Ritardi
Redazione Scintilla - 26-11-2005

Brescia, Liceo Artistico Olivieri, ore otto e zerocinque di mattina.
Una ragazza fa capolino nel cortile dell'istituto e scoppia in un pianto rabbioso, dopo aver scaraventato le sue povere cose
per terra. Il professore della prima ora l'ha cacciata fuori
dicendo «impara l'educazione».
«Nella mia scuola tutto è abuso di potere», ci dice Iskra. Storia di un'ordinaria mattina scolastica e di un «ritardo» che non si sa se attribuire agli studenti o alla scuola.


Chissà quante mattine, senza che nessuno lo sappia o se lo immagini, nel cortile o nel corridoio di una scuola qualunque una ragazza avrà pianto, un ragazzo avrà soffocato una rabbia sullo stomaco, per uno dei tanti soprusi che la scuola ama infliggere ai suoi studenti mascherandosi dietro la sua falsa coscienza di educatrice.
Anche chi vive all'interno, nelle aule o nei bagni dove spesso ci si rifugia per avere un minuto di respiro e di tregua dall'occhio invisibile della scuola che vede e classifica tutto, magari farà finta di niente, passerà oltre pensando a come salvarsi il culo e tornare a casa anche quel giorno senza troppe coltellate che poi alla fine dell'anno è difficile rimarginare. Così il pianto o la rabbia repressa per darsi un tono di normalità e robustezza di fronte a insegnanti e compagni, anche se non si notano restano, pesanti, sono uno di quei tanti «bocconi amari» che la scuola costringe ad ingoiare, e che costituiscono l'unica lezione che non si dimentica mai e che tutti imparano, la lezione che ti toglie giorno per giorno il sorriso e la speranza e ti insegna a portare a scuola e nella vita con gli altri il grigiore, la diffidenza e la bile.

Piangere alle sette di mattina

«Ti do tre secondi, tre fottuti secondi per strapparti dal grugno quel sorriso da stronzo!» (S. Kubrick, Full metal jacket).


È questa la scena che ci viene in mente quando una ragazza fa capolino nel cortile dell'istituto e scoppia in un pianto rabbioso, dopo aver scaraventato le sue povere cose per terra. Più tardi verremo a sapere la sua storia, e che è stata espulsa dalla classe per essere arrivata con cinque minuti di ritardo sull'orario delle lezioni. Ma per ora ci colpiscono due cose: il suo pianto aggressivo, e in fondo impotente e profondamente indifeso, e una frase gettata come una terribile accusa in mezzo al cortile, rivolta a tutti e a nessuno: «non si può far piangere una persona alle sette di mattina!»
Forse, nell'esercito, il sergente istruttore Artman avrà potuto gridare a quel ragazzone con il sorriso stampato sul volto -un sorriso nervoso, o semplicemente di reazione alla situazione, e che il malcapitato non riesce in nessun modo a togliersi dal volto - «hai tre secondi altrimenti ti strappo le palle degli occhi e ti fotto il cervello», e qualche secondo dopo avrà avuto il potere di strangolarlo esemplarmente chiedendogli «hai finito di ridere» di fronte a tutti i commilitoni.
Ma anche la scuola addestra a suo modo stare a posto e i suoi metodi «educativi» non si discostano molto dal succo della lezione che devono imparare i marines per diventare macchine da guerra: «qui tu non piangerai, tu non riderai, qui si riga dritto e basta».
Siamo al liceo artistico «Olivieri» di Brescia, e la fortuna ha voluto che scintilla incontrasse questa ragazza, sentisse il suo disagio e la sua rabbia, le chiedesse la sua storia che ora tenteremo di raccontare: e per questa volta la storia circolerà, diventerà visibile, sarà nella mente di qualcuno.
È la storia terribile di un'ordinaria mattina scolastica simile a tante che anche noi abbiamo vissuto, la storia di un normale abuso di potere che intesse le ore dello stare a scuola e il rapporto tra studente e insegnante.
Iskra (le daremo questo nome per protezione, un nome simbolico che useremo sempre su questa rivista) è furiosa: espulsa, o meglio, non ammessa in classe per aver varcato la soglia alle otto e zerocinque, decide di non entrare più in classe quel giorno.
Il professore della prima ora l'ha cacciata fuori dicendo «impara l'educazione».
Sarebbe ridicolo costruire un'analisi sulla scuola a partire da un pianto, come ce ne sono tanti, se non fosse che Iskra non ha più quindicianni, che non sopporta più la smorfia viscida e compiaciuta del professore, che il regolamento è dalla sua parte (fino ai quindici minuti si è ammessi di diritto in classe), che le tornano a bruciare tutte le stronzate che ha subito dallo stesso individuo, che ormai le sembra chiaro che qualsiasi pretesto è buono per farla sprofondare e rovinarle la vita, per punirla e farla rimanere in quell'inferno un altro anno.
E non foss'altro che in quel "teatro" assurdo a porte chiuse dove gli occhi si gonfiano per un'ingiustizia fin dal primo mattino sembra essere lontana anni luce quella «gioia dell'apprendere» che nella mente di Lussignoli doveva suscitare la scuola, così come la scritta «I care» che don Milani aveva fatto affiggere come intestazione della scuola di Barbiana, l'esatto opposto del fascista «me ne frego».

