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Attenti, l'omofobia genera mostri
l'Unità - 08-07-2005
«Si è passati a una laicità che sfiora l'intolleranza contro la normalità dell'esistenza umana. Non vorrei che ci fosse il rovescio della medaglia, se non sei diverso e non siedi nel trono della trasgressività, non puoi far parte a pieno titolo della società». Così il vicepresidente del Senato Francesco Moro, uno dei tanti partecipanti al coro che nei giorni scorsi si è levato contro la riforma spagnola, contro le richieste dei gay, contro Zapatero. Vorrei che questo signore, assieme ai presidenti del Parlamento italiano che si sono messi a lanciare anatemi contro le decisioni del Parlamento spagnolo, andassero a ripetere i loro discorsi accanto al feretro di Michele Presta, dirigente sindacale ucciso dal ricatto e dalla paura di accettare socialmente l'orientamento omosessuale.

In che Paese, in che mondo viviamo? Viviamo nel Paese in cui - come paventano i nuovi e vecchi crociati - gli omosessuali hanno già tutto e fanno tendenza e mettono in difficoltà la maggioranza eterosessuale? C'è una nuova minoranza privilegiata dalle cui brame disordinate si può tentare solo di difendere i bambini: questa è grosso modo l'analisi da cui parte il fuoco di sbarramento preventivo al matrimonio gay, che sia espressa in termini più raffinati o più grossolani (alla Tremaglia, che parla di "culattoni" al potere). O viviamo nel Paese visto a Catanzaro da Michele Presta, che nonostante la milizia nella Cgil, pare abbia sopportato a lungo di esser ricattato perché non si rivelasse la sua omosessualità?
Una storia davvero altri tempi, che sembra impossibile nell'Italia del 2005. Potessi parlargli ora - e sempre che le prime ricostruzioni della vicenda siano confermate - gli direi che sbaglia di grosso, che si è esposto a sofferenze e rischi inutili in un meridione italiano dove ormai un omosessuale dichiarato può diventare presidente di Regione. Non so se mi risponderebbe che Catanzaro non è Bari, o che abbiamo tutti frainteso, che c'è qualcosa di non inquadrabile schematicamente.

Comunque: rispetto alla condizione omosessuale l'Italia non è certo il delirio esemplificato dalla frase del senatore Moro, e per fortuna non è neanche - o perlomeno non è in genere più - l'incubo vissuto da Michele Presta.

Ma c'è un grosso rischio in questi tempi: che la reazione stupida e strumentale ai matrimoni spagnoli alimenti l'omofobia spicciola di cui si nutre. Grottesca ma preoccupante dimostrazione di quanto sto dicendo è stato il linguaggio ieri usato dalla Rai per descrivere le ragioni dell'omicidio, e la recente costante censura Rai nei confronti dei rappresentanti delle comunità gay e lesbica. (C'è qualcuno in Rai che ha inteso gli ordini di scuderia nei termini di gay=sinistra=cattivo?)
Il rischio è dunque quello di riattivare i peggiori pregiudizi, non solo quelli contro il matrimonio gay ma anche quelli pesantemente e volgarmente discriminatori che i vari Pera e Casini, nei momenti di lucidità, formalmente respingono. E c'è il rischio quindi che dal teatro della propaganda si trasmetta veleno alla provocazione sociale, quella vera, quella cioè che provoca sofferenze o violenze.

Paolo Hutter
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 marina boccatonda    - 09-07-2005
Mi sembra logico,visto che vantiamo una cultura cristiana!
Nei tempi antichi l'omosessualità non era considerato un problema,poi è arrivata la Chiesa e sono cominciate le discriminazioni,le sudditanze,il peccato per il sesso e ce lo portiamo dietro e dentro,anche a livello inconscio.
il fondamentalismo religioso genera mostri,l'indottrinamento fà il gioco del potere della Chiesa,che di Dio ha fatto un mezzo e non il fine.

 Pierangelo    - 10-07-2005
da Repubblica del 10.7.2005

A Giarre, 25 anni fa si uccisero - o forse furono uccisi - due omosessuali rifiutati dalla città

Toni e Giorgio, morti di pregiudizio
"Diedero coraggio all´altra Italia"


