Eppure c'è chi invita a dimenticare...
Pierangelo Indolfi - 27-01-2005
Eppure c'è chi invita a dimenticare...

da Il Piccolo di Trieste - 24.1.2005

GIORNATA DELLA MEMORIA? NO, GRAZIE

di Giampaolo Valdevit

In questi ultimi anni nelle celebrazioni della Giornata della memoria un tema è ricorrente e alle volte anche assillante: il tema della memoria che alla fine risarcisce le vittime del nazismo dopo che queste sono state condannate per decenni all'oblio.
Perché dunque un lungo oblio avrebbe preceduto la recente stagione del ricordo? A questa domanda in genere si risponde richiamando il carattere demoniaco del nazismo, la sua demoniaca abilità nel rendere incredibili i propri crimini. Si racconta al riguardo che ai deportati nei lager i persecutori nazisti usassero dire: anche se vi salverete e andrete a raccontare le sofferenze che avete passato, nessuno vi crederà.
In realtà le cose non sono andate proprio così. I liberatori - russi, americani o inglesi - hanno visto bene e hanno fatto vedere gli orrori che hanno trovato nei lager nazisti. E poco dopo, è venuto il processo di Norimberga, nel corso del quale i crimini nazisti sono stati di nuovo esposti ai mass media. Perché allora in seguito c'è stato oblio della memoria, perché, per citare un solo esempio, Primo Levi ha dovuto ricorrere a un piccolo editore di provincia per pubblicare le proprie memorie?
Per rispondere a tale interrogativo è necessario riferirsi ai meccanismi di funzionamento della memoria storica, che sono stati spiegati ben prima che si ponesse il problema di ricordare l'esperienza dei lager nazisti. La memoria, si è detto, non parte in automatico, ma ha bisogno di corrente: ad attivarla (o disattivarla) concorre il cosiddetto quadro sociale ovvero la situazione politico-culturale del momento.
Nell'immediato dopoguerra il suo dato caratterizzante è questo: il mondo occidentale viene velocemente investito dalla guerra fredda e compare un nuovo nemico, il comunismo, un nemico la cui minaccia crescerà ben oltre i livelli raggiunti dalla Germania di Hitler, perché con lo sviluppo degli arsenali atomici avrà la capacità di ridurre in cenere l'intera società occidentale.
È contro questo nemico che sono state mobilitate, come è avvenuto del resto nelle guerre moderne, tutte le energie e le risorse delle società occidentali non esclusa la risorsa memoria: una risorsa che serviva a demonizzare il nuovo nemico martellando sui misfatti del comunismo. In definitiva il nuovo e più preoccupante nemico ha contato assai di più di quello precedente e sconfitto: la memoria delle sofferenze, certo indicibili, che il nazismo aveva provocato non serviva più.
Questa situazione è andata avanti per parecchio tempo. Solo negli anni settanta ha cominciato a modificarsi, allorché uno stato di distensione è subentrato alla guerra fredda: il nemico è apparso meno minaccioso e per certi aspetti si è trasformato anche in partner.
Ma il grande affermarsi della memoria del nazismo (lager e genocidio) è stato prodotto dalla fine del comunismo. Il suo epilogo, che inizialmente è sembrato indolore e privo di contraccolpi sensibili, ha alimentato (o consolidato) il giudizio che il comunismo non fosse la versione aggiornata di quel male assoluto che è stato il nazismo, e che dal comunismo si potesse tornare indietro senza danni irreparabili, mentre il nazismo lo si è potuto eliminare solo con un conflitto sanguinoso e distruttivo.
È in questo nuovo quadro politico-culturale apertosi una quindicina di anni fa che si afferma una situazione opposta a quella determinatasi dopo la guerra (ma altrettanto squilibrata). Mentre la memoria del comunismo non serve più a demonizzare il nemico scomparso e pressoché si dissolve, la memoria del nazismo si espande a briglia sciolta, soprattutto nei mass media e nel discorso pubblico fino a diventare oggetto di celebrazione ufficiale: il male assoluto, il nazismo, va riportato davanti agli occhi di tutti.
Ricordare per non ripetere esperienze tragiche è infatti il monito che ci viene incessantemente proposto da tutti i pulpiti. Ma farlo a 360 gradi non ha molto senso. La Giornata della memoria la si dovrebbe celebrare quanto meno con maggiore intensità proprio là dove si sono nutrite tragiche illusioni di rigenerare la società eliminandone brutalmente una o più parti, quelle illusioni che si sono riproposte ben oltre la fine del nazismo e che proprio il crollo del comunismo ha riportato in auge: in Cecenia, in Bosnia, in Kossovo (per non parlare dell'Africa e del Sudest asiatico).
Da noi, nell'altra metà dell'Europa dopo il 1945 le cose sono andate ben diversamente perché il processo storico ha prodotto esperienze costruttive di pacificazione, di cooperazione, di integrazione. La storia di tutto ciò sarebbe bene riproporla ovviamente senza alcun trionfalismo nelle scuole soprattutto (ma mi pare che lo si trascuri), mentre ricordare per non ripetere gli errori del passato è un monito vuotamente retorico e inutile.
Paradossalmente non abbiamo neppure bisogno di ricordare i risultati prodotti dall'affermarsi dei valori di libertà pace e sviluppo, che pure sono davanti agli occhi di tutti (salvo di quelli che non vogliono vedere). Per un fatto molto semplice: ormai i più sanno che questi valori non raggiungeranno mai l'ideale ma che ciò nonostante riusciranno a trovare - certo, non facilmente - affermazione sempre più ampia.
Nonostante quel che le Cassandre affermano, la cosiddetta civiltà occidentale non è affatto in declino. È quasi da cent'anni che si sente questa predica, eppure siano ancora la società meno ingiusta, meno intollerante, meno povera, e sul suo orizzonte non si stagliano gli incubi del passato. Della Giornata della memoria possiamo quindi tranquillamente fare a meno.

Giampaolo Valdevit

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