Nella mia scuola tutto è abuso di potere

Il liceo artistico «Olivieri» è sito in un bel palazzo -presumiamo settecentesco- protetto dalle belle arti.
Ma negli ultimi anni da non più di quattrocento gli studenti salgono a settecentocinquanta, diverse scuole e distaccamenti confluiscono in quell'unica sede. E per gli studenti le aule non ci sono. Ci si deve spostare spesso da un'aula all'altra, cambiando anche quasi ogni ora - però il liceo artistico non può perdere il «bellissimo palazzo».-
Iskra ora aspetta solo di uscire da quel bellissimo e maledetto palazzo e fare i conti con la sua vita e i suoi sogni, anche se in passato è stata «una delle teste calde della scuola». Gli studenti non hanno mai potuto «muoversi», dare inizio a fermento politico, protestare, inventarsi qualcosa perché la scuola è protetta dai «beni culturali». Manco la cultura stesse nel palazzo che ospita la scuola e non nelle persone che ci vivono, nelle loro teste e grazie ai loro corpi, in quella costruzione quotidiana del sapere e delle relazioni sociali che animano la collettività.
L'unico anno in cui s'è tentata l'occupazione un genitore ha picchiato uno studente. E quello stesso insegnante che l'ha espulsa per il ritardo le ha strappato di mano i registri di classe - requisiti dall'assemblea dell'occupazione per sospendere la didattica - per chiuderli in cassaforte.
Cari, ridicoli, meschini insegnanti: forse fate bene a nascondervi dietro i vostri registri, a chiuderli in cassaforte, quasi fossero il cuore, il tesoro della vostra scuola. Forse fate bene ad avere paura a girare tra i vostri studenti senza lo scettro del potere, senza la possibilità di «sorvegliare e punire», in fondo chi siete senza il registro?
Roald Dahl in «Matilde» descrive una scuola in cui la terribile preside "Spezzindue" nel suo ufficio tiene le foto dei bambini al muro per tirarci alle freccette, e sogna la sua scuola perfetta, una scuola senza bambini. E a pensarci bene, seguendo il filo logico di una scuola come questa, le persone fisiche, con i loro problemi e le loro insofferenze, con tutti gli imprevisti e le decisioni improvvise che possono prendere non fanno che rovinare la perfetta, pulita, asettica, matematica certezza funzionale della «struttura educativa».


Quando le facciamo presente che l'espulsione dalla classe era un abuso di potere che avrebbe dovuto denunciare al preside, Iskra ci urla «nella mia scuola tutto, è un abuso di potere». Quando il vicepreside prevarica il preside, e magari il vicepreside è pure quell'insegnante che ti trovi in cattedra e che può decidere le tue sorti in consiglio di classe, è difficile pensare che ci sia una giustizia, un tribunale superiore cui rivolgersi per affermare un proprio diritto. La mancanza di un'autorità superiore di garanzia cui appellarsi per non dover chinare la testa, ecco cosa manca all'«Olivieri» e nella scuola in generale.
A volte, per brevi periodi, sono gli studenti stessi a far valere diritti e lottare per la salvaguardia della propria dignità: magari in occupazione, ma non all'«Olivieri», dove il palazzo protetto come bene culturale, un vicepreside che chiude i registri in cassaforte e genitori che fanno a botte con studenti all'entrata del liceo hanno reso immobili e rassegnati i ragazzi.