GIARRE (Catania) - Non c´è più il pino marittimo, che svettava alto sopra gli aranci. I vecchi del paese dicevano che «soltanto il pino aveva visto», solo «il pino sapeva». Sapeva della morte di Giorgio Agatino Giammona, 25 anni, e di Antonio Galatola detto Toni, 15 anni. Erano andati a farsi uccidere sotto i suoi rami, i due «puppi», come con disprezzo ancora oggi vengono chiamati, in terra catanese, gli omosessuali. Il più grande, Giorgio, era addirittura «puppu cu´ bullu», perché a sedici anni era stato sorpreso in auto con un altro ragazzo ed i carabinieri lo avevano denunciato.
Omosessuale con tanto di bollo. Sono passati 25 anni e del pino marittimo è rimasto soltanto il ceppo, tagliato a raso in quello che oggi è un parcheggio davanti all´istituto Itis di Giarre. Non ci sono più gli aranci. Solo case, condomini, supermercati, istituti di bellezza e scuole. E per Giorgio e Toni, nel paese fra l´Etna e il mar Jonio, non c´è più nemmeno la memoria.
Eppure, ogni volta che gli uomini e le donne dell´Arci gay si riuniscono per un congresso nazionale o un Gay Pride le prime parole sono «per Toni e Giorgio, i due ragazzi di Giarre». «Si sono fatti ammazzare da un bambino di 13 anni perché non sopportavano gli insulti di tutto il paese». «Il loro sacrificio ha spinto tanti di noi a uscire allo scoperto. Due mesi dopo la loro morte proprio in Sicilia, a Palermo, è nato il primo circolo dell´Arci gay».
Ci sono anche le giostrine per i bambini, nel luogo dove Giorgio e Toni furono trovati morti il 31 ottobre 1980. «Erano quasi abbracciati e si tenevano per mano». I due ragazzi erano spariti da casa due settimane prima, dopo che in paese qualcuno aveva cominciato a chiamarli «´i ziti», i fidanzati. I carabinieri indagano e trovano subito un «colpevole» che ha 13 anni e dunque non può essere punito. Franco M., il bambino omicida, è nipote di Toni e racconta una strana storia. «Lo zio e Giorgio mi hanno portato in campagna e mi hanno detto: o ci uccidi, o noi uccidiamo te. Mi hanno messo una pistola in mano e si sono sdraiati sull´erba, come per dormire. Mi hanno dato un orologio, come ricompensa. Ho dovuto sparare alla testa, come mi avevano detto loro».
Due giorni dopo il bambino ritratta. «Ho confessato perché i carabinieri mi hanno dato gli schiaffi». Giarre si chiude a riccio quando giornalisti e telecamere arrivano pure da Roma per raccontare la tragedia. «Che vergogna. Penseranno a Giarre come al paese dei finocchi». Il funerale è già una sentenza. Duemila persone dietro al feretro del ragazzo di 15 anni, nessuno per Giorgio Giammona, «puppu cu´ bullu». L´inchiesta rimpalla fra Giarre e Catania e non approda a nulla. Franco M., il bambino di allora, adesso ha 38 anni. Porta addosso i segni pesanti di quella tragedia. Paolo Patanè, avvocato di 37 anni, vice presidente del Pegaso´s club di Catania, associato all´Arci gay, abita a Giarre. «Ero bambino, quando è successo il fatto. Ma ricordo la paura che c´era in paese e soprattutto la vergogna dei grandi». Quel sacrificio ha cambiato un pezzo d´Italia, ma non ha cambiato Giarre. «Forse si è ridimensionato il peso del giudizio sociale, ma l´ipocrisia resta sovrana. Prima, se eri gay, ti volevano schiacciare. Ora si accontentano di ignorarti. Puoi anche vivere con il tuo compagno, basta che non si sappia. Dentro le case continuano le tragedie di chi è costretto a vivere l´omosessualità come una malattia. Conosco ragazzi che sono stati costretti a lasciare l´università così non incontravano "altri malati". Altri ragazzi, quando hanno parlato con i genitori, sono stati portati dallo psichiatra».
La libertà di vivere è a poco più di venti chilometri, a Catania.
Qui c´è il circolo Pegaso´s, con discoteca gay che conta 7.000 iscritti. Il presidente è Giovanni Caloggero, che nell´ottobre 1980 aveva 29 anni. «Allora ero dirigente di banca, sposato con una donna e gay. Quella tragedia ci disse che se avessimo continuato a restare nell´ombra avremmo potuto finire come loro, quei poveri ragazzi forse suicidi forse assassinati a freddo». Il Pegaso´s ha una pista da ballo sotto un grande tendone da circo, e in estate un´altra accanto ad una piscina ombreggiata dagli eucalipti. «Quando ci sono le feste arrivano quasi duemila persone. Noi, comunque, siamo un´isola nell´isola. Arrivano da Trapani, 330 chilometri di macchina, per venire a ballare qui. Arrivano dalle centinaia di Giarre sparse in Sicilia. E´ importante, il Pegaso´s. E´ l´unico luogo dove puoi vivere senza paura la tua omosessualità, dove puoi discutere e conoscere la vita degli altri». Dopo il primo circolo di Palermo, fondato da don Marco Bisceglie, prete del dissenso, altri circoli nacquero in tutta Italia. «Qui a Catania - racconta Giovanni Caloggero - siamo riusciti ad aprire il nostro primo locale solo nel 1993. Era un appartamento di 100 metri quadri, non aveva nemmeno il frigorifero. Tenevamo la birra nel ghiaccio. Ma quel primo appartamento, preso in affitto dalla Chiesa Evangelica, è stato una pietra miliare».
«Ecco, potremmo costruirlo qui, un segno che ricordi i due ragazzi uccisi». L´avvocato Paolo Patanè è accanto al ceppo del pino marittimo di Giarre, testimone silenzioso della tragedia. «Il Pegaso´s di Catania è importante ma non basta. La Sicilia e l´Italia sono fatti di paesi dove essere gay è ancora ignominia. Noi potremo essere liberi quando, nella scuola che è qui di fronte, i presidi e i professori chiameranno i ragazzi e anche noi a parlare di libertà civile, di omosessualità, di identità sessuale. Proporremo al Comune di mettere una lapide per ricordare Toni e Giorgio. Hanno diritto almeno a una memoria».

Jenner Meletti