tam tam |  opinione  |
Vedi alla voce Dossetti
l'Unità - 03-02-2005
Se è vero che non possiamo disfarci delle culture del passato la costruzione della nuova sinistra deve basarsi sul ricupero, sulla presa di coscienza di ciò che siamo stati: socialisti (con tutte le ramificazioni seguite alla scissione del 1921 e alla nascita del Pci) , cristiano democratici (dai popolari di Sturzo sino alla Dc, alle esperienze della Lega Democratica degli anni 70), liberal-democratici (dal Gobettismo al Partito d'Azione, ai Repubblicani di Ugo La Malfa). Una presa di coscienza che non attenui ma metta in luce le diversità e i contrasti del passato....
Un riesame storico che ci permetta il ricupero dei valori che ancora oggi sono dentro di noi e nello stesso tempo ci renda coscienti della libertà che abbiamo, tutti, oggi, rispetto a un passato che possiamo ormai vedere da lontano in modo oggettivo.
Proprio la confusione che si intravede anche nella discussione in corso nell'ambito del centrosinistra e che danneggia non poco il cammino per la costruzione di una nuova forza di governo, il clamore assordante sulle polemiche spicciole di ogni giorno della settimana tra i vari leaders, creano un chiasso assordante sul presente che - oltre che a essere nocivo per se stesso - fa risentire ancor più il silenzio totale sulle nostre radici: come se dovessimo avere paura di rivangare un passato di cui si parla soltanto in senso strumentale quando è utile alla lotta politica quotidiana intestina. Lo scopo di questo intervento - a cui spero seguano altri interventi di altri - è quello di mostrare (non di dimostrare) - che le nostre diversità esistono, che in passato esse sono state dirompenti (senza alcun infingimento o addolcimento) e che oggi questa diversità può trasformarsi in una ricchezza comune.
Si tratta di applicare anche alla nostra storia il metodo che attraverso la psicanalisi applichiamo, consciamente o inconsciamente, alla nostra vita personale: siamo anche come storici (ma non occorre molto spesso essere tali di mestiere) sempre più coscienti che la comprensione delle nostre identità collettive ha bisogno di questo processo di autoanalisi che ci aiuti a capire cosa portiamo con noi nel nuovo cammino che cerchiamo di intraprendere.
Il mio vuole essere quindi soltanto un esempio di quest'autoanalisi, caratterizzato soltanto dal fatto che il mio percorso personale purtroppo è durato molti decenni e permette (anche se forse con qualche concessione autobiografica di troppo) di fornire un tracciato abbastanza lungo. Può essere significativo anche perché l'eredità dossettiana è tra quelle più maltrattate in questo momento, dalla destra ma non soltanto: l'appellativo di dossettiano infatti equivale più o meno a identificare colui che nella prassi ha tradito la sua naturale posizione di cattolico all'interno della Democrazia Cristiana alleandosi con i “comunisti” e nel pensiero ha confuso, contro la tradizione democratico cristiana, il piano religioso con quello politico portando nel campo politico la fede e la dogmaticità propria del terreno religioso. Nulla di più opposto alla realtà.
Non affronto qui certo il problema della personalità di Giuseppe Dossetti, nato a Cavriago (Reggio Emilia) nel 1913 e morto, monaco a Montesole, nel 1997 né dal punto di vista dell'uomo religioso né del costituente e del politico. Non tocco nemmeno il punto centrale della sua vita: l'uscita dalla vita politica in base alla diagnosi sul momento particolare di “crisi” della storia umana e sulla vocazione religiosa. Negli scorsi giorni sono usciti i primi volumi delle sue Omelie e penso anche coloro che non hanno avuto l'occasione di sentirlo possano cominciare ora a conoscere la sua spiritualità e la sua visione religiosa. Desidero soltanto fare qualche accenno di testimonianza (senza poter fare un discorso completo) per denunciare la falsità degli stereotipi enunciati più sopra. Lasciamo quindi da parte la personalità di Dossetti e parliamo soltanto di due punti.
