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Orizzonti di Kyoto
Espresso on line - 02-02-2005
Il 16 febbraio diventa operativo il trattato sulla riduzione delle emissioni di Co2. Ma l'accordo è stato prima sabotato dagli Usa. E poi indebolito da molti compromessi.

di Jeremy Rifkin, autore di 'Economia all'idrogeno. La creazione della Worldwide Energy Web e la redistribuzione del potere sulla Terra' (Mondadori, 2002)
Traduzione di Mario Baccianini

Il sofferto Protocollo di Kyoto per ridurre il riscaldamento del globo entrerà finalmente in vigore il 16 febbraio prossimo. Purtroppo però, nonostante il gran parlare che se n'è fatto, non servirà a contrastare più di tanto il deterioramento delle condizioni climatiche del pianeta, poiché è stato annacquato dopo anni di compromessi politici.

Come ricorderemo, nel 2001 l'Intergovernmental Panel on Climate Change (il gruppo di esperti sull'evoluzione del clima) delle Nazioni Unite avanzò una fosca previsione sul surriscaldamento, calcolando che le emissioni di Co2 e di altri gas di serra dovute allo sviluppo industriale minacciavano di far aumentare la temperatura fra i 2 e i 10 gradi Fahrenheit nel corso del XXI secolo (un aumento di 9 gradi Fahrenheit negli ultimi 15 mila anni ha posto termine all'ultima grande Era Glaciale, quando l'emisfero settentrionale era sotto una spessa coltre di ghiaccio). Studi più recenti indicano tuttavia che l'atmosfera terrestre può surriscaldarsi ancor più rapidamente del previsto e ciò potrebbe significare che forse è troppo tardi per affrontare l'enorme problema del cambiamento climatico del pianeta.

Ma i dati aneddotici vanno ben oltre le previsioni scientifiche. Ondate di maltempo imperversano nel mondo. L'aumento d'intensità degli uragani nei Caraibi, l'innalzamento del livello delle acque e le inondazioni delle terre basse, lo scioglimento dei ghiacciai sulle cime delle montagne (dal Kilimanjaro, in Africa, alle Ande, in Perú), lo sgretolamento delle calotte glaciali artiche, e l'estinzione delle barriere coralline sono tutti inquietanti segni premonitori. Gli esperti sono preoccupati inoltre per la diminuzione della capacità riproduttiva delle specie acquatiche e terrestri e per il deperimento delle foreste e l'alterazione degli ecosistemi.

Nel frattempo, l'umanità sembra del tutto incapace di riconoscere appieno l'importanza della grande catastrofe imminente o di reagire con quella rapida mobilitazione continua di intelligenze e risorse necessaria per rovesciare la tendenza in atto e ristabilire l'equilibrio dell'atmosfera terrestre. Forse ci rendiamo conto di andare verso l'apocalisse, ma non siamo disposti a compiere i sacrifici né le scelte inevitabili per scongiurarla.

Il mondo intero è inorridito di fronte alla perdita di vite umane e alle devastazioni dei territori costieri lungo l'Oceano Indiano provocate dalla furia dello tsunami il 26 dicembre scorso. Sebbene ciò non abbia alcun rapporto con il riscaldamento globale, una tragedia analoga, secondo gli scienziati, potrebbe verificarsi con crescente frequenza nel corso dei prossimi ottant'anni in seguito al cambiamento radicale del clima terrestre: un evento a cui l'umanità è purtroppo impreparata.

Il Protocollo di Kyoto, se vogliamo dire la verità, è un tentativo penosamente inadeguato di affrontare la grandezza e la vastità della crisi. Ma anche questa timida iniziativa è stata indebolita da una serie di compromessi nel corso del tempo. Modifiche hanno dovuto essere introdotte prima che la Russia firmasse l'accordo. Nel frattempo, gli Stati Uniti, che sono i principali responsabili del surriscaldamento del pianeta, si sono rifiutati di sottoscrivere il trattato, sostenendo che avrebbe gravemente minato la loro crescita economica. E persino l'Unione europea, che aveva tanto caldeggiato l'intesa, ha ammesso di essere rimasta indietro nel processo di transizione dalla dipendenza dai combustibili fossili a un sistema di produzione di energia rinnovabile basato sull'idrogeno.

Nonostante il gran parlare che si fa dell'effetto serra negli ambienti politici e scientifici, la maggior parte dei cittadini continua a occuparsi delle proprie faccende quotidiane senza far troppo caso al problema né tanto meno riflettere su come risolverlo. Si potrebbe pensare che di fronte alla prospettiva di una possibile fine della civiltà, nel giro di tre generazioni, questa minaccia dovrebbe essere sufficiente a suscitare la nostra attenzione e il nostro impegno. Ma in un mondo dove il tempo scorre sempre più fulmineo, e la nostra attenzione si restringe ormai alle gratificazioni del momento, con scarso interesse per gli impegni del passato o gli obblighi del futuro, non stupisce se il riscaldamento del globo stimoli ben poco la nostra curiosità.

