facolta', c'e' da preoccuparsi. "E' diventata l'ultima interrogazione dell'anno, quasi una barzelletta", si sente dire.
I possibili sintomi dello scadimento qualitativo dell'esame di Stato che emerge dal giudizio di molti, si possono rinvenire in alcuni dati che alimentano piu' di un sospetto in questo senso.
Analizzando i risultati degli esami di Stato degli ultimi anni pubblicati dall' Invalsi si puo' rilevare, ad esempio, come la media dei voti finali si sia elevata dal 73,6 nel 1999, primo anno del nuovo esame di Stato al 76,1 l'anno scorso. La percentuale delle votazioni massime (100 su 100) e' aumentata, passando dal 5,7% del 1999 al 9,4% del 2005.
I non maturi nel 1999 erano stati il 5,1% del totale; nel 2005 sono stati il 2,9%.
Va notato che su queste tendenze non ha inciso solo l'arrivo delle commissioni interne, avvenuto nel 2002.
I tre indicatori considerati mostrano in modo inequivocabile il deterioramento progressivo del sistema di valutazione finale, tanto da far dire a qualcuno che l'esame di Stato dovrebbe essere abolito perche' cosi' non serve al mezzo milione di giovani che ogni anno si presentano alla maturita'.
Piu' maturi o piu' coccolati?

  discussione chiusa  condividi pdf

 dal Corriere della sera del 3 marzo    - 08-03-2006
Maturità inutile, troppi impreparati all’università

Incontri con gli studenti e test di valutazione più severi: chi non li supera dovrà recuperare il debito. “Non possiamo rispiegare da zero la matematica”
Il rettore Ballio: escono dalle superiori senza una formazione di base, abbandoni in aumento. Serve un tutor


Lasciano gli studi perché hanno sbagliato scelta, hanno dimenticato le nozioni imparate a scuola, sono impreparati, non conoscono i requisiti per entrare in università e spesso, dopo la maturità, avrebbero bisogno di un anno di ripetizioni per diventare matricole. Studenti e orientamento, il Politecnico si prepara a una nuova sfida: azzerare il numero di abbandoni (ogni anno lasciano circa mille matricole, il 16 per cento del totale) e avere iscritti più motivati. Dopo la regola del 25, appena introdotta dalla facoltà di ingegneria gestionale per convincere gli studenti a non rifiutare i voti bassi (gli esami di ogni cattedra devono avere un punteggio medio annuale non superiore ai 25 trentesimi), il rettore del Politecnico, Giulio Ballio, rilancia: “Vogliamo giovani consapevoli, capaci di autovalutarsi. Non possiamo aspettare che recuperino quello che non hanno fatto alle superiori”.
La strategia: selezionare meglio le aspiranti matricole con sei test ripetibili da qui al prossimo luglio (oltre a quello di settembre) e far conoscere a tutti le regole di ingegneria (quest’anno si parte con questa facoltà). Cominciando dalle scuole, accusate di non dare una preparazione all’altezza dell’università: “Non possiamo spiegare le potenze e le equazioni di primo e secondo grado”, sbuffa Ballio.
In questi giorni un’équipe di docenti dell’ateneo sta incontrando i giovani di trenta istituti superiori milanesi per raccontare come si diventa bravi universitari. “Il problema - spiega Ballio - è riuscire a comunicare quello che ci aspettiamo da loro”.
Le colpe: “Dal momento in cui le scuole, con l’autonomia, non sono state più obbligate a seguire in toto i programmi ministeriali, hanno puntato su alcune materie anziché su altre”. Maria Luisa Rossi, responsabile dell’orientamento per il Politecnico, continua: “Finora abbiamo incontrato circa mille ragazzi, proponendo simulazioni dei test”. E aggiunge: “Non si può dire che questi giovani non siano preparati, ma è vero che dimenticano le nozioni degli anni passati, che non rispondono a domande elementari perché non ricordano la risposte. E questo a volte è sconcertante”.
Altra accusa, l’esame di maturità: “Con la commissione tutta interna - prosegue Ballio - è diventato del tutto autoreferenziale. Per questo abbiamo deciso che di non tenere conto del voto nei nostri test di ingresso”.
Niente voto di maturità, dunque, iscrizioni online, sei prove ripetibili al prezzo di trenta euro: ecco l’esame adottato dalla facoltà di ingegneria (sarà adottato da architettura e design industriale solo nel 2007). Quattro le sezioni: comprensione verbale, inglese (elementare), matematica, fisica. Chi non raggiunge la sufficienza in matematica o inglese, dovrà recuperare il debito durante l’anno. Altrimenti (come chi non passa) non potrà sostenere alcun esame.
Il test si può sostenere già durante il quarto anno di superiori. “Con molti vantaggi - puntualizza Ballio -: chi lo passa ha un posto assicurato al Politecnico con largo anticipo. Chi non ce la fa ha tutto il tempo per mettersi in regola e prepararsi”. L’idea alla base è questa: che dopo quattro anni di superiori, ce ne sia uno di azzeramento, ovvero di preparazione all’università. Come avviene in Cina e negli Stati Uniti. “Non nascondo - prosegue il rettore - che un cambiamento del genere mi troverebbe molto favorevole”.
Nel frattempo, però, meglio convincere i ragazzi a scegliere con consapevolezza il percorso di studi. “Altrimenti - dice secco Ballio - rischieranno di cambiare strada e di perdere, così, tempo prezioso. In un contesto internazionale è impensabile laurearsi con tre anni di ritardo rispetto agli altri giovani europei”.
No all’università parcheggio e alle scelte casuali. “E i primi risultati - conclude Ballio - si vedono: dei 112 studenti che hanno fatto il test la scorsa settimana, è passato l’80 per cento. Sono più informati e preparati”.

