breve di cronaca
Abrogare o no? Un falso problema
Scuolaoggi - 18-06-2005
Il dibattito sull'abrogazione della legge di riforma Moratti non ci ha mai convinto del tutto né appassionato più di tanto. Sarà perché abbiamo sin dall'inizio considerato la legge delega n.53/2003 una "controriforma" dagli aspetti reazionari e complessivamente negativi per la scuola pubblica. Controriforma in senso forte: perché avveniva sulle ceneri della legge quadro di riordino dei cicli dell'istruzione n.30/2000, il cui contenuto radicalmente "riformatore" della scuola di base italiana - condiviso o meno che fosse - veniva drasticamente bloccato. Di più: controriforma persino rispetto alla legge di riforma dell'ordinamento della scuola elementare n.148/1990 che, con i moduli didattici e la conferma del tempo pieno, sanciva comunque il primato del gruppo docente rispetto ad altri modelli didattici e organizzativi (si chiamino essi insegnante costellato, prevalente o tutor).

Ora il dibattito sull'abrogazione della riforma Moratti è ripreso con vigore dopo le ultime tornate elettorali (ci riferiamo alle elezioni amministrative, non certo al referendum). Si è fatta strada l'idea infatti che il berlusconismo è in crisi e che quindi nel 2006, con la prevista vittoria del centro sinistra, potrà esserci un cambio di governo. Ipotesi auspicabile ma non certo "scontata", se consideriamo la persistente tendenza alla divisione e l'irrefrenabile cupio dissolvi che pervade lo schieramento del centro sinistra. Si pensi alle recenti vicende interne alla Margherita ma anche alla dialettica interna o tra i vari partiti dell'Unione o alle spinte divaricanti del centro da una parte e della sinistra-sinistra dall'altra. Di questo passo, con queste pulsioni e questo tasso di conflittualità interno alla coalizione, abbiamo forti dubbi che si possa arrivare davvero a battere il centro destra e quindi ad un cambio di maggioranza di governo e di programmi politici, scuola inclusa. Sarà il caso, quantomeno, di non darlo affatto per "scontato".

Chi sostiene con forza e determinazione la necessità di "abrogare" la riforma Moratti lo fa perché teme che, una volta al governo, pezzi consistenti del centro sinistra non vogliano cambiare rotta, intendano cioè correggere - al massimo - qualche stortura della legge 53 ma non metterne in discussione l'impianto di fondo. Preoccupazione legittima e probabilmente fondata, che non risolve però il problema. Perché il vero problema - lo abbiamo già detto e lo ripetiamo - è che il centro sinistra non ha un programma di politica scolastica e, soprattutto, non ha ancora elaborato una proposta di legge, una propria "riforma della scuola" da mettere al posto della riforma Moratti. Questo è il punto, la vera questione irrisolta.

Quando il Polo è andato al governo, come primo atto, ha abrogato la legge di riordino dei cicli, riforma che era stata approvata ma che non aveva ancora prodotto effetti, continuando di fatto a sopravvivere - nella scuola elementare - la legge 148/90. Non si è creato pertanto alcun vuoto normativo: la Casa delle libertà ha sospeso e messo fuori gioco subito la legge n.30 e, mentre rimaneva in vigore la legge 148, ha proposto ed approvato con l'ampia maggioranza parlamentare di cui dispone, la legge n.53.

Allora occorre dire cosa succede, cosa si propone, una volta abrogata la riforma Moratti (evento, ripetiamo, che riteniamo auspicabile, ma di per sé non sufficiente). La legge di riordino dei cicli di Berlinguer, che noi consideravamo una riforma per molti versi apprezzabile (una scuola di base unitaria) ma per altri incompiuta e sicuramente indefinita, non è riproponibile (o comunque non viene riproposta). Ma non dimentichiamo che la stessa legge 148 era invisa a molti che non hanno mai condiviso la proposta dei moduli didattici. Qual é allora la proposta di organizzazione della scuola di base? L'estensione del modello tradizionale del tempo pieno - come modello unico - sul territorio nazionale e la conferma della scuola media esistente? Noi riteniamo questa proposta debole, non praticabile e pedagogicamente arretrata. La diffusione del modello del tempo pieno sul territorio nazionale non è realistica per più motivi. Non solo la richiesta di Tempo Pieno è circoscritta ad alcune grandi città (Milano, Bologna, Torino) e ad alcune regioni e non altrove, ma se anche avesse una diffusione maggiore non risulterebbe gradita a chi invece chiede un tempo scuola più ridotto. E' vero che lo sviluppo del tempo pieno ha avuto non poche limitazioni (sin dall'approvazione della legge 148/1990 - v. art.8 comma 2, ben prima dunque della Moratti), ma è altrettanto vero che sul territorio nazionale il tempo modulo è comunque il modello prevalente, largamente maggioritario.

