Anna Pizzuti - 23-06-2005 |
Fino al 1999 le tracce dei temi per gli Istituti professionali erano diverse da quelle che venivano date in tutti gli altri Istituti, tranne che per una. Funzionava così: la prima traccia era quella “generale” che veniva proposta a tutte le altre scuole, poi ce n’era una di storia, “facilitata” e, infine, veniva quella riguardante “l’indirizzo specifico”. Personalmente ho salutato il nuovo esame di Stato con soddisfazione, perché i motivi della separazione, francamente, non li comprendevo. Come ora comprendo solo molto parzialmente, le proteste che stanno arrivando nello spazio messo a disposizione da repubblica.it sull’esame, chiamato ancora, ed impropriamente, di maturità. Come tutti, ormai da quattro anni, spio, attraverso le tracce, cosa ha in mente il ministro (perché lo sappiamo tutti, ormai, che quello che ha in mente il ministro lo sa solo lei). Quindi anche io, alla vista della proposta di Dante, ho sobbalzato. Ma non per ed a nome dell’Istruzione professionale, bensì per il messaggio che se ne poteva ricavare, considerata la funzione che ai licei (dei quali lo studio di Dante dovrebbe essere simbolo) viene assegnata dalla cosiddetta riforma del secondo ciclo. Le mie minime conoscenze di storia e filosofia della scienza mi hanno consentito di sobbalzare anche sull’impostazione della quarta traccia dedicata ad Einstein (scoperte, invenzioni…) ed ho avuto anche, leggendo tra le righe del saggio breve sul rapporto tra scienza e natura (e non sullo tzunami, come si continua a dire) il maligno sospetto che il ministro abbia voluto da un parte precorrere quella sfiducia nella scienza che il referendum doveva diffondere qualche mese dopo la stesura delle tracce (che pare avvenga ad aprile) o dall’altra, anche quando se ne parla in positivo, invitare indirettamente a denunciarne gli usi distorti richiesti da quei dieci milioni di relativisti che hanno votato sì. Queste le mie perplessità, non altre. Perciò non mi unisco al coro delle proteste che sale dagli istituti tecnici e professionali. Non perché i miei alunni siano dei topolini di biblioteca (anzi, quest’anno ne ho diversi che mi hanno fatto penare di brutto e molto ancora mi faranno penare) o io sia chissà che perla di insegnante e nemmeno perché, difendendo la funzione ed il valore dell’istruzione professionale, la desidero licealizzata. Non mi unisco perché sono convinta – e ne ho la dimostrazione, appunto, dal 1999 - che bellezza e grazia siano un diritto di tutti. Per cui vedere Luca e Serena e Giorgia e quasi tutti gli altri (per non parlare delle mie alunne del serale) non spaventarsi di fronte a Platone, a Saramago, a Goethe, a Citati ed a tutti gli altri, compresi gli scienziati, ma leggerli e sforzarsi di comprendere, semplicemente, quello che volevano dire e farlo proprio e confrontarlo con i loro pensieri, mi ha fatto sentire – posso dirlo? – piuttosto fiera. Certo non hanno prodotto saggi eccelsi, certo avranno banalizzato, avranno ridotto il grande a dimensioni minime, però sono stati al gioco, con dignità e buonumore. A modo loro, chi più e chi meno, hanno vinto questa battaglia. Con dignità, lo ripeto, quella che già abbiamo e che non ci deve essere data da nessuna riforma. Temo che se siamo noi i primi a parlare dei nostri alunni come figli di un dio scolastico minore, non facciamo altro che giustificare, agli occhi dei riformatori, la separazione. Mi piacerebbe che a girare sui giornali e nei siti, ma soprattutto nei luoghi della politica, fossero ben altre iniziative a difesa dell’istruzione professionale . |