Le fasi della gestione educativa del conflitto
Laura Tussi - 07-10-2005
Le possibili fasi di un conflitto educativo si possono riassumere nei seguenti modi:

RICONOSCIMENTO

Un conflitto è tale anche se non elaborato? E qual è il costo del riconoscimento di un conflitto, nel quale magari sembri molto difficile trovare una soluzione? Il primo passo ci pone in modo spietato di fronte alla difficoltà di cogliere il conflitto, di assumerlo. L'anestetizzazione dei conflitti è la logica più seguita data la difficoltà di gestirli, ma eludere in questo modo il corso delle cose non aiuta e ciò che viene messo alla porta rientra dalla finestra. I conflitti non risolti interferiscono nella vita e nell'azione educativa riproponendosi sotto altre forme non necessariamente migliori. Si potrebbe legittimamente dire che ognuno affronta i conflitti che è in grado di sostenere, ma anche questo è insufficiente. Il problema è che si dà una scarsa attribuzione di senso ai conflitti, troppo facilmente demonizzati e rifiutati. Questo atteggiamento impedisce il riconoscimento del conflitto e dei messaggi sottostanti. Non si vuole vedere ciò che sta succedendo e si copre la realtà con un velo di pigrizia e ipocrisia. Prendere atto del conflitto è invece un'operazione di consapevolezza che restituisce dignità ai soggetti operanti nel conflitto stesso.

INDUGIO

Giungere a questa seconda fase, starci dentro, assume spesso il valore di una competenza, di una capacità profonda; le reazioni di aggressività e di colpa che si riscontrano in certi insegnanti dipendono dal modo in cui essi hanno interiorizzato il proprio passato infantile: bisogno di dominare, di proteggere eccessivamente per confermarsi nel proprio ruolo di adulti, identificazione con i propri maestri autoritari o rivincita, perché non hanno trovato fermezza nei genitori o nei maestri, valorizzazione dell'infanzia fino a farne un assoluto per sfuggire alle responsabilità della vita adulta.
Reazioni isteriche, scomposte e a volte violente indicano lo scarso possesso di questa fondamentale capacità educativa; stare nel conflitto rappresenta una fermezza, una stabilità che mette l'educatore in grado di creare un positivo contenimento psico-affettivo che gli impedisce di imporre reazioni narcisistiche o nevrotiche. Anche questa fase rimanda alla maturità socio-affettiva dell'educatore, al suo senso di sicurezza, all'aver compiuto un percorso di crescita che eviti da un lato la collusione inconscia con le manifestazioni tipiche del conflitto (aggressività, reazioni impulsive, crudeltà, ecc.) e dall'altro la pura e semplice repressione. L'indugio è la possibilità della comprensione, una comprensione che va al di là del giudizio e diventa piuttosto un momento di riflessione, per capire, evitare risposte stereotipate, porsi in ascolto di se stessi e delle persone con cui è nato il contrasto.
La risposta improntata alla violenza, nelle varie forme in cui si manifesta, rappresenta sempre una mancata elaborazione di questa fase, una fase in cui la necessità di problematizzare la propria azione diventa un antidoto efficace e senza reali alternative alle manifestazioni di intolleranza e di negazione dell'altro/a. Se l'alterità è di per sé perturbazione, è qui che può manifestarsi l'atteggiamento positivo dell'educatore che sa accettare e reggere le difficoltà del rapporto.

COMUNICAZIONE

Qui ci troviamo già in un'altra fase. Il conflitto ha trovato un possibile incanalamento e viene spostato su un terreno dove può essere decodificato e analizzato più chiaramente: è un trasferimento dall'immediato al simbolico che apre le porte alle possibili soluzioni, un'operazione di grande rilevanza emotiva e cognitiva, possibile solo sulla base delle due precedenti. Comunicare nel conflitto è segno della forza di chi sa gestire le tensioni tenendo ferma la necessità di non demonizzare, di riconoscere nell'altro/altra potenzialità non distruttive e nonviolente. La comunicazione educativa nel conflitto tiene ferma la necessità di vincere insieme, di non umiliare e di non essere umiliati ed è fondata sulla capacità empatica (mettersi nei panni di...) e sull'ascolto attivo. «Non vi sono mai due persone che non si capiscono; ci sono solo due persone che non hanno discusso», dice un proverbio africano che mi pare riassuma bene il senso di una gestione positiva del conflitto.
Le ricerche sulla comunicazione compiute a partire dal dopoguerra (fra cui quelle della Scuola di Palo Alto sono fra le più avanzate) hanno portato alla luce tutte le difficoltà del comunicare correttamente, le dinamiche dei giochi al limite del patogeno, le nevrosi che spesso nascondono le difficoltà di ascoltare e capirsi.
Molte di queste ricerche sono state sviluppate anche in ambito educativo, rivelando un mondo sorprendentemente ambiguo sotto il profilo della comunicazione, dominato, più che da istanze di chiarezza, da volontà di controllo e dimostrazioni di potenza, in cui ingiunzioni paradossali (del tipo «sii spontaneo!») e domande tendenziose (del tipo «chi di voi sa dirmi perché dobbiamo essere più buoni con gli altri?») si sprecano abbondantemente, creando atteggiamenti di ribellismo o indifferenza da parte degli educandi.
Comunicare implica la sospensione del giudizio, che è proprio il contrario del giudicare. Implica entrare in relazione e cercare di incanalare l'eventuale scontro su un terreno dove possa essere chiarito da entrambe le parti. Detto questo, va comunque ricordato che tale competenza necessita di un buon livello di autoconoscenza da parte dell'insegnante o dell'educatore.
Più l'insegnante avrà recuperato i propri vissuti emotivi, riscoprendo in se stesso un'inedita, dimenticata o repressa capacità di dialogo e di contatto, tanto più potrà ascoltare l'allievo senza proporsi mete educative che facciano appello alla razionalità e alla ricerca di obiettività.

SOLUZIONE

Principio vincente di questa fase è la creatività, ossia l'invenzione che spezza il meccanismo di negazione reciproca per trovare nuove vie che implichino una ridefinizione del rapporto in grado di suscitare il consenso reciproco. La creatività non è rinuncia né debolezza, ma intelligenza e capacità di uscire dalla ripetizione per vedere il problema sotto altre e nuove dimensioni. Le soluzioni che garantiscono una soddisfazione reciproca possono offrire una maggior durata nel tempo in quanto vi è un alto consenso. Non sempre questo avviene e spesso la soluzione apparentemente raggiunta è semplicemente l'imposizione di una delle parti, anche se velata e non esplicita.

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