breve di cronaca
Censura: ora tocca a Vauro. Quando a Bruno Vespa?
Giulietto Chiesa - 19-01-2005
Apprendo che il Consiglio Regionale dell'Ordine dei Giornalisti del Lazio, tramite il suo presidente Tucci, ha intimato un "avvertimento orale" a Vauro per alcune vignette. [1]

L'avvertimento orale è stato comminato in base all'art. 2, capoverso 3 (diritti e doveri) della legge 3 febbraio 1963, n. 69 sull'ordinamento della professione di giornalista, dove è indicata la opportunità di "promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi".


Io non so come la pensi Vauro, ma posso immaginare che non sia entusiasta di collaborare con un iscritto all'Ordine che esercita in modo fazioso la professione.

Per questo Vauro è stato "avvertito"? Segnalo all'Ordine dei Giornalisti del Lazio che, per quanto mi concerne, sono dello stesso avviso. A me piacciono i giornalisti che - come ricordatoci dal Presidente della Repubblica - non piegano la schiena. Aspetto di essere "avvertito" anch'io.

Inoltre segnalo a Bruno Tucci che il Masotti ha appioppato a Vauro una azione di "stampo brigatista" proprio nell'esposto all'Ordine. Vogliamo "avvertire" anche lui, visto che non sembra avere sufficiente spirito di collaborazione tra colleghi?


Ricordo infine (come ha già scritto Roberto Cotroneo sull'Unità) a Bruno Tucci di rileggersi anche il capoverso 1 dello stesso articolo 2, rimanendo per me inspiegabile come mai i membri del Consiglio siano saltati al terzo capoverso senza guardare il primo. In esso, frettolosamente ignorato, è indicato come "diritto insopprimibile" la "libertà d'informazione e di critica" e "l'obbligo inderogabile del rispetto della verità sostanziale dei fatti".


Mi chiedo in che pianeta vivano il Tucci e gli altri membri del Consiglio che hanno deliberato di "avvertire" Vauro. Basterebbe che accendessero la televisione, un canale qualsiasi, a qualsiasi ora, per capire che queste norme vengono violate di continuo. E fossero solo quelle ad essere violate! I nostri figli sono inondati di spazzatura ad ogni ora. Ma nessuno si muove. I membri del Consiglio dormono? E cosa pensano? Pensano, per esempio, che il modo in cui Bruno Vespa informa gl'italiani sia corrispondente alle indicazioni di quel capoverso? Se lo pensano, allora sono costretto a dichiarare che questi signori non mi rappresentano, per niente. Pares cum paribus facillime congregantur.


In chiusa. Suggerisco loro, quando si fossero svegliati, di rileggersi anche la Legge Istitutiva dell'Ordine, titolo III (della disciplina degl'Iscritti), art. 48, dove si dice che "il processo disciplinare è iniziato d'ufficio dal Consiglio Regionale o interregionale".


Non occorre dunque l'esposto di un collega, che si ritiene offeso da un altro collega, per procedere. Facciano da soli. E quando vedranno che ci sono giornalisti che usano tutte le sere, nei loro teatrini in cui si finge di parlare, qualche volta, di cose serie, le scollature e la volgarità di più o meno illustri o che per catturare l'audience, si chiederanno se questo capoverso 1 (art 2, legge 3 febbraio 1963, n. 69 citata) promuove, o meno, "la fiducia tra la stampa e i lettori".


Giulietto Chiesa
giornalista dal 1980

Megachip

[1] La "sentenza" dell’Ordine del Lazio.


"Il giorno 10 gennaio si è presentato presso i nostri uffici il collega Vauro Senesi convocato in seguito all’esposto presentato dal giornalista Giovanni Masotti.