Fuori i genitori

Al liceo Arnaldo nel dicembre del 2003, in piena occupazione della scuola il Preside convocò i genitori dei rappresentanti degli studenti a colloquio per discutere della loro partecipazione alla protesta e intimarne la fine. Non è difficile immaginare il contenuto e il senso di questo gesto: l'incapacità di instaurare rapporti e comunicazioni politico-democratiche da parte delle autorità della scuola portano a ridurre i rappresentanti della componente studentesca a semplici «alunni» con genitori, «figli di» qualcuno; e allora il gesto di protesta, la contestazione, le decisioni di un'assemblea non sono altro che gesti illegali e sanzionabili disciplinarmente chiamando in causa le famiglie, solitamente preoccupate del «buon andamento» dei propri figli a scuola e della loro «condotta». Di chiamate a casa Iskra ne ha ricevute tante, di controllo dei suoi movimenti e delle sue scelte, e di litigate con sua madre che si preoccupa ed è un poco ansiosa -e come dev'essere, una mamma?- ne ha fatte parecchie, come quella volta che si stava solo prendendo un caffè al bar di fronte al liceo e il professore aveva già telefonato a casa per avvisare della sua assenza.
Scuola e famiglia: è incredibile come un'autorità chiami in aiuto l'altra, la sproni in una sorta di corsa concorrenziale alla "severità" per schiacciare lo studente, come «alunno» e come «figlio», su due fronti, senza lasciare una via d'uscita.
E in generale l'appellarsi alle famiglie (all'autorità genitoriale) è un'azione e una scelta profondamente diseducativa e reazionaria, che approfondisce e incoraggia nello studente lo stato di minorità, la soggezione ai vincoli famigliari e sociali, il permanere di antiche catene. Un gesto di potere che non fa crescere.
In una scuola pubblica è forse il massimo affronto alla dignità e all'autonomia degli studenti, alla capacità di autodeterminazione e alla richiesta di responsabilità, anche se all'articolo 3 la nostra Costituzione parla del dovere della rimozione degli ostacoli che impediscono la reale eguaglianza dei cittadini e la partecipazione alla vita sociale, politica del Paese (nel nostro caso, della scuola).
La famiglia, come ostacolo, va rimossa dalla scuola. Uno studente che arriva nel contesto socio-politico delle scuole superiori deve trovarsi portatore di diritti, responsabile delle proprie azioni e delle scelte, portavoce di se stesso, in una struttura responsabilizzante e autonoma.
Per favore, i genitori fuori dalla scuola, di qualsiasi pasta siano fatti, i pochi democratici così come la maggior parte di tutti gli altri.
E fuori anche dai "colloqui", nella loro accezione usuale di riunioni segrete in cui si determinano punizioni e privazioni ulteriori.

Cappuccino

Non ne parliamo con Iskra, ma forse l'idea di scintilla che ai colloqui ci debbano andare solo gli studenti ci troviamo a condividerla nel momento in cui, rivolgendosi agli insegnanti, ci dice «non trattate tutti come coglioni dai 14 ai 19 anni», e il lungo racconto tra un cappuccio e una brioche le ha fatto ricomparire un debole sorriso.
Ma solo in un caffè, fuori e lontano da scuola.

la redazione

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Reginaldo Palermo    - 26-11-2005
Il racconto-resoconto della Scintilla mi colpisce molto: negli ultimi due-tre anni - leggendo quello che circola nei forum e nei siti - mi ero fatto un'idea del tutto diversa della scuola superiore. Avevo capito che gli insegnanti nella loro stragrande maggioranza sono innovatori, attenti alle esigenze dei ragazzi, contrari a qualsiasi forma di restaurazione, contrari al doppio canale, alle scuole di serie A e di serie B, ecc.. ecc..
Avevo capito che il 90% della scuola superiore sia schierata contro la "controriforma Moratti" e a favore di una scuola a misura di studente.
E invece adesso scopro che i guasti nella scuola superiore non sono dovuti esclusivamente alle politiche neo-liberiste del Governo ma anche ad altri motivi e alla incapacità di una parte di insegnanti di garantire una scuola decente (non dico di qualità).
Grazie alla Scintilla ho scoperto una cosa che non sapevo.

 Loredana Di Marco    - 27-11-2005
Ma gli insegnanti non sono tutti despota e criminali!!! Scherziamo! siamo ancora in tanti che crediamo nei giovani e che facciamo il nostro lavoro con "umiltà" (nel senso che cerchiamo di cogliere e capire l'humus di chi ci sta di fronte rispettando la dignità di "ciascuno") e con rispetto e affetto per questi giovani così fragili e così agressivi che fanno tanta tenerezza e che talvolta sanno essere che irritanti nei loro atteggiamenti estremi - ma, sono solo giovani che non hanno certezze o 'eroi' da seguire che chiedono aiuto senza saperlo fare.