Mal di scuola
Ilaria Ricciotti - 07-03-2006
Mal di testa, senso di vertigini, di soffocamento, tachicardia, conati di vomito, mal di pancia, depressione, caduta di capelli, inappetenza, bulimia, anoressia, apatia, nervosismo, aggressività, senso di frustrazione, di impotenza, perdita di autostima ecc... La lista potrebbe allungarsi ancora ed evidenziare patologie a volte anche più gravi.

Sì, purtroppo la scuola può causare tutto ciò.

La scuola anziché allietare il corpo e lo spirito, può danneggiarli e distruggerli irrimediabilmente.

Nonostante le librerie siano stracolme di testi che informano, consigliano ed aiutano a superare questi ostacoli, sembra che essi in realtà non servano a nulla, dato che il malessere continua e si sta aggravando sempre più.

Al giorno d'oggi sono legittime situazioni di questo genere?

Io penso di no.

Se analizziamo tali malesseri essi possono essere attribuiti indistintamente sia agli insegnanti che agli alunni.

Nel primo caso però si parla di mobbing, che giustamente viene riconosciuto come malattia causata da un luogo di lavoro ostile. Ma quando sono gli alunni ad accusare tali patologie come dovrebbe essere chiamato questo disagio e chi dovrebbe risarcirlo?

Gli insegnanti mobbizzati sono tutelati da un sindacato e da una legge, ma gli alunni mobbizzati non sono tutelati da nessuno. Anzi, cari colleghi, a volte si infierisce su di loro, non capendo "un tubo"- come direbbero i nostri ragazzi, e ci si accanisce proprio su coloro che sono vittime inermi di insegnanti e di compagni presuntuosi o prepotenti.

Quando un bambino o un adolescente a scuola viene deriso dai suoi coetanei, l'insegnante dove sta?

Oppure quando i furbi riescono a fregare l'insegnante, copiando i compiti in classe e/o a casa e, soltanto perché sono astuti e logorroici si barcamenano discretamente, nonostante non abbiano studiato a fondo le materie, è possibile che riescano a farla franca e ad imbrogliare coloro che dovrebbero essere degli attenti osservatori?

Tali situazioni potrebbero continuare all'infinito, proprio come potrebbero continuare all'infinito gli esempi di insegnanti mobbizzati dai loro colleghi, dai dirigenti, dagli alunni o dai genitori.

Ma che razza di istituzione è mai questa, dove sia gli operatori che gli utenti possono essere colpiti dal mal di scuola?

Un tempo ciò era ammesso e quasi richiesto da un tipo di educazione basata sull'obbedienza incondizionata.

Oggi, fortunatamente, i tempi sono cambiati e con essi anche l'istituzione scolastica e famigliare.

Ma, i casi segnalati dai quotidiani e quelli che vengono riferiti da nostri colleghi, dai nostri figli o nipoti o semplici conoscenti dovrebbero farci riflettere ed allarmare.

Questa nostra scuola non è più in grado di esplicitare la sua funzione. Essa sta provocando diversi danni in nome di un lassismo, di un senso di frustrazione, di impotenza che sta colpendo un po' tutti. Ci sono anche situazioni nel complesso ottime, per entrambi i soggetti citati sopra, ma si contano sulle dita di una mano.

E, questa riforma ha dato il colpo di grazia ad un'istituzione che cercava di venir fuori da uno stato innaturale, non confacente al suo ruolo. Ma , a quanto pare, non ci si preoccupa più di tanto degli utenti, bensì degli operatori che pur reclamando giustamente i loro diritti, a volte, o spesso, dimenticano quali sono i loro doveri.

Chi si sta preoccupando a ragione di abolire la riforma moratti , ha preso in considerazione anche questi aspetti che devono essere eliminati?

Confrontarsi serve, ci fa crescere, come ha detto giustamente qualcuno, ma se poi di fatto non si rispetta ciò che viene esplicitato con grande passione, chiedo se un tale comportamento sia educativo, rispettoso ed onesto.

Abolire sì, ma per costruire un tipo di scuola dove vengano garantiti i diritti di tutti.