Nell’ultima riunione il Consiglio, dopo aver esaminato l’esposto e le affermazioni rilasciate da Vauro nel suo incontro del 14-12-2004 con il Presidente, ha deciso di comminare al collega Vauro il provvedimento dell’avvertimento orale per aver violato il capoverso 3 dell’art.2 della legge 3.02.1963 n.69. Sanzione che lo stesso Presidente ha letto al Vauro, avvertendolo inoltre che, contro questo provvedimento, avrà 30 giorni di tempo per ricorrere al Consiglio nazionale".

Firmato: il presidente Bruno Tucci
Roma, 10 gennaio 2005



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 Da Reporter Associati    - 18-01-2005
Colpire un Vauro per educarne cento...


Quello a Vauro è un “avvertimento” che vale per tutti. La sanzione disciplinare comminata dall’Ordine di Roma al collega vignettista Vauro – reo di aver satireggiato sul collega Masotti - ci deve far tremare. Vauro può piacere o no, la sua satira può far ridere o riflettere – o forse nessuna delle due cose - ma rappresenta comunque una voce libera e spesso alternativa rispetto alla generale piattezza. Personalmente, apprezzo il suo segno e i suoi spunti, quasi sempre i suoi contenuti, non sempre i suoi modi di comunicarli: ma non offende mai la mia sensibilità, nemmeno quando va giù pesante.

Quanto alle vignette su Masotti, personalmente non le considero eccezionali, e forse sono anche di cattivo gusto, ma questo è un mio limite culturale: però sono sostanzialmente lievi nella loro “aggressività” – almeno per quanto può arrivare al lettore -, proprio in ragione del loro scarso contenuto di vera e manifesta “perfidia”.

Tuttavia, il nostro indaffaratissimo Ordine ha subito trovato il tempo per occuparsi di questa faccenda, con una tempestività impressionante, valutando d’urgenza un esposto (fin qui, cosa comunque formalmente corretta, intendiamoci: magari fosse sempre così), e di emettere una sentenza di condanna su basi che appaiono fragilmente attinenti la deontologia, non comportando né drammi né traumi, né reali attentati all’onorabilità, e appartenendo il tutto alla fatuità satirica, per quanto caustica.

Immaginiamoci ora cosa potrà succedere nel panorama più esteso, e potenzialmente più conflittuale, della satira o del semplice umorismo giornalistico: se proprio fra giornalisti si invoca – e si ottiene - la sanzione, cosa potrà a questo punto accadere giustamente, e senza possibilità per i giornalisti di chiedere solidarietà di categoria- fra le “vittime” quotidiane dello sberleffo, più o meno pesante? …

Ovviamente, si sentiranno ancor più legittimate – e i giudici glielo riconosceranno - a “difendersi” a suon di querele e di megarisarcimenti…

Ma, ripeto, quel che più sconcerta e preoccupa, è l’inconsueta solerzia dell’Ordine verso una cosa in fondo così piccina, mentre nei cassetti e nell’aria professionale che respiriamo, sicuramente giacciono, ignorati o sottaciuti, con chissà quali misteriose motivazioni e tortuosità di percorso, annosi e deflagranti deontologici bubboni.

Giacomo Carioti

Reporter Associati


 Redazione    - 19-01-2005
La destra si scatena per un'inchiesta di "Report". E Cuffaro ottiene una trasmissione riparatrice
Scoppia lo scandalo: la tv parla di mafia



UNA bella inchiesta di Report su Raitre ha interrotto per una sera gli anni di omertà televisiva sulla mafia, con l'eccezione di qualche buona ma innocua fiction.

Puntuale è scattata la censura della maggioranza. Tutti in prima fila, gli esponenti siciliani di Forza Italia, il presidente della Regione Cuffaro, il sindaco di Catania Scapagnini, non per combattere la mafia ma il giornalismo anti-mafia.

Per difendere la "loro" Sicilia "diffamata e offesa" con "vecchie storie", frutto di pregiudizio politico. Senza neppure rendersi conto di usare gli argomenti, il linguaggio, le frasi fatte di un Totò Riina o di tanti mafiosi da film.