Annachiara Sacchi


 dal Corriere della sera del 4 marzo    - 08-03-2006
Studenti impreparati, colpa dei genitori

Dopo il rettore del Politecnico, anche gli altri responsabili delle università denunciano le carenze delle matricole. “Scarsi in matematica e inglese, alcuni sono incapaci di esprimersi”

Presidi e insegnanti: non li spingono a impegnarsi, la maturità ormai è una barzelletta


L’esame di maturità? Troppo facile, tanto vale abolirlo. I genitori? Sempre pronti a schierarsi con i figli contro chi li accusa di scarso impegno. La preparazione dei ragazzi? Lacunosa, con gravi problemi nella costruzione delle frasi e nell’organizzazione dello studio. Con queste premesse il risultato è uno solo: le matricole arrivano all’università senza le nozioni necessarie per affrontare gli esami. Lo ha denunciato il rettore del Politecnico, Giulio Ballio, lo ribadiscono i colleghi degli altri atenei e delle scuole superiori di Milano: “Serve più serietà negli studi, altrimenti assisteremo a un ulteriore, e disastroso, abbassamento del livello di istruzione”.
Rettori e presidi. Pronti a difendere il loro lavoro, ma molto lucidi quando si parla di studenti. “Sono diventati più ignoranti - ammette Michele D’Elia, a capo del liceo scientifico Vittorio Veneto -, non sono abituati all’impegno, allo sforzo mentale, hanno un vocabolario di cinquanta parole». Colpa della scuola, certo (“Bisognerebbe tornare ai vecchi programmi”, dice D’Elia), ma anche dell’università: “Si è troppo licealizzata”.
Questioni spinose che devono fare i conti con le riforme degli ultimi anni. “Questi giovani - confessa Marcello Fontanesi, rettore della Bicocca - dimostrano carenze strutturali nel parlare, nello scrivere, nella pianificazione dello studio. E rischiano di perdere la competizione con i Paesi emergenti. Perché le aziende vogliono i migliori. E non è un caso che le donne, con la loro voglia di imporsi, riescano meglio degli uomini: per studiare ci vuole forza di volontà”.
Una forza che spesso non è coltivata dalle famiglie dei ragazzi. “Anzi - aggiunge Teresa Capra, preside del turistico Bertarelli - i genitori hanno sempre un motivo per difendere i figli quando noi li rimproveriamo. Manca, poi, una seria prova d’esame”.
Come la maturità, una volta tappa fondamentale nella vita di ogni giovane, ora retrocessa al punto tale da non essere nemmeno presa in considerazione nei test di ingresso alle facoltà. “È diventata l’ultima interrogazione dell’anno - sintetizza Giovanni Puglisi, rettore dello Iulm -, quasi una barzelletta. Servirebbe, invece, una selezione più seria: l’università sta diventando l’alternativa allo stato giuridico di disoccupato”.
Simulazioni di test, lezioni propedeutiche alle prove di ingresso, incontri con i futuri docenti: da qualche anno nelle scuole si organizzano incontri di orientamento per spiegare ai ragazzi come prepararsi all’università. Stessa cosa con gli alunni delle medie. “Ai loro genitori” - aggiunge il preside del classico Berchet, Innocente Pessina - diciamo: "Non fate studiare ai vostri figli il latino, ma l’analisi logica”.
Puntare sull’italiano e la matematica, ma anche sull’inglese, consigliano i docenti. “Il livello di preparazione - sospira Angelo Provasoli, a capo della Bocconi - sta scendendo. Il 70 per cento di chi si iscrive nel nostro ateneo ha risultati scarsissimi in inglese. Da parte nostra, cercheremo di stare molto attenti alla selezione, dando più peso al test e meno ai risultati scolastici”.
E se il preside del magistrale Agnesi, Giovanni Gaglio, auspica “collegamenti più diretti con le facoltà”, il rettore della Statale, Enrico Decleva, conclude: “Va bene la collaborazione con le scuole, ma una forma di selezione è inevitabile, non si possono risolvere i problemi di tutti. I ragazzi devono capire che l’università non può essere una chioccia: chi non ce la fa, deve porsi il problema di fare un’altra scelta”.

A. S.


 Laura Fineschi    - 12-03-2006
Nella scuola elementare certe tendenze si vedono già da anni, non perchè gli insegnanti abbiano una sfera di cristallo, ma perchè veniamo a contatto prima di altri con le nuove generazioni e con le loro famiglie.

Genitori fragili, confusi e non autorevoli ci chedono:
a) di custodire i figli dalla mattina alla sera
b) di promuoverli senza troppo stufare con richieste assurde tipo rispettare le regole, studiare la lezione o eseguite qualche compitino (..ino!) durante i week end

Qualche giorno fa, considerando un tessuto sociale che genera una sempre più consistente quantità di ragazzi iperviziati e convinti di poter ottenere tutto senza sforzo, ci chiedevamo che fine avrebbe fatto il nostro paese.