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 Anna Di Gennaro    - 07-03-2006
da Corriere della Sera
Lunedì, 6 Marzo 2006
IN CATTEDRA
Docente, professione difficile sull'orlo di una crisi di identità

Noia e depressione sono i sintomi più diffusi. Per gli anglosassoni si tratta
di una sindrome: burnout

Anatomia di un professore. Sempre più depresso, annoiato (lo confessano gli insegnanti inglesi alla Società Britannica di Psicologia) e conflittuale
(con i colleghi e i genitori, par condicio ). Insomma, da una parte «ma sì insegnare è bellissimo», dall'altra «cade in depressione per i troppi oneri e i pochi onori». Le solite cose, pochi soldi, crollo ell'autostima, incertezze sul futuro. L'immagine pubblica dei docenti sta crollando in tutto il mondo,
«ma non per questo bisogna sottovalutare la cosa», dicono in coro i diretti interessati, in una scuola sui Navigli. Uno stato di stress che corre dalle materne fino ai licei. L'hanno pure nobilitato con una sindrome specifica: «burnout» (tagliato fuori, bruciato, fuso). Gli esperti inglesi, naturalmente, ma anche gli studiosi di casa nostra hanno registrato situazioni preoccupanti.
Ansia, depressione, reazioni psicosomatiche, attacchi di panico. Sempre più frequenti. Le ricerche si moltiplicano, i dati si contraddicono: facendo una stima di media, quasi il 20 per cento dei professori italiani intervistati in questi ultimi anni, fa (o ha fatto) ricorso a farmaci ansiolitici. Forse per motivi non strettamente legati alla scuola. Forse. Comunque, il problema è globale, nel senso che attraversa tutti i sistemi educativi del mondo.

A Hong Kong, tanto per fare un esempio, anche i professori possono contare su un telefono amico per la categoria. Un numero verde a cui confidare un
po' di ansia. In fondo, dicono le notizie, due docenti si sono suicidati a breve distanza l'uno dall'altro, e pare a causa di uno stato depressivo provocato da un eccesso di lavoro. Dicono pure che migliaia di insegnanti abbiano manifestato contro i tagli alla scuola, che sta costringendo i prof a lavorare fino a settanta ore settimanali. E i politici che fanno? Istituiscono il numero verde, e gli insegnanti - riferiscono le cronache di queste ultime
settimane - sono ancora più depressi. In Inghilterra, per tornare da noi, il problema dell'ultima ora è la noia. Si annoiano quando correggono i compiti
e, soprattutto, durante i consigli di classe, i collegi e le riunioni per materia. «Certo - confessa un insegnante di Rozzano -, proprio come da noi».

Giuseppe Tesorio

http://www.edscuola.it
http://www.edscuola.com

 Anna Di Gennaro Melchiori    - 07-03-2006
Consiglio la lettura del suddetto testo. Chi desiderasse la scheda libro, mi scriva.

adige@fastwebnet.it

http://www.orizzontescuola.it/article9840.html

...C'è chi lavora da anni alacremente alla formazione della consapevolezza delle inevitabili implicazioni emotive e alla loro efficace lettura, il prof. Pasquale Picone, che nel suo testo Supervisione e formazione permanente (Edizioni Sette Città, Viterbo marzo 2004), indica la strada del recupero dell'identità smarrita.

"La motivazione alla conoscenza, se vissuta come processo di trasformazione e di individuazione, implica, a diversi livelli e in svariati settori, la passione per i processi formativi, propri e altrui. Le storie personali e professionali sono, eminentemente, storie di formazione. Essere immersi nel mare mosso delle organizzazioni formative del presente, significa spesso investire energia, per nuotare e tenersi a galla. Significa un impegno continuo di osservazione e auto-osservazione, di comprensione. Per vedere, almeno, dove si sta andando Non è più possibile - i tempi, l'economia globale, e l'Europa non lo consentono - più assistere a tanti sprechi diffusi di risorse umane, di esperienze e patrimoni conoscitivi. Risorse, di chi ha investito anni, passione, energie e professionalità parallele nella propria formazione. Sprechi, attraverso la conflittualità, talvolta stolida, tra docenti e studenti; tra docenti e genitori; tra i docenti stessi; tra dirigenti scolastici e collegi docenti. Attraverso l'emarginazione, l'esclusione dei più motivati."


 luigi piotti    - 07-03-2006
Senso di impotenza, di frustrazione, depressione e non di meno vomito non mi sembrano sintomi di una malattia, meglio, non mi sembrano reazioni anormali ad una realtà che priva della libertà di scelta, reprime le espressioni libere, tratta cittadini (che per definizione dovrebbero partecipare) come utenti (sic!) e sopprattutto ha l'arroganza di educare. Credo proprio che sia segnatamente la volontà di educare che provochi conati di vomito, ma daltronde cosa si può fare con in mano utenti per di più minorenni?
Bisogna fare attenzione a non confondere i sintomi con la malattia e fare più attenzione a chi di anticorpi non ne ha. Dice bene Ilaria che scrive che i vigili insegnanti dovrebbero avere un occhio di riguardo per chi non copia i compiti e non riesce ad aggirare le domande dei professori con una qualche dose di retorica e inventiva, gli altri sembrano cavarsela già benone!