Purtroppo, questo fenomeno potrebbe rivelarsi la più grande realizzazione collettiva dell'umanità, sebbene di segno negativo. Abbiamo infatti letteralmente alterato la stessa chimica della Terra bruciando immense quantità di combustibili fossili nel corso degli ultimi secoli. Resta da chiedersi cosa mai potrà spingere l'umanità a prender coscienza della sfida cui si trova di fronte e a rendersi pienamente conto che è in gioco il suo destino e quello del pianeta.


Amici e nemici del gas serra
di Sabina Minardi

Stati Uniti

Avevano aderito al Protocollo, ma nel 2001 se ne sono tirati fuori perché contrari all'idea di obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni. La strategia ambientale si basa su un meccanismo volontario di riduzione dei gas serra da parte delle aziende. Alcuni gruppi industriali hanno costituito un mercato dei gas serra che si propone di tagliare le emissioni del 4 per cento rispetto al livello medio nel quadriennio 1998-2001 (Chicago Climate Exchange). Il governo punta su massicci investimenti (4,3 miliardi di dollari dal 2004 al 2008) per incentivare le nuove tecnologie pulite e sviluppare la ricerca dell'idrogeno. Oggi gli Usa sono responsabili del 36,1 per cento delle emissioni globali. Si prevede che entro il 2030 le emissioni aumenteranno del 50 per cento.

Australia
Non ha ratificato l'accordo
. Potrà anzi aumentare le sue emissioni fino all'8 per cento. Oggi è responsabile del 2,1 per cento delle emissioni di gas serra nell'atmosfera. Recentemente, il ministro dell'Ambiente Ian Campbell si è detto disponibile a un dopo Kyoto, puntualizzando le differenze tra la politica ambientale australiana e quella americana. Al momento il governo di Canberra non ha politiche di riduzione né impegni definiti.

Cina
Emette una quota di gas-serra pari all'11 per cento del totale, ma non è vincolata al Protocollo perché non assimilata alle grandi potenze, nonostante la sua rapida crescita economica. Più volte ha espresso la sua intenzione di impegnarsi per la riduzione dell'inquinamento, ed è stata tra le nazioni che si sono attivate per favorire il sì della Russia. L'Italia sta investendo in Cina in azioni di progetti sostenibili allo scopo di acquistare quote di anidride carbonica non prodotta.

India
L'India fa parte della Convenzione sul cambiamento climatico (come la Cina), ma è stata contraria, fin dall'inizio, al meccanismo del Protocollo. Anche se è attualmente responsabile del 3,4 per cento delle emissioni gobali è fra i paesi che fanno maggior uso del carbone. Non è tenuta ad alcun vincolo perché paese in via di sviluppo.

Canada
È tra i firmatari del Protocollo, e tra quelli che più si stanno attivando per rispettarlo
. Nel 2002 il Canada ha lanciato il Climate Change Plan for Canada per rispettare il suo impegno di riduzione del 6 per cento, ovvero di circa 240 milioni di tonnellate di Co2. Ha istituito un sistema locale di commercio delle emissioni, che in un futuro potrebbe collegarsi a quello europeo.

Giappone
Nel marzo del 2002 il governo ha presentato un rinnovato Programma di politiche sul cambiamento climatico per il raggiungimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto. L'approccio del Giappone mira ad attuare politiche che coinvolgano sia il settore dell'economia che quello dell'ambiente per ottenere benefici in termini di clima ma anche di sviluppo. L'obiettivo di riduzione del 6 per cento è stato suddiviso tra i vari settori coinvolti. E sono più di cento le misure programmate. È tra i maggiori acquirenti di crediti di emissione (21 per cento).


Guerra totale al Co2


Ecco, tappa dopo tappa, la storia del Protocollo di Kyoto. E di quello che prevede fino al 2012


9 maggio 1992
Approvata a New York la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici ha come obiettivo la stabilizzazione a livello planetario della concentrazione dei gas a effetto serra.

Dicembre 1997
Il Protocollo di Kyoto è lo strumento attuativo della Convenzione: impegna i paesi industrializzati e quelli a economia in transizione (in tutto sono 39) a ridurre i gas a effetto serra. Diventa vincolante quando viene ratificato da un numero di paesi pari al 55 per cento delle emissioni.

16 febbraio 2005
Entra in vigore il Protocollo di Kyoto.

28 febbraio 2005
Termine entro il quale ogni membro deve assegnare le quote di emissione consentite ai singoli impianti.

Ottobre 2005
Prima relazione della Commissione sull'andamento del mercato europeo delle emissioni.

Dicembre 2005
Si svolge Mop1, il primo meeting delle parti aderenti al Protocollo.

30 aprile 2006
Verifica sul primo anno di funzionamento del mercato europeo. E bilancio tra le quote di emissioni assegnate e quelle effettivamente emesse.

30 giugno 2006
Presentazione del piano nazionale per la fase 2008-2012.

1 gennaio 2008
Scatta la fase di adempimento degli obblighi del Protocollo: riduzione delle emissioni del 5 per cento.

31 dicembre 2012
Termine entro il quale i 39 paesi industrializzati firmatari del Protocollo si sono impegnati a ridurre le emissioni nell'atmosfera. Oltre questa data quote e paesi coinvolti vanno rinegoziati.

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