Certamente Dossetti rappresentò nella sua fase politica, come partigiano nella lotta di liberazione e poi come padre costituente e vicesegretario della DC l'esempio di una politica radicalmente alternativa rispetto alla proposta del PCI. Questo era la vera novità per noi giovani emiliani di 14-16 anni che partecipavamo dal 1946 al 1948 al suo fianco alla rinascita democratica dell'Italia: non soltanto per i comizi travolgenti che portarono alla vittoria del 1948 sul fronte popolare (i vecchi ricordano ancora i manifesti con la faccia di Garibaldi e di Stalin che si alternavano nelle barbe), ma anche perché si cercava una alternativa che partiva dal rifiuto di certi metodi della lotta politica per costruire sulla base di elaborazioni ideali e programmatiche fortissime, che andavano dalla lettura dell'Umanesimo integrale di Jacques Maritain a Arturo Carlo Jemolo ecc. La costituzione italiana nata da questo incontro di culture non è stata affatto un compromesso e ha resistito a questi scontri terribili in cui la stessa sopravvivenza della libertà e della democrazia erano in gioco (vedi il volume A colloquio con Dossetti e Lazzati, intervista di L. Elìa e P. Scoppola). Oltre che a smentire i luoghi comuni questa memoria a mio avviso è importante per comprendere il cammino successivo fatto da tutti e in primo luogo dal PCI nei decenni successivi su grandi temi della partecipazione politica (vedi lo scontro tra Dozza e Dossetti nella Bologna del 1956 con l'invenzione da parte di Dossetti dei quartieri come democrazia dal basso, invenzione fatta propria dalla successiva gestione cittadina del PCI) e sui temi della pace all'epoca della guerra del Vietnam: non è sulla base di un generico accordo ma di un duro confronto che si è potuti giungere alla situazione attuale al di là della crisi della DC. Questa è una storia che non va rinnegata o mescolata in un “vogliamoci bene” ma che va rinnovata proprio ora nello sforzo di tradurre un incontro di culture in una formazione politica nuova di tipo innovativo.
Il secondo punto importante oggi è che Dossetti ha aiutato un'intera generazione a superare il concetto di rapporti Stato-Chiesa superando lo steccato tradizionale, superando lo sesso art. 7 della Costituzione con il richiamo in essa dei Patti Lateranensi del 1929, richiamo che pure era stato voluto da Dossetti stesso e accettato dalla sinistra per scongiurare il pericolo di una guerra civile e per evitare il pericolo dei nuovi fondamentalismi: la sua tesi espressa forte in tutti i suoi ultimi anni, particolarmente nei suoi interventi in difesa della costituzione, è basata sul principio che la partecipazione del cristiano alla vita politica avviene in base non ad una sua appartenenza e neppure a una cultura cristiana in quanto sistema ma agli “abiti virtuosi”.
Come scriveva nell'introduzione al volume di Luciano Gherardi Le querce di Monte Sole (dedicato alla strage di Marzabotto) la sapienza della prassi “non sta tanto in un enuclearsi progressivo di una cultura omogenea alla fede… ma soprattutto nell'acquisizione di abiti virtuosi: che occorrono tutti non solo per agire, ma anche e prima per pensare correttamente ed esaustivamente i giudizi e le azioni conseguenti…”. Solo esaltando il nucleo essenziale della fede il cristiano può essere completamente libero nella sua azione politica che rimane purificata da ogni idolo-ideologia sempre inquinante: lo spazio politico è tanto più libero in quanto il regno a cui si richiama non è di questo mondo.
Chi ha parlato con Dossetti di politica sa che non si tratta di un discorso astratto: le sue analisi politiche sono sempre state - anche quando era monaco e pareva lontano da tutto - di una lucidità e una capacità razionale di comprensione degli avvenimenti quasi mostruosa. Questa è l'unica misura dell'impegno, questa è la dote (è da sottolineare che parla di “abiti” non di valori per rifiutare ogni ombra di religione civica) che il cristiano porta con sé.
Che si possano scrivere queste cose su questo giornale mi sembra estremamente importante e spero che simili analisi vengano riprese e approfondite in altre direzioni. Siamo in una situazione del tutto diversa dagli ultimi decenni del secolo scorso, nei quali la crisi della guerra fredda (in campo internazionale) e dei partiti (in campo interno) spingeva ad alleanze elettorali, ad inserzioni di cattolici nelle liste della sinistra, alleanze in cui le tattiche avevano spesso la meglio sui problemi con la conseguente confusione dei piani. La memoria deve servire non a far dimenticare gli scontri del passato ma a rendere, attraverso la coscienza di questi scontri, più forte il ricupero dei valori più profondi che ciascuna componente può portare con sé nella costruzione del futuro.

Paolo Prodi

  discussione chiusa  condividi pdf