In verità i legami fra Cosa Nostra e politica erano stati appena sfiorati dal programma di Raitre, forse nell'illusione di scampare alla mannaia. Ma ormai nella maggioranza dei "61 collegi su 61" basta la sola parola "mafia" per scatenare reazioni isteriche, violente e a volte ridicole. Come la richiesta di ottenere una "trasmissione riparatrice" su Raidue per "mostrare l'altro volto della Sicilia", avanzata da Cuffaro e prontamente accolta dallo spaventapasseri di destra piazzato alla direzione generale della tv pubblica, Flavio Cattaneo. Che ci faranno vedere, carretti e balli folcloristici? Sono anni che in tv, Rai o Mediaset, ci fanno vedere l'altro volto della Sicilia, quello falso, dove la mafia non esiste.

Il torto di Milena Gabanelli e degli inviati di Report è di aver ricordato che la mafia invece esiste ed è tornata a controllare il territorio. Non si sono visti scoop o rivelazioni clamorose nella puntata dell'altra sera.


Soltanto l'ostinato, intelligente racconto di che cos'è la nuova criminalità organizzata, attraverso episodi piccoli e grandi. I tre incendi al locale gestito dal capo dei commercianti anti racket del siracusano, scanditi ogni nove mesi esatti, nell'incredibile impotenza delle forze dell'ordine. Le strane fughe a un passo dall'arresto di Bernardo Provenzano, che dev'essere da trent'anni l'uomo più fortunato del pianeta oppure uno che ha buoni informatori nelle istituzioni. Un'inchiesta seria, documentata, equilibrata, che ha dato voce per una volta alla Sicilia del coraggio e dell'onestà, l'ha fatta sentire meno sola. Un ottimo esempio di quel servizio pubblico che tutti, a parole, invocano dalla Rai.

La censura a Report è l'ultimo episodio di una lunga storia di televisione di regime, cominciata nel 2001 con la vittoria di Berlusconi e il proclama di Sofia contro Biagi e Santoro, proseguita con l'epurazione della satira e dell'informazione indipendente, fino alla grottesca sospensione del Molière di Paolo Rossi domenica scorsa. Ma è anche l'episodio più grave e triste, nella sua cinica prevedibilità.

E' prevedibile ma deprimente che un personaggio come Totò Cuffaro, che deve rispondere alla giustizia dell'accusa di favoreggiamento alla mafia, scateni pubblicamente l'ennesima campagna contro l'antimafia. E' altrettanto scontato ma triste che Forza Italia, il cui fondatore Marcello Dell'Utri è stato condannato in primo grado a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa, metta alla gogna chi indaga sulla mafia. Possibile che nessuno, nel centrodestra, provi imbarazzo per questo processo alla rovescia? Non ci aspettiamo grandi prove di senso dello Stato dalla maggioranza. Ma se è vero che "la Sicilia non è soltanto mafia" neppuro lo è tutta l'Udc o Forza Italia.

E dunque perché lasciar parlare su questi temi soltanto una compagnia di indagati o condannati?

Quanto al danno che queste inchieste e perfino alcuni sceneggiati produrrebbe all'immagine della Sicilia e dell'Italia, vecchia accusa di Berlusconi, bisogna mettersi d'accordo. Un episodio come questo è destinato a fare il giro del pianeta, portando l'immagine più desolante di un'Italia omertosa, governata da amici degli amici.

Qualche mese fa le Monde ha rappresentato una vignetta con Berlusconi che presentava la sua squadra. Da una parte un gruppo di ciechi col bastone e i cani: "I miei elettori". Dall'altra un pugno di ceffi con coppola e occhiali da sole: "I mie collaboratori". La battuta è stata ripresa da tutte le televisioni del mondo, tranne una. Davvero un bel colpo d'immagine, altro che "La Piovra".


CURZIO MALTESE

Leggi anche "La voce del padrino" ovvero La Rai lava l'onore di Totò Cuffaro sul Manifesto