Da Reporter Associati - 18-01-2005 |
Colpire un Vauro per educarne cento... Quello a Vauro è un “avvertimento” che vale per tutti. La sanzione disciplinare comminata dall’Ordine di Roma al collega vignettista Vauro – reo di aver satireggiato sul collega Masotti - ci deve far tremare. Vauro può piacere o no, la sua satira può far ridere o riflettere – o forse nessuna delle due cose - ma rappresenta comunque una voce libera e spesso alternativa rispetto alla generale piattezza. Personalmente, apprezzo il suo segno e i suoi spunti, quasi sempre i suoi contenuti, non sempre i suoi modi di comunicarli: ma non offende mai la mia sensibilità, nemmeno quando va giù pesante. Quanto alle vignette su Masotti, personalmente non le considero eccezionali, e forse sono anche di cattivo gusto, ma questo è un mio limite culturale: però sono sostanzialmente lievi nella loro “aggressività” – almeno per quanto può arrivare al lettore -, proprio in ragione del loro scarso contenuto di vera e manifesta “perfidia”. Tuttavia, il nostro indaffaratissimo Ordine ha subito trovato il tempo per occuparsi di questa faccenda, con una tempestività impressionante, valutando d’urgenza un esposto (fin qui, cosa comunque formalmente corretta, intendiamoci: magari fosse sempre così), e di emettere una sentenza di condanna su basi che appaiono fragilmente attinenti la deontologia, non comportando né drammi né traumi, né reali attentati all’onorabilità, e appartenendo il tutto alla fatuità satirica, per quanto caustica. Immaginiamoci ora cosa potrà succedere nel panorama più esteso, e potenzialmente più conflittuale, della satira o del semplice umorismo giornalistico: se proprio fra giornalisti si invoca – e si ottiene - la sanzione, cosa potrà a questo punto accadere giustamente, e senza possibilità per i giornalisti di chiedere solidarietà di categoria- fra le “vittime” quotidiane dello sberleffo, più o meno pesante? … Ovviamente, si sentiranno ancor più legittimate – e i giudici glielo riconosceranno - a “difendersi” a suon di querele e di megarisarcimenti… Ma, ripeto, quel che più sconcerta e preoccupa, è l’inconsueta solerzia dell’Ordine verso una cosa in fondo così piccina, mentre nei cassetti e nell’aria professionale che respiriamo, sicuramente giacciono, ignorati o sottaciuti, con chissà quali misteriose motivazioni e tortuosità di percorso, annosi e deflagranti deontologici bubboni. Giacomo Carioti Reporter Associati |
Redazione - 19-01-2005 |
La destra si scatena per un'inchiesta di "Report". E Cuffaro ottiene una trasmissione riparatrice Scoppia lo scandalo: la tv parla di mafia UNA bella inchiesta di Report su Raitre ha interrotto per una sera gli anni di omertà televisiva sulla mafia, con l'eccezione di qualche buona ma innocua fiction. Puntuale è scattata la censura della maggioranza. Tutti in prima fila, gli esponenti siciliani di Forza Italia, il presidente della Regione Cuffaro, il sindaco di Catania Scapagnini, non per combattere la mafia ma il giornalismo anti-mafia. Per difendere la "loro" Sicilia "diffamata e offesa" con "vecchie storie", frutto di pregiudizio politico. Senza neppure rendersi conto di usare gli argomenti, il linguaggio, le frasi fatte di un Totò Riina o di tanti mafiosi da film. In verità i legami fra Cosa Nostra e politica erano stati appena sfiorati dal programma di Raitre, forse nell'illusione di scampare alla mannaia. Ma ormai nella maggioranza dei "61 collegi su 61" basta la sola parola "mafia" per scatenare reazioni isteriche, violente e a volte ridicole. Come la richiesta di ottenere una "trasmissione riparatrice" su Raidue per "mostrare l'altro volto della Sicilia", avanzata da Cuffaro e prontamente accolta dallo spaventapasseri di destra piazzato alla direzione generale della tv pubblica, Flavio Cattaneo. Che ci faranno vedere, carretti e balli folcloristici? Sono anni che in tv, Rai o Mediaset, ci fanno vedere l'altro volto della Sicilia, quello falso, dove la mafia non esiste. Il torto di Milena Gabanelli e degli inviati di Report è di aver ricordato che la mafia invece esiste ed è tornata a controllare il territorio. Non si sono visti scoop o rivelazioni clamorose nella puntata dell'altra sera. Soltanto l'ostinato, intelligente racconto di che cos'è la nuova criminalità organizzata, attraverso episodi piccoli e grandi. I tre incendi al locale gestito dal capo dei commercianti anti racket del siracusano, scanditi ogni nove mesi esatti, nell'incredibile impotenza delle forze dell'ordine. Le strane fughe a un passo dall'arresto di Bernardo Provenzano, che dev'essere da trent'anni l'uomo più fortunato del pianeta oppure uno che ha buoni informatori nelle istituzioni. Un'inchiesta seria, documentata, equilibrata, che ha dato voce per una volta alla Sicilia del coraggio e dell'onestà, l'ha fatta sentire meno sola. Un ottimo esempio di quel servizio pubblico che tutti, a parole, invocano dalla Rai. La censura a Report è l'ultimo episodio di una lunga storia di televisione di regime, cominciata nel 2001 con la vittoria di Berlusconi e il proclama di Sofia contro Biagi e Santoro, proseguita con l'epurazione della satira e dell'informazione indipendente, fino alla grottesca sospensione del Molière di Paolo Rossi domenica scorsa. Ma è anche l'episodio più grave e triste, nella sua cinica prevedibilità. E' prevedibile ma deprimente che un personaggio come Totò Cuffaro, che deve rispondere alla giustizia dell'accusa di favoreggiamento alla mafia, scateni pubblicamente l'ennesima campagna contro l'antimafia. E' altrettanto scontato ma triste che Forza Italia, il cui fondatore Marcello Dell'Utri è stato condannato in primo grado a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa, metta alla gogna chi indaga sulla mafia. Possibile che nessuno, nel centrodestra, provi imbarazzo per questo processo alla rovescia? Non ci aspettiamo grandi prove di senso dello Stato dalla maggioranza. Ma se è vero che "la Sicilia non è soltanto mafia" neppuro lo è tutta l'Udc o Forza Italia. E dunque perché lasciar parlare su questi temi soltanto una compagnia di indagati o condannati? Quanto al danno che queste inchieste e perfino alcuni sceneggiati produrrebbe all'immagine della Sicilia e dell'Italia, vecchia accusa di Berlusconi, bisogna mettersi d'accordo. Un episodio come questo è destinato a fare il giro del pianeta, portando l'immagine più desolante di un'Italia omertosa, governata da amici degli amici. Qualche mese fa le Monde ha rappresentato una vignetta con Berlusconi che presentava la sua squadra. Da una parte un gruppo di ciechi col bastone e i cani: "I miei elettori". Dall'altra un pugno di ceffi con coppola e occhiali da sole: "I mie collaboratori". La battuta è stata ripresa da tutte le televisioni del mondo, tranne una. Davvero un bel colpo d'immagine, altro che "La Piovra". CURZIO MALTESE Leggi anche "La voce del padrino" ovvero La Rai lava l'onore di Totò Cuffaro sul Manifesto |