La pura e semplice estensione del tempo pieno a tutta la realtà della scuola primaria italiana non è stata possibile negli anni '90 e difficilmente lo sarebbe ora (senza contare poi il problema, non irrilevante, dei costi di una simile operazione, in tempi di recessione economica). Una volta abrogata la legge 53 e i successivi decreti attuativi, cosa si propone allora, il ripristino della legge 148/90 (moduli e tempo pieno), almeno in via transitoria?
Non solo, ma non ci pare una grande "innovazione didattica" difendere (battaglia sicuramente legittima e doverosa) e replicare il tempo pieno e lasciare tutto il resto così com'é (elementare e media separate o "separate in casa" nei comprensivi, ecc.).

Occorre allora ripartire, come da varie parti è stato detto, dai contenuti, dagli aspetti che si considerano "qualificanti" ed essenziali in un modello didattico e organizzativo. Scuolaoggi ha pubblicato alcuni contributi in questa direzione (v. a questo proposito l'articolo "Oltre la Moratti: un New Deal per la scuola di base" di G.Gandola e F.Niccoli o gli interventi di Giancarlo Cerini).

L'avvio di una mobilitazione per una proposta di legge di iniziativa popolare - se ha queste caratteristiche (se non ci si limita a dire dei no, cosa non si vuole o cosa abrogare, ma se si avanzano anche proposte precise, se si dice cosa si vuole, come alternativa possibile) - può rappresentare un contributo importante per rilanciare un dibattito di massa, nelle scuole e tra gli operatori scolastici. In questo senso un'iniziativa dal basso, che parte direttamente dalla società civile e dal mondo della scuola, soprattutto in una fase di difficoltà di rapporti tra i partiti ed il ceto politico di opposizione, potrebbe costituire uno stimolo di indubbia rilevanza.

L'importante è uscire dalle secche di una contrapposizione sterile e passare dalla critica (necessaria ma non sufficiente) ad una fase propositiva. Entrare nel merito, sul piano pedagogico, didattico-organizzativo ed anche giuridico. Lavorare insomma per elaborare un'idea di riforma della scuola il più possibile unitaria e didatticamente innovativa, sul piano dei contenuti e delle forme organizzative. Sapendo, naturalmente, che per far passare una legge ci vuole la maggioranza, nel paese e in parlamento. E che una riforma, per avere possibilità di successo, deve essere non solo "realistica" ma anche largamente condivisa.

Dedalus

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 Anna Pizzuti    - 18-06-2005
Dedalus:
Occorre allora ripartire, come da varie parti è stato detto, dai contenuti, dagli aspetti che si considerano “qualificanti” ed essenziali in un modello didattico e organizzativo”.

Ecco, appunto: di aspetti qualificanti, dai quali ripartire ce ne sono molti ed è per questo che io ritengo che una proposta di abrogazione come quella presentata dal Comitato per la scuola della Repubblica sia una iniziativa sulla quale, finalmente, cominciare a lavorare seriamente.
Dedalus non può giocare solo sulla questione del tempo pieno, perché rischia di essere molto fuorviante.
Che il tempo pieno non sia una tipologia di scuola diffusa in tutto il paese lo sappiamo benissimo. Io stessa ne ho fatto esperienza: sei anni è durata l’unica sezione – che poi era di tempo prolungato – esistente nelle tre scuole medie della città nella quale abito (Italia centrale) poi è finita. E’ anche vero, però, che a contribuire all’esaurimento, è stato anche il fatto che, durante questi sei anni, le richieste per avere più classi c’erano, eccome, ma venivano continuamente disattese. Per cui ritengo che, anche oggi, il senso della battaglia per il tempo pieno non sia stato e non debba essere quello del modello unicoda imporre, bensì quello del semplice – e qualificato - soddisfacimento della richiesta – laddove essa esista

Allo stesso modo, mi sembra quanto meno pretestuoso stare a ricordare le polemiche intorno alla legge 148/1990, o al fatto che – ma si dovrebbe anche dimostrarlo – che negli istituti comprensivi non si realizzi quel modello di compattamento della scuola di base che era uno degli obiettivi – ma non il solo – della legge 30/2001.

Così facendo, si rischia di crearsi alle spalle quasi lo stesso vuoto, la stessa terra bruciata che fece l’attuale ministro all’atto del suo insediamento. Non solo per i due aspetti ricordati sopra, ma per tanti altri ancora. Che esistono.

Quello che mi colpì, alla prima lettura degli Indirizzi per l’attuazione del curricolo, oltre all’enumerazione di tutti gli articoli della Costituzione dai quali essi discendevano, fu l’elenco – contenuto in uno dei passaggi iniziali – di tutti i precedenti in termini di leggi e programmi dei quali, in qualche modo, si teneva conto.

Se è impossibile ripartire dalla legge 30, è però possibile apprenderne il metodo di lavoro, considerato anche che sono diverse le ancore ad un passato che le bufere di questi quattro anni ci hanno non solo fatto rivalutare, ma anche arricchire.

Nello schema di relazione della proposta di legge del Comitato per la scuola della Repubblica, si dice:
E' auspicabile infatti che sia ridefinita l'intera normativa relativa all'autonomia al fine di realizzare un'effettiva autonomia del sistema scolastico, delle singole istituzioni e degli organi di democrazia ad essa relativo e quindi una reale democrazia scolastica a tutti i livelli. ed io penso, naturalmente, a tutti i cascami manageriali ed aziendali che abbiamo criticato. C’è però tutta una parte del DPR 275 che invece, secondo me, potrebbe costituire il “già esistente il quale, messo in moto, non solo non creerebbe alcun vuoto normativo, ma costituirebbe il riferimento anche legale perché non una ulteriore riforma, ma la ripresa del cammino della scuola, costituisca il processo realistico, ma anche largamente condiviso che Dedalus e tanti con lui chiedono.
Mi riferisco, naturalmente, al CAPO II (Autonomia didattica e organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo) ed al CAPO III (Curricolo nell'autonomia). A proposito di quest’ultimo ed in paticolare dell’art. 8, sappiamo come la legge 53 ne abbia fatto strame, ma se ci lavorassimo sopra – nelle singole scuole, dal basso, magari come si è imparato a lavorare in questi ultimi anni - in merito all’ autonomia reale, cioè alla condivisione ed alla democrazia scolastica, di tela da tessere ce ne sarebbe veramente molta.
Quello che rende difficile, secondo me, questo passaggio incerto tra il governo che c’è e quello che si spera ci sarà non è tanto la mancanza di un programma alternativo, quanto la difficoltà ad avere il reale polso della situazione nelle scuole. Per capire in maniera scientifica e non per impressioni o speranze, quanto di questa pretesa riforma sia veramente penetrato, nell’organizzazione e nella coscienza degli insegnanti. Diverse sono state le iniziative di indagine , dal basso, ma non se ne conoscono i risultati. Ed è questo, invece, che andrebbe fatto, unendo le forze e le strutture di tutte le organizzazioni e dei movimenti. Nel momento in cui si scoprisse che, proprio a livello di senso comune e non di adempimenti burocratici, la riforma Moratti è rimasta - ed io questo credo - qualcosa di esterno e di imposto, ecco che le preoccupazioni di chi teme l’avvicendarsi schizofrenico delle riforme, cadrebbero da sole e si potrebbe ricominciare, tranquillamente, a ragionare. Come chiede Dedalus, come chiede la proposta di abrogazione, come chiediamo tutti.
La preoccupazione vera, secondo me, deve riguardare il decreto sul secondo ciclo, i cui effetti si vedranno fin da gennaio e saranno devastanti, per le scuole superiori. In termini organizzativi, non certo di OSA e portfoli. Saranno vere e proprie migrazioni bibliche, che segneranno il destino scolastico e non solo, di centinaia di migliaia di ragazzi. Tuttoscuola prova a fare qualche ipotesi e mi conferma in quello che ho sempre pensato: i riformatori hanno scavato due canali, ma non riusciranno assolutamente a riempirli come immaginavano. Purtroppo, però, la divisione tra persone di serie A (quelle che nei licei riusciranno a rimanere) e quelle di serie B (tutti quelli che ne saranno espulsi e senza alcun titolo) riusciranno – se non li fermiamo - ugualmente ad